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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Tutti i corpi morti del Novecento raccontati da Giovanni De Luca. Dalla bara di vetro di Padre Pio al Che che ricorda il Cristo del Mantegna, passando per Lenin, Mussolini e l’eccezione bin Laden

Padre Pio, Lenin, il Che, i martiri dell’Intifada, Gheddafi, Benito Mussolini e Claretta Petacci, finanche l’opera d’arte dedicata a Silvio Berlusconi, ancora in vita però, e intitolata Il sogno degli italiani, con le pantofole di Topolino ai piedi. Titolo secco che riunisce queste salme: a corpo morto, da un secolo all’altro. Meglio, dal Novecento al Terzo Millennio. Corpi da venerare o da odiare. Corpi senza vita ma risucchiati da un’onda vitale di suppliche e speranze o semplice ammirazione. Giovanni De Luna è uno dei grandi storici del nostro Paese. Uno storico di sinistra, nella più ampia e nobile accezione del termine, cioè non militante e che si è occupato di fascismo e Resistenza. Dice: “Per la mia generazione il corpo più importante è quello del Che ucciso, che ricorda il Cristo del Mantegna. È il sacrificio dell’eroe, l’immagine di un’eterna giovinezza. È un corpo che mi emoziona ancora”.
Un decennio fa, Giovanni De Luna, scrisse per Einaudi Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea. Il corpo amico da onorare e il corpo nemico da profanare. Ma i corpi morti sono ovunque. In politica, nella religione, non solo nella guerra. Il mausoleo di Lenin, sulla piazza Rossa a Mosca, è luogo di culto anche nella Russia di Putin, dopo la fine dell’Unione Sovietica. È una reliquia sacra del comunismo. Sostiene De Luna: “Lenin rappresenta il culto del corpo all’interno di un contesto in cui c’è l’ideologia del Novecento. Il corpo di Lenin e quello di Mussolini in piazzale Loreto a Milano ci restituiscono in due modi diversi il totalitarismo messo in scena nel secolo scorso”. Il corpo da oggetto d’amore si trasforma o si trasfigura, per usare un verbo mistico, nel suo contrario. In un oggetto d’odio. È il caso, appunto, del corpo di Benito Mussolini, il dittatore fascista esposto in piazza nella sua tragica nudità sfigurata, insieme con l’amante Claretta Petacci.
La “blindatura cranica” del Duce, presa a calci
L’estetica mussoliniana è stata soprattutto la fisicità del Duce. In vita, il dittatore si era sempre vantato della sua “blindatura cranica”. Poi è arrivato, post mortem, lo scherno violento, macabro, vendicativo, per certi versi liberatorio. Continua De Luna: “Il primo calcio a Mussolini venne sferrato da una donna proprio sul cranio. Quella donna voleva vendicare il proprio figlio morto in guerra. Ma in vita erano state le donne a esaltare la sua fisicità. Tutto l’apparato iconografico del regime si reggeva sul corpo del dittatore. Il Mussolini trebbiatore, pilota, nuotatore. In piazzale Loreto questa immagine si ribalta, si capovolge e si passa dall’amore all’odio. Ma a dare i calci sono gli stessi che fino a poco prima lo avevano applaudito”. Anche il corpo di Padre Pio appartiene al Novecento. Per la precisione, il frate di Pietrelcina vanta due primati. È l’italiano più popolare del secolo scorso. È l’italiano più conosciuto nel mondo. Va trovata in questa direzione la chiave per capire il trionfo della sua venerata salma nella Roma giubilare, culminato nella settimana del Mercoledì delle Ceneri.
Le stimmate e la guerra per il santo-fenomeno
La sua bara di vetro è arrivata in San Pietro oscillando sulle spalle dei portanti e seguita da migliaia di fedeli. Spiega De Luna: “Con Padre Pio, ovviamente, siamo in un contesto diverso. Il cristianesimo è fatto di tante reliquie corporee. Reliquie di singoli pezzi, c’è persino il prepuzio di Gesù, oppure i corpi interi dei santi. Padre Pio, poi, non dimentichiamolo, nella sua fisicità testimonia anche le stimmate. Questo fenomeno viene fuori in un periodo cruciale della nostra storia, dopo la prima guerra mondiale. In quegli anni il rapporto tra corpo e morto è fatto di cadaveri mutilati, smembrati. L’attenzione per le stimmate di Padre Pio si sviluppa in questo contesto”. E se la popolarità arriva subito, per la santità il cammino è più impervio. Anche in questo caso, De Luna coglie una coincidenza fisica, legata al corpo: “Colpisce che tra tutti i papi del Novecento, la canonizzazione avvenga sotto papa Giovanni Paolo II, che è stato un pontefice dal carisma molto fisico”.
