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 2016  febbraio 21 Domenica calendario

Amarone, parmigiano o whisky, ma anche prosciutti, macchine d’epoca o strumenti musicali: tutti i bond della finanza creativa

Stagionata dodici mesi, profumo intenso, pasta dura ma che si scioglie in bocca. Ha il sapore dell’economia reale, che più reale non si può, la garanzia con cui il caseificio modenese 4 Madonne ha assicurato il suo prestito obbligazionario. Circa 20 mila e 700 forme di Parmigiano reggiano, da 40 chili l’una: «Avevamo bisogno di rendere più stabili i nostri flussi di denaro», spiega il presidente Andrea Nascimbeni. «Sono bastate due settimane per capire che l’interesse degli investitori era alto». In cassa sono finiti 6 milioni di euro, da restituire entro il 2022 con un interesse annuo del 5 per cento. «Una cifra che in banca non avremmo mai visto». Con l’impegno che se la società non riuscirà a ripagare, i sottoscrittori saranno risarciti in formaggio Dop.
Eccellenze come beni rifugio, rispetto ai capricci delle Borse. Spesso e volentieri in grado di rivalutarsi nel tempo, come hanno mostrato nelle pieghe della crisi i vari fondi dedicati a vini pregiati, macchine d’epoca o strumenti musicali. Nel 2008 Florian Leonhard, grande mercante d’arte londinese, ne ha lanciato uno da 50 milioni di euro che ha in portafoglio 50 violini di liutai italiani del XVIII secolo. Capolavori che dal 1990 a oggi si sono apprezzati del 750%. Quanto alle prelibatezze alimentari, da tempo anche loro sono parte di alchimie finanziarie, quotate su specifiche borse. Le aziende produttrici devono pagare subito fornitori e dipendenti ma aspettare mesi di stagionatura per incassare. Banche come Credem o Bper le finanziano, in cambio però tengono Parmigiano e crudo di Parma in appositi magazzini, veri e propri forzieri. Un modello che la scorsa settimana l’azienda veneta Tenute SalvaTerra ha esteso al vino: centinaia di bottiglie di pregiato Amarone date in pegno per un prestito da 9 milioni di euro.
 
La differenza, nel caso della cooperativa 4 Madonne, è che il finanziamento non passa dalle banche. È un minibond, un’obbligazione che le piccole imprese possono offrire direttamente agli investitori, con tassi più vantaggiosi. Novità poco diffusa in Italia, strumento già consolidato in quella frontiera della finanza chiamata Regno Unito. Così a dicembre la distilleria scozzese Arbikie ha offerto le prime 300 botti del suo single malt a 13mila euro l’una, con l’impegno di ricomprarle allo stesso prezzo entro otto anni. Ma la convinzione è che non servirà, perché nel frattempo, come successo in passato, il valore del whisky aumenterà. Mentre la scorsa estate il birrificio Innis & Gunn, per pagare un nuovo impianto, ha emesso un bond a doppio tasso di interesse: uno base del 7,25 per cento, e uno maggiorato al 9 per chi accetta di essere pagato in natura. Cioè in bottiglie di bionda.
Il rischio c’è, qualcosa nella produzione può andare storto. E ogni eccellenza può perdere valore. Perfino la creatività di David Bowie, come sanno i finanziatori del suo bond. Nel 1997, con l’aiuto del banchiere americano David Pullmann, fu la prima celebrità a fare cassa mettendo a garanzia i diritti sugli album già incisi. Gli assicuratori di Prudencial sottoscrissero titoli per 55 milioni di dollari, salvo poi veder ridurre il loro rating a Baa3, un gradino sopra la spazzatura: Napster e la pirateria avevano dato un colpo mortale all’industria discografica. Che la gente possa disamorarsi anche del Parmigiano? Oggi alla borsa merci di Parma è quotato 8,3 euro al chilo, vicino ai minimi storici: «Pesa la frenata dei consumi in Italia – spiega Nascimbeni – ma dovrebbe stabilizzarsi». Andasse male, agli investitori non resterà che mangiare.