Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Il destino degli unicorni e dei conigli di Wall Street. Le 146 società valutate oltre un miliardo di dollari sono a un bivio

Restare unicorni o diventare conigli (o, meglio ancora, scarafaggi)? Sembra paradossale, ma potrebbe essere questo il destino di molte delle 146 società valutate oltre un miliardo di dollari. In gergo sono definite unicorni, ma nei prossimi mesi potrebbero evolversi diventando Rabbit (coniglio, in italiano), acronimo che sta per Real Actual Business Building Interesting Tech. Cioè aziende solide, strutturate, interessanti. Oppure scarafaggi: piccole e indistruttibili come gli insetti. Non è escluso che nei prossimi mesi qualche unicorno o aspirante tale si ridimensioni e diventi un’azienda di minori ambizioni e più piccola taglia.
Sarà davvero poi così conveniente essere valutati un miliardo di dollari? Basta questo per entrare nel club degli unicorni, in teoria creature rare al punto da essere considerate alla stregua di esseri mitologici. In pratica ormai sono più che altro un grosso branco di narvali visto che nel mondo, secondo i dati del Wall Street Journal, se ne contano appunto 146 (otto delle quali valutate oltre 10 milioni e altre due oltre 40).
Di meno
Tanto vale ridimensionarsi. Proprio come ha fatto Square, la startup di pagamenti mobile lanciata dal fondatore e ceo di Twitter Jack Dorsey. Approdata in Borsa nel 2015, ha scelto di quotarsi ad una valutazione inferiore a quella raggiunta. Come hanno fatto anche la startup di cloud Box e quella di software Hortonworks. Inutile cercare altri esempi: nel corso degli ultimi mesi le startup tecnologiche che hanno scelto di quotarsi sono state poche. Un altro indizio che ha spinto il ceo della società americana di venture capitalist CB Insight, Anand Sanwal, a decretare che il 2016 «sarà l’anno dei conigli». Non significa che gli unicorni crolleranno sotto il peso delle loro mega-valutazioni, anzi: «Non sarà l’anno degli unicorni morti – ha rassicurato Sanwal – ma quello in cui i conigli si separeranno dagli unicorni». Insomma niente vittime sul campo, secondo lui, ma una sorta di selezione darwiniana che separerà le differenti specie.
Anche se questo non significa che il rischio di disfatta, per alcune, non sia dietro l’angolo. Sanwal stesso mette le mani avanti: «Può essere che alcuni unicorni si bruceranno o dovranno affrontare dei problemi. Non sono scommesse a rischio zero». D’altronde per capirlo basta vedere la ritrosia di fronte a Wall Street di Uber, la startup di noleggio auto con autista che ormai vale 51 miliardi. Il fondatore e ceo Travis Kalanick è rimasto fermo e impassibile anche di fronte al venture capitalist Fred Wilson, che di recente ha provato a battere i pugni sul tavolo sbottando: «porta in Borsa quella dannata azienda».

La discesa

Basta guardare il dato delle Ipo di gennaio: zero (non succedeva dal 2011). Basta osservare la discesa delle azioni dei big, come LinkedIn che in pochi giorni ha perso metà del valore delle sue azioni. Basta leggere i titoli dei giornali, dove operazioni di taglio, licenziamento e ridimensionamento delle aziende tech è all’ordine del giorno (e in cima alla lista c’è Yahoo!). Basta guardare la crisi di Twitter, che a dieci anni esatti dal lancio ancora annaspa alla ricerca di un modello di business che riesca a frenare il rosso perenne. Basta scorrere lo storico delle azioni di Square, che ha sì scelto una quotazione al ribasso ma ha comunque subito un calo del titolo che l’ha portata a scendere sotto il prezzo dell’offerta (avvenuta a novembre). Ecco perché appare allettante ridurre le ambizioni e puntare a diventare scarafaggi o conigli. È anche un modo per rassicurare gli investitori: una volta terrorizzati dal rischio di lasciarsi scappare il prossimo Facebook, oggi soprattutto spaventati di fronte alla possibilità di perdere soldi.
Al punto che, spiega Business Insider, ormai sono gli investitori stessi a guardare con diffidenza gli unicorni e a dividerli in tre grosse categorie: quelli che stanno crescendo con i numeri e meritano fiducia e investimenti (Uber ed Airbnb, per esempio), quelli che ormai hanno bisogno di quotarsi per recuperare moneta sonante (e quindi rischiano di entrare sul mercato con una valutazione inferiore a quella raggiunta) e infine quelli che non hanno alcuna speranza. Riassumendo: gli unicorni veri, gli aspiranti scarafaggi, i fallimenti.