“Il modo in cui si muore è fondamentale”
Il calvario finale di Papa Wojtyla, a sua volta diventato santo, offre una riflessione centrale in questa conversazione con lo storico De Luna: “Quando c’è un carisma, il modo in cui si muore è fondamentale per capire cosa succede dopo la morte”. Siamo all’estetica della sofferenza, ben diversa dai corpi dei dittatori uccisi o del sacrificio degli eroi: “Giovanni Paolo II è stato un papa atletico, con varie immagini agostiche, dallo sci allo nuoto. Eppure non ha voluto nascondere nulla del suo corpio anziano e malato, che tremava e non riusciva a parlare. Non ha avuto paura a mostrarsi in questa estetica della sofferenza. Questo vale però per la religione, ma non per la politica. Lì ha senso solo il corpo da Maciste”. Per tornare a Padre Pio e chiudere il discorso su di lui. De Luna non riscontra una continuità tra la venerazione del secolo scorso per il frate di Pietrelcina e quella manifestata due settimane fa a Roma: “Il contesto commerciale prevale su quello religioso. C’è un punto di rottura rispetto al passato. Il corpo di Padre Pio serve a produrre profitto. È un enorme gigantesco business fatto di immaginette e statuine. La differenza tra noi e il secolo scorso sta nel dominio del mercato. È l’universo mercificato che appartiene alla modernità del post-Novecento”.
Le strategie mortuarie in Medioriente
L’ostentazione dei corpi morti ha una categoria mediorientale, spesso islamica, che si tratti di ragazzi ammazzati o di ras rovesciati dalla rivoluzione. Osserva De Luna: “In Palestina, l’Intifada ha una sua strategia mortuaria. Il corpo dei martiri è ostentato in un rituale politico, che serve a mantenere compatta la comunità. Al contrario, le vittime israeliane dei kamikaze pongono un altro problema perché per la religione ebraica il corpo morto deve essere unito e quindi ci sono specialisti nella ricomposizione dopo gli attentati”. Ostentazione è il termine giusto anche per Gheddafi, dittatore africano della Libia caduto dopo 42 anni di regime: “È l’esibizione del corpo come trofeo di guerra. La crudeltà e la violenza sono le fonti di legittimazione del nuovo potere”. Naturalmente, la spettacolarizzazione mediatica è un altro effetto della modernità: “Decapitare Nick Berg (l’americano giustiziato in Iraq dai terroristi di al-Zarqawi nel 2004, ndr) davanti alle telecamere non è lo stesso che decapitare Luigi XVI in piazza davanti a un migliaio di persone. Lo statuto dell’immagine è completamente cambiato”. Tra tanti corpi esibiti oscenamente o con fervore religioso, ce n’è uno rimasto invisibile. Quello di Bin Laden, ammazzato dagli americani: “La scomparsa del suo cadavere in mare, per non trasformare la sua tomba in un luogo di culto, è stata altamente simbolica. Gli americani potevano farlo scomparire ovunque ma hanno scelto il mare. Per me questo è il simbolo della guerra liquida dei nostri tempi, senza frontiere e senza territorio. Anche qui siamo nella modernità del post-Novecento”.
La Prima Repubblica debole di costituzione
L’excursus tra i corpi noti a cavallo dei due millenni è giunto alla fine. Resta da capire se c’è una peculiarità italiana in questa variegata estetica della fisicità. De Luna ne trova una sola, legata alla nostra storia politica: “Il modo in cui Mussolini interpreta in modo fisico il suo ruolo provoca nella Prima Repubblica tanti leader dal corpo debole. Penso a Togliatti, De Gasperi, La Malfa, Almirante, Moro per non parlare di Fanfani. Nessuno di loro investe sul suo corpo. Il ritorno della fisicità avviene con Craxi e poi esplode nella Seconda Repubblica con Berlusconi, tra i tacchi rialzati e la calza in testa a favore di telecamera”. Conclude De Luna: “Avremo sempre bisogno di corpi del genere, non più solo morti ma anche virtuali, ma ne avremo bisogno”.