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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Villa in campagna e plaid sulle ginocchia: l’inaspettato Tinto Brass. Una mostra a Roma lo celebra (ma ci sono anche i culi)

Ridacchia sornione e dice subito che «beh, dopo una vita ad aver mostrato gli altri, le altre soprattutto, finalmente mi metto in mostra io».
Modi di fare da patriarca, plaid sulle ginocchia, battuta pronta, occhiali con montatura rossa che sfiorano il vezzo, il signor Giovanni Brass – Tinto per tutti, classe 1933, di professione regista «e non solo regista erotico» – si racconta alla vigilia dell’esposizione a lui dedicata, titolo «Uno sguardo libero», che apre i battenti domani nel Complesso del Vittoriano, a Roma. E lo fa accogliendo il visitatore seduto sul divano della villa di campagna alla periferia nord di Roma, una casa zeppa di libri e dischi affacciata sul verde, dove si arriva con qualche peripezia, navigatore alla mano: «Vivo qui dal 1970, non c’era nemmeno il telefono – racconta – dopo aver trascorso anni a piazza del Popolo. Altri tempi, altra città, altri amici. Uno che veniva a trovarmi sempre era Goffredo Parise. Qui invece, ecco, vede quel tavolo da pingpong? Ogni domenica per decenni ho sfidato Michelangelo Antonioni, poi si mangiava insieme. Vincevo io, ma qualche volta ho fatto finta di perdere per non farlo arrabbiare».
Parise, piazza del Popolo, Antonioni per amico («lo conobbi perché veniva a prendere Monica Vitti durante le riprese del mio film Il disco volante»). Sarà, ma forse abituati a Mirande, Paprike e Monelle svolazzanti in bicicletta, è il Brass che non ti aspetti. A riportarti sulla terra ci sono comunque i grandi poster appesi all’ingresso della villa, locandine di quando Tinto si presentò alle elezioni, lista radicale Pannella-Bonino («Battaglie di libertà, simpatia, ma la verità è che della politica non mi è mai fregato nulla»), con enormi forme femminile desnude, rigorosamente lato b, in primo piano: «Ecco – ride – così chiunque arriva qui è sicuro di non aver sbagliato indirizzo».
L’autoironia pare ingrediente imprescindibile in casa Brass: «E anche se penso a questa mostra la prima reazione è una risata», dice il regista. «Io ho scelto le foto, una a una, ed è la sola cosa che mi interessava davvero. Per il resto ho lasciato fare ai curatori». Setacciando nei monumentali archivi di oltre mezzo secolo di carriera sono venuti fuori inediti e sorprese tra sceneggiature, bozzetti di scenografie e costumi, manifesti, foto di scena (di Gianfranco Salis, soprattutto) e filmati. Anche tavole originali e mai viste dello storyboard di Guido Crepax per il film Col cuore in gola: «Un altro amico, lui come Moravia, conosciuto ai tempi del film L’uomo che guarda. Entrambi metodici, andavano a cena insieme ogni settimana».
A curare la rassegna, con due focus speciali sui primi film-scandalo Caligola e Salon Kitty, l’attuale compagna del regista, Caterina Varzi, in collaborazione con Andrea De Stefani, neolaureato con una tesi sul cinema di Brass. Sono loro ad aver messo mano per un anno negli sterminati archivi di Tinto, uno di quelli che conservano tutto in chilometrici scaffali carichi di faldoni. Dentro, ricevute di ristoranti, scatole vuote dei prediletti sigari, fogli con su impresse impronte speciali di tante sue attrici (e non si tratta delle mani...), vecchi volantini ciclostilati di femministe inviperite che denunciavano «Brass lo stupratore», lettere di Mario Soldati o cronache ingiallite di manifestazioni indette da gruppi di suore in Australia. «Nella vita ho passato quasi più tempo nei tribunali che dietro la macchina da presa – ricorda Tinto – ventisei film su ventisette censurati, tutti tranne La Vacanza del ’71, con Franco Nero e Vanessa Redgrave, che vinse il premio della giuria a Venezia».
«Obiettivo di questa mostra – spiega Varzi – è raccontare il lungo percorso del regista anche attraverso aspetti meno noti al grande pubblico». Erotismo dunque, ma non solo, per questo ex ragazzino cresciuto a Venezia, nipote di un celebre pittore (Italico Brass) e figlio di un vice podestà, il quale buttato fuori di casa scappò a Parigi senza una lira in tasca: «In treno, di notte, feci l’amore con una ragazza in uno scompartimento pieno di gente. Partii dopo aver scritto una lettera a Buñuel che non credo sia mai arrivata. Trovai da lavorare alla Cinémathèque française come archivista. Ho fatto tutto e rifarei tutto, nella vita. Sesso? Anche. Non so se l’ho più praticato o raccontato. Direi un’esistenza equamente divisa tra cinema e casini, la mia, fin da ragazzino. A Venezia c’erano trenta schermi e trenta bordelli. Io li ho frequentati tutti, ogni volta vendendomi qualcosa di antico che prendevo in casa. Il film mio che amo di più? L’Urlo, con Gigi Proietti. Le attrici? Tina Aumont e Stefania Sandrelli, bella, simpatica, libera».
E anche nel saluto finale c’è tutto il personaggio-Brass. Una dedica sul frontespizio di un suo libriccino cult dove si parla, tanto per cambiare, di elogi del fondoschiena: «Con erotica complicità. Tinto».