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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Le vittorie di Nibali, dalle montagne al deserto

Era dal 2012 che Vincenzo Nibali non vinceva così presto nella stagione. Venerdì ha dominato la 4ª frazione del Giro dell’Oman con arrivo sulla Green Mountain, l’Alpe d’Huez del deserto, e ieri si è portato a casa la breve corsa a tappe del Sultanato.
Nibali, punta alla Milano-Sanremo del 19 marzo, visto che è già così in forma?
«No, e comunque prima ci sono Strade Bianche e Tirreno. Sapete come sono, mi piace cercare di vincere per tutto l’arco della stagione. Non mi basta un solo obiettivo».
Superato il fattaccio della cacciata dalla Vuelta per traino?
«Ho chiesto scusa e, a posteriori, forse è stato il modo per ripartire dopo il Tour sfortunato. E infatti a fine stagione 2015 ho vinto il Lombardia».
Non è presto per avere già una condizione così buona?
«Ho lavorato bene in inverno e poi in altura sul Teide anticipando i programmi perché punterò sul Giro che arriva due mesi prima del Tour».
Intanto ha trionfato sulla Green Mountain dove vinse già nel 2012: questione di feeling?
«Sì. È abbastanza lunga, quasi 8 km, ma soprattutto è dura, con pendenza media del 10% e punte al 14%. Molti non credono che in Oman ci sia una salita così e invece...».
E invece lei ha giocato a gatto e topo con Bardet, giovane speranza di Francia, e l’olandese Dumoulin, che contese la Vuelta 2015 ad Aru.
«Ottimi corridori che danno più valore alla mia vittoria. Quella salita sembra facile perché ha strade larghe, persino col guardrail, e pochi tornanti. Può tradirti, ma io sapevo bene dove scattare».
Ma uno scalatore ha montagne amiche e altre indigeste?
«Certo. E per i corridori tutte le salite sono diverse».
Le sue preferite?
«Sono molto legato alle Tre Cime di Lavaredo, una scalata che sembra non finire mai. Non potrò mai dimenticare la mia vittoria sotto la neve che mi regalò il Giro 2013».
E il «mostro» Zoncolan?
«Un pugno nello stomaco, in alcuni tratti non vai avanti, ma paradossalmente, quando sto bene, è una salita per me. Più è dura e meglio è».
Come il Mortirolo?
«Un’altra montagna pazzesca che mi è sempre piaciuta, come l’Alpe di Pampeago».
Ma c’è una di salita che odia?
«Diciamo che la Marmolada mi è sempre andata di traverso, non so neanche io perché».
Quest’anno scalerà salite per lei inedite alle Olimpiadi di Rio, dicono sia un circuito molto duro.
«Molto, e mi piace. Siamo andati a vederlo col ct azzurro Cassani ed è davvero selettivo. L’ho registrato con la videocamera sulla bici e lo ripasserò fino a impararlo a memoria».
Baratterebbe la conquista del Giro d’Italia con l’oro ai Giochi?
«Vincere le Olimpiadi è il sogno di ogni atleta, non solo nel ciclismo. È una gara speciale, con significati che vanno oltre lo sport. I Giochi sono più forti della politica e delle guerre, poi si svolgono in un’atmosfera straordinaria. Cronologicamente però viene prima il Giro, quindi adesso è quello il mio obiettivo principale».
Lei di Olimpiadi ne ha già disputate due, a Pechino e Londra, senza buoni risultati. A Rio?
«Vorrei riscattarmi e cercare di portare in Italia almeno una medaglia».
Lo sa che i bookmakers la considerano fin da adesso il netto favorito davanti agli spagnoli Valverde e Joaquim Rodriguez?
«Me l’hanno detto ma faccio finta di non sentire, lo sapete che sono un po’ superstizioso».
L’altra punta azzurra sarà Fabio Aru, suo compagno nell’Astana al fianco del quale prima disputerà anche il Tour de France. Due galli in un pollaio?
«Io e Fabio siamo entrambi scalatori, con obiettivi simili. Ma questo non vuol dire che ci faremo la guerra, almeno finché indosseremo la stessa maglia».
È per questo che molti parlano già di lei nel 2017 alla Lampre, alla Trek o addirittura in una nuova squadra araba con Bjarne Riis team manager?
«Per l’anno prossimo non ho ancora deciso. Chissà, magari resto all’Astana con Aru».