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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Me se i soldi recuperati dall’evasione sono quadruplicati perché le tasse aumentano?

Lo scorso gennaio è finito sulle prime pagine di tutti i giornali e in tutti i talk show il dato sull’economia sommersa diffuso dall’Eurispes. Secondo il centro studi, ben 540 miliardi, cioè il 36 per cento del PIL, un terzo dell’economia del nostro paese, sfugge ai controlli dello stato. La metà di questa cifra, cioè circa 270 miliardi, sarebbe vera e propria evasione fiscale. Sono numeri che hanno alimentato le polemiche di quelle forze politiche, sindacati e opinionisti secondo cui, per rimettere in sesto il bilancio del nostro paese e per ridurre il nostro enorme debito pubblico, non servono manovre complesse, tagli dolorosi o riforme difficili da implementare. Basterebbe aggredire seriamente l’evasione fiscale.
GRANDI MANOVRE
I numeri diffusi da Eurispes hanno alimentato anche un’altra polemica: quella sulla lotta del governo all’evasione. Poche settimane dopo la pubblicazione di questi dati, infatti, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato: «Il 2015 è stato un anno record nel recupero sull’evasione fiscale, quasi 15 miliardi. Un abbraccio a chi ci definiva filo-evasori». Il dato esatto, diffuso poco dopo dall’Agenzia delle Entrata, è 14,8 miliardi, il più alto di sempre. Sono anni che i vari governi che si succedono, di qualunque colore siano, aumentano il gettito ottenuto dal recupero dell’evasione fiscale. Dieci anni fa, il recupero dell’evasione ammontava a 4,4 miliardi. Oggi è più che triplicato. Il problema, però, è che se messo confronto con i dati dell’Eurispes, sembra un recupero irrisorio: appena più del 5 per cento del totale. Ma è davvero possibile che negli ultimi dieci anni, tra studi di settore, operazioni della guardia di finanza e cartelle di Equitalia, nessuno sia riuscito a incidere realmente sul totale dell’evasione? La realtà è che i veri numeri sull’evasione sono molto diversi da quelli diffusi da Eurispes. Partiamo dall’economia sommersa, una definizione ampia, che comprende l’evasione fiscale, ma non solo. Secondo le ultime rilevazione dell’Istat, l’economia sommersa è pari al 12,9 per cento del totale del PIL italiano e ammonta in tutto a circa 190 miliardi di euro. L’Istat non fornisce una stima dell’evasione, che è molto difficile da calcolare. A seconda di quale attività viene effettuata in nero, infatti, cambia la quantità di evasione fiscale. Pagare mille euro in nero a un proprio dipendente, ad esempio, significa un’evasione contributiva e di Irpef pari a circa un terzo del totale, cioè più o meno 300 euro. In questo caso, il valore di “economia sommersa” è il totale dei mille euro pagati al dipendente, mentre l’evasione fiscale è solo trecento euro. Vendere sostanze stupefacenti, produce economia sommersa, ma, direttamente, nemmeno un euro di evasione fiscale.
CONFINDUSTRIA
Per sapere quanti di quei 190 miliardi di economia sommersa sono vera e propria evasione fiscale, quindi, bisogna rivolgersi ad altre fronti. Il governo, ad esempio, ha pubblicato, nella nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza dello scorso autunno, una stima della media dell’evasione fiscale nel periodo 2007-2013: circa 91,4 miliardi di euro l’anno. Il Centro studi di Confindustria, uno dei più affidabili in Italia, dice che è una cifra troppo bassa e l’ha corretta portandola a circa 120 miliardi di euro l’anno. È piuttosto normale che ci siano stime diverse di un fenomeno difficile da calcolare come l’evasione fiscale, ma sia quelli di Confindustria che quelli del governo sono numeri molto lontani dai 540 miliardi di sommerso e dai 270 miliardi di evasione fiscale di cui parla l’Eurispes. Sono cifre, inoltre, che sembrano molto più in linea con i risultati ottenuti dal contrasto dell’evasione operato dal governo. Un recupero di 15 miliardi significa che lo stato è riuscito a riprendere tra un sesto e un ottavo del totale dell’evasione, a seconda che si utilizzi la stima del governo o quella della Confindustria.
