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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Al mondo ci sono sempre più turisti rimasti senza meta. Dopo la strage di Parigi, gli attentati di Bangkok e i morti in Messico nessuno sa più dove andare in vacanza

Quando accadde a Parigi se ne accorsero tutti, alla fine. Era novembre, pioggia leggera, neanche tanto freddo, andiamo a quel concerto al – comesichiama – Bataclan? Dopo, mentre contavano i morti, cercarono un perché. Ma non c’era. Benvenuti nell’era del soft-target, dello sparo nel mucchio senza spiegazione. Capitali, luoghi culturali, paradisi naturali… ovunque ci sia visibilità da intercettare, là c’è un bersaglio.
In qualche modo si completava la terribile strada iniziata con la strage al museo del Bardo in Tunisia (marzo 2015) e proseguita abbattendo turisti sulle spiaggia nordafricana di Sousse (giugno 2015). Il terrore diventava compagno di strada del turismo, il più scomodo di tutti quelli che l’enorme e delicata creatura collettiva fatta di viaggiatori si porta appresso da quando le esplorazioni diventarono pellegrinaggi, poi occasioni di studio e infine divertimento. Come se non bastassero i nemici storici del viaggiatore, cioé la criminalità comune, le malattie esotiche e le catastrofi naturali. Il mondo è diventato piccolo: dove vai vai, dietro l’angolo c’è – può esserci – un grosso problema.
I turisti nel mondo hanno superato il miliardo, l’anno scorso sono stati 1 miliardo e 184 milioni, cinquanta milioni in più dell’anno precedente – in Italia 340 milioni di notti in viaggio, solo un quinto all’estero. Per turista, l’organizzazione Onu per il turismo (Unwto) intende colui che viaggia in paesi diversi dalla sua residenza abituale e al di fuori del proprio ambiente quotidiano, per un periodo di almeno una notte ma non superiore a un anno e il cui scopo non sia lavorare – a parte quest’ultimo dettaglio, la definizione potrebbe abbracciare anche le centinaia di migliaia di rifugiati che premono sulle frontiere di mezza Europa e spingono i governi a tradire la libera circolazione decisa a Schengen.
 
Egitto, Turchia e Francia: la paura comanda
Questa massa sterminata di persone in movimento è il bersaglio di gruppi terroristici come di zanzare dotate di particolari caratteristiche e di fenomeni naturali come sommovimenti della crosta terrestre o inondazioni. E con una frequenza registrata raramente. Dopo il sangue di Parigi, tutte le cancellerie europee – Italia in testa – suonarono a man bassa l’allarme terrorismo, alla fine del 2015 non c’era europeo che non fosse in attesa di un attentato. E ce ne furono in abbondanza, ma non in Europa: il 9 gennaio un commando dell’Isis assaltò l’hotel Bella Vista a Hurghada in Egitto (a due passi da Sharm el Sheik, da cui era partito l’aereo russo abbattuto in ottobre), il 12 gennaio saltò in aria un gruppo di tedeschi a Istanbul in Turchia, il 14 gennaio sette esplosioni squassarono Giakarta in Indonesia, il 15 gennaio il terrore seminò morti in un hotel a Ouagadogu in Burkina Faso… E così via, settimana per settimana, letteralmente fino a ieri – decine di morti per un’autobomba a Ankara in Turchia.
Gli effetti sono stati letali come gli attentati. Se in novembre la Francia si vide ritirare da un giorno all’altro il 40% delle prenotazioni alberghiere, dopo la strage del Bardo, la Tunisia perse in un colpo 500 milioni di dollari, un quarto dei 2 miliardi che il turismo faceva entrare ogni anno nel dissanguato paese.
Mentre la sua primavera diventava autunno e poi inverno, Tunisi licenziava addetti a man bassa, e così quasi ogni paese colpito dalla “guerra ibrida” chiamata terrore. Dopo il petrolio – ristretto però a un pugno di paesi – il turismo mondiale è la principale fonte di esportazioni del pianeta. Genera poco meno di 1.000 miliardi di euro l’anno e occupa 258 milioni di persone (dati Unwto), e se anche circa la metà resta in Europa, dal fatturato delle vacanze dipendono le economie di interi paesi e la vita stessa di centinaia di milioni di famiglie.
L’elenco dei paesi disertati è sparso tra le liste dei tour operator e i “travel alert” dei governi occidentali. Il più attivo è il Dipartimento di Stato americano – la quantità di nemici che Washington si è fatta negli ultimi cinquant’anni non ha uguali – ma anche l’Unità di crisi della Farnesina gestisce il servizio di avvisi “Viaggiare sicuri”.
Tra le destinazioni disertate dagli operatori spiccano Tunisia, Egitto, Libano, Siria e Libia, tra quelle praticamente abbandonate ci sono Yemen, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Congo e tutto il Corno d’Africa. Resistono paesi come la Giordania, l’Armenia e il Marocco – quest’ultimo è il paese extra-europeo più visitato dai turisti italiani. A rischio anche paesi turistici come la Turchia e la Thailandia.
 
