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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Dhani Harrison, il figlio dei Beatles che rende omaggio al papà

Nel nome del padre, del figlio e dei Beatles, Dhani Harrison ha sempre cercato di costruirsi un’identità artistica. Per niente facile, soprattutto dalle parti degli eredi diretti del più famoso quartetto rock al mondo. Ne sanno qualcosa Julian e Sean Lennon, ancora di più James McCartney. Mentre Zak Starkey, figlio di Ringo Starr, si è accontentato (e ha goduto) del suo status di session man. Così non ci stupiamo più di tanto se Dhani ci chiede espressamente di non fargli domande dirette sul papà famoso, scomparso nel novembre del 2001, ma di concentrare la nostra curiosità su George Fest – A night to celebrate the music of George Harrison (in pubblicazione il 26 febbraio), un documento sonoro e visivo del concerto tributo alla grandezza musicale del famoso genitore che ha coinvolto, tra gli altri: Brian Wilson e Al Jardine (Beach Boys), Ben Harper, Norah Jones e Flaming Lips: «Ho unito due generazioni di musicisti. Quella di mio padre e quella mia», ci dice dalla tenuta paterna di Lower Nahiku, alle Hawaii. E per smarcarsi ancora di più dal sole accecante dell’immortalità ha fondato una band, Thenewno2, il cui nome tradotto in italiano sta per “i nuovi numeri due” che è un po’ come dire: la solitudine dei figli di papà famosi, visto che il gruppo lo condivide con Paul Hicks, figlio di Tony Hicks degli Hollies.
Qual è il reale significato di questo tributo?
«Abbiamo avuto un sacco di lavoro da quando mio padre è morto. Album da remixare e rimasterizzare. Ho realizzato prima il videogioco Rock Band per i Beatles. Poi mi sono dedicato al box in vinile che comprendeva gli Apple Years di papà con un duro lavoro di restauro sui dischi. C’è stato anche un show televisivo che ha coinvolto Paul Simon, Beck, Norah Jones e tanti altri. Ognuno ha cantato una canzone di mio padre. Tutta la nostra organizzazione era esausta e voleva cambiare aria. L’appuntamento con il George Fest era una via di fuga. E in questo show ci sono artisti come Nick Valensi (chitarrista degli Strokes), i Flaming Lips, Brandon Flowers (The Killers), i Black Rebel Motorcycle Club, Brian Wilson e Al Jardine. Tutti erano entusiasti di reinterpretare questo patrimonio musicale».
Due grandi tributi in meno di 15 anni, “Concert for George” e “George Fest”, non sono forse troppi?
«Il primo evento fu realizzato l’anno dopo la morte di mio padre. Ci fu molto poco tempo a disposizione. La parte iniziale del concerto fu dedicata alla tradizione musicale indiana con il coinvolgimento, ovvio, di Ravi Shankar. Eric Clapton fu il direttore musicale, Paul Mc-Cartney, Ringo Starr e Jeff Lynne furono gli ospiti prestigiosi. Quel concerto fu realizzato a Londra. Mentre con l’ultimo, fatto a Los Angeles, volevo andare indietro nel tempo e nella storia musicale di mio padre con meno coinvolgimento emotivo. Quello che volevo fare con George Fest era celebrare la grandezza di papà, non più la sua scomparsa. Amo il modo in cui questi due eventi si completano, una specie di unione di opposti».
Qual è stato il momento migliore che ha vissuto in questo show?
«Ce ne sono stati diversi. Il migliore in assoluto è quando abbiamo interpretato Let it down che per quanto mi risulta non era stata mai fatta dal vivo prima di allora. Poi scelgo anche la versione di Be here now cantata da Ian Astbury (The Cult), intensa ed emozionante. E un altro momento, eccezionale, è stato quello in cui Karen Elson ha cantato I’d Have You Anytime».
Un rilevante numero di canzoni è tratto da “All Things Must Pass”. C’è una ragione particolare?
«Penso che per la mia generazione quel disco sia stato un po’ ignorato, perché non ha avuto per lungo tempo una versione rimasterizzata».
C’è un gioco di parole tra George Fest e il nome di uno dei più grandi calciatori mai esistiti, George Best, il quinto Beatle? Tra l’altro, nel suo momento più nero, Best amava spacciarsi per suo padre in cerca di autografi...
«Noi tutti abbiamo amato George Best. Ma quel gioco di parole non è voluto, anche perché il Fest si riferisce alla festa, alla celebrazione. Certo, anche in onore di George Best spero di dare agli ascoltatori tutto il meglio da questo lavoro».
Nuovi progetti?
«Ho pronto un disco, uscirà a mio nome. Per il momento con i Thenewno2 ci prendiamo una pausa. Anche perché tra questi ultimi impegni e la scrittura di colonne sonore per serie tv e film sono stato sempre a contatto con Paul Hicks, il mio caro amico. E quindi…».