GUERRA DI CIFRE
Thomas Manfredi, ricercatore all’OCSE presso il direttorato Lavoro e Politiche sociali, mette in guardia dal festeggiare troppo questi numeri: «Si tratta di evasione accertata, non delle cifre realmente incassate, che sono pari a circa la metà e che sono sempre difficili da riscuotere soprattutto a causa della lentezza della giustizia». Secondo Manfredi, è difficile immaginare che lo stato possa ottenere molto più di così: «Non si può impostare la lotta all’evasione fiscale come un modo per fare cassa. Tra cittadino e stato deve esserci un rapporto di collaborazione». E questo, come dimostrano decine di casi di cronaca, spesso non accade. Proprio una decina di giorni fa, l’amministratore di Equitalia, Ernesto Maria Ruffini, ha rivelato un numero che dà le dimensioni di quanto spesso lo stato combatta l’evasione senza andare tanto per il sottile. Nel corso di un’audizione al Senato, Ruffini ha detto che il 20 per cento dei circa mille miliardi che negli ultimi 15 anni lo stato ha chiesto di riscuotere ad Equitalia era in realtà frutto di errori. In altre parole, erano importi non dovuti. «Gli errori sono inevitabili – spiega Manfredi – ma sembra in Italia siamo andati oltre». Questo non significa che la situazione non si possa migliorare, se non quantitativamente, almeno qualitativamente. L’Italia è dopotutto il grande paese europeo con l’economia sommersa di dimensioni maggiori, dove spesso la lotta all’evasione – nonostante le storture e gli errori compiuti dalle agenzie di riscossione – non è semplice, a causa anche dei tempi molto lenti della giustizia. Ma non bisogna dimenticare che tutta la questione può essere guardata da due lati. Fino ad ora abbiamo preso in esame in numeri che ci dicono quanto gli italiani devono al fisco e quanto non pagano di questa cifra. Ma l’esame non è completo senza guardare a quanto gli italiani pagano effettivamente. Tutti sanno che, con una pressione fiscale che nel 2015 dovrebbe essere pari al 43,7 per cento del PIL, l’Italia ha una delle tassazioni più alte d’Europa. Quello che a molti sfugge è che il Pil su cui è calcolato questo 43,7 per cento include l’economia sommersa e l’evasione fiscale. Se quindi ipotizzassimo che dall’oggi al domani venissero recuperati tutti i 120 miliardi di evasione stimati da Confindustria, la pressione fiscale schizzerebbe a più del 50 per cento del Pil, il valore più alto d’Europa e uno dei più alti al mondo. Sarebbe la manovra più fiscalmente restrittiva nella storia del paese. Per questo motivo si sente spesso dire da politici di ogni colore politico che i soldi provenienti dalla lotta all’evasione dovrebbero essere usati per ridurre le tasse, in modo da evitare che la lotta all’evasione porti a un insostenibile aumento della pressione fiscale. Visto che la lotta all’evasione ha avuto così successo negli ultimi anni, abbiamo assistito a qualcosa del genere? «No, non è mai avvenuto – dice Manfredi – la pressione fiscale non ha fatto che salire». Nel 2006 era al 40,3 per cento del PIL. Dieci anni dopo, quando la lotta all’evasione fiscale ha prodotto un gettito triplo, è salita di più di tre punti punti, arrivando al 43,7 per cento del 2015. «Purtroppo la pressione fiscale segue altre dinamiche, come ad esempio l’andamento della spesa pubblica», conclude Manfredi. Significa che, in altre parole, non un euro di quelli recuperati è servito a ridurre le tasse, ma che sono tutti stati impiegati per finanziare nuove spese.