Haiti e Salvador: paradisi mancati
Dopo i massacri di Parigi, il Dipartimento di Stato Usa ha rilasciato un “world travel alert” segnalando 11 paesi pericolosi da visitare. In America, l’elenco comprende Haiti, Salvador e Messico. In Salvador il problema sono le maras, le mortali bande di strada che spacciano, rapinano e uccidono con estrema facilità. La guerra tra la mara Salvatrucha e la mara 18esima Strada ha portato il tasso di omicidi del paese a 103 ogni centomila abitanti (negli Usa è 4,5).
Il Messico è ormai un narco-stato in cui dilagano anche i rapimenti. Ce ne sono di due tipi, “express” e “virtual”, il primo consiste nel trascinare a mano armata qualcuno al bancomat e fargli svuotare il conto, il secondo nell’isolare una persona (anche senza che se ne renda conto) e convincere la famiglia rimasta a casa a pagare un riscatto. Pericolosissime le strade tranne le cuotas a pagamento, record di omicidi in Baja California nella gringolandia tra Los Cabos e San Ignacio (la zona dell’Hotel California della canzone degli Eagles), vietato ai dipendenti del governo Usa ogni viaggio nel Sinaloa, la patria insanguinata del Chapo Guzman, il capo del più grande cartello dei narcos.
Il terrore colpisce in Africa, il solo continente a veder ridotto il fatturato turistico dell’ultimo anno – già basso: 36 miliardi di dollari, contro i 509 dell’Europa, dati 2014. Rischioso il Burkina Faso dove agisce Al Qaeda del Maghreb Islamico (l’altra è Al Qaeda nella Penisola Arabica, quella tra l’altro di Charlie Hebdo): a parte i kalashnikov usati nell’ultimo assalto all’hotel di Ouagadogu, le armi impiegate sono potenti bombe artigianali e Rpg, le granate a propulsione.
Meno di sei mesi fa, inoltre, il “paese degli uomini liberi” venne scosso per breve tempo anche da un colpo di stato ispirato da Blaise Compaorè, l’uomo che nel 1987 uccise il Che Guevara africano Thomas Sankara e lo sostituì alla presidenza per quasi trent’anni prima di fuggire in Costa d’Avorio. Nel nord della Nigeria e nel sudest del Niger imperversa Boko Haram, gruppo di jihadisti sunniti e assassini su larga scala fedeli allo Stato islamico, e come lo Stato Islamico ormai dotato di un’organizzazione parastatale: il Dipartimento di Stato Usa consiglia di viaggiare “solo con scorta armata” in alcune zone di Niger e Nigeria, e la Farnesina ci aggiunge il Mali, attraverso la sua porosa frontiera viaggiano armi e finanziamenti dei jihadisti.
In Asia, a parte le zone di guerra vere e proprie, suona l’allarme per il Laos (bombe e sparatorie con alcuni morti alla fine di gennaio) e la Thailandia, in cui i servizi segreti russi hanno segnalato la presenza di jihadisti nei paradisi balneari di Phuket e Pattaya, oltre che a Bangkok già bersaglio di attentati.
Resta in ginocchio il Nepal che si dice abbia tre religioni, induismo, buddismo e turismo: quest’ultima è stata rasa al suolo da un violentissimo terremoto nell’aprile scorso, e non si rialza.
Chiusa la Siria in piena guerra, in Medio oriente è allarme della Farnesina per l’Arabia Saudita a causa della Mers, Middle East respiratory syndrome, una febbre mortale diffusa da cammelli e dromedari e propagata negli ospedali dove viene scambiata per influenza: 1500 casi nel mondo, un terzo mortali. Come Zika, che il primo febbraio l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato emergenza sanitaria internazionale: la zanzara Aedis che diffonde la febbre già identificata negli anni Cinquanta in Uganda colpisce in Brasile e Messico, in Bolivia e in Paraguay, ma anche nella Polinesia francese (Fiji, Tonga, Samoa, Salomone) e giù fino a Capo Verde e alle Maldive. Nel paradiso turistico dell’Oceano Indiano, inoltre, lo scorso novembre è stata ritrovata una grande quantità di armi e munizioni, con stato d’emergenza e scambio di accuse tra un governo ferocemente islamista sospettato di golpe e l’ex presidente Nasheed, il “Mandela delle Maldive”, in carcere con accuse molto traballanti. Guerra anche tra avvocati: Nasheed è difeso da Amal Clooney, il governo da Cherie Blair.
 
Il futuro? Un poliziotto come “bagaglio” a mano
I nuovi rischi dei viaggiatori stanno determinando la creazione di una nuova specializzazione securitaria, il tourism crisis management. Persino la prudentissima Unwto è costretta ad ammettere che “i risultati del 2015 sono stati influenzati (…) da crisi provocate dalla natura e dall’uomo in molte parti del mondo”. E il suo presidente, il marocchino Taleb Rifai, nel suo rapporto ha “chiesto ai governi di includere l’amministrazione del turismo nei loro progetti di sicurezza nazionale”.
Un turismo sorvegliato, con poliziotto incorporato, è quello che probabilmente ci aspetta.
Quando il pastore battista Thomas Cook inventò il turismo nel 1841 a Leicester (Gran Bretagna), imbarcando su un treno 500 paganti della Lega della Temperanza per portarli a un raduno anti-whisky a dieci miglia di distanza (costo: uno scellino, pasto compreso), non intendeva certo questo.