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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

In morte di Ida Magli

Maria Luisa Agnese per il Corriere della Sera
A novant’anni tondi (ma non li dimostrava) se ne è andata Ida Magli, antropologa di vaglia, rara avis nel panorama italiano. Non li dimostrava perché è morta in piedi, dibattendo le sue idee con quella vis che aveva sempre mantenuto, scegliendo una vita fatta di concentrazione e di studio e nutrendo fino alla fine «l’encefalo come lo stomaco, con buone letture scelte a istinto» (come diceva, scuotendo zazzeretta e frangia bionde).
Ecumenicamente appassionata di musica – era diplomata in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia – quanto di scienze umane, era transitata dalla laurea in Filosofia alla specializzazione in Psicologia per approdare all’Antropologia culturale che lungamente ha insegnato alla Sapienza di Roma allevando schiere di alunni e alunne devoti e affascinati.
Si era ritagliata una posizione forte nel panorama dell’antropologia mondiale con l’intuizione di applicare il metodo musicale alla scienza e con quell’idea forte di non studiare, come tutti gli antropologi, le culture altre, diverse, ma di applicarsi alla storia della nostra cultura e allo studio dei suoi simboli.
«Un atto violento, che sconvolge, lo so, quello di analizzare noi stessi come altro. Ma anche l’attacco della Nona di Beethoven mi ha sempre sconvolto, per la sua forza di ribaltare i criteri, di partire dalla fine e non dal principio» ha raccontato in un’intervista a Radio2 del 1987, con cristallina programmaticità di tutto quello che avrebbe ribaltato in seguito.
Dirompente quindi parlare di sacro nell’Occidente, di mito della Genesi e non solo di miti primitivi; drastico mettere a fuoco il ruolo e la percezione simbolica della donna in un libro, La violenza sulle donne, il pensiero di Wojtyla, che fu quasi messo all’indice dal Vaticano.
Poco dopo, nel 1997, sempre in nome della difesa dei simboli e delle identità forti dei popoli, arrivò il duro pamphlet Contro l’Europa e l’antropologa fino allora osannata dal pensiero radical chic (aveva collaborato a lungo con Repubblica e con l’ Espresso ) cominciò un percorso in solitaria di nuova radicalizzazione del suo pensiero.
Rinnegamenti, o rimessa a fuoco di una falsa percezione in cui altri l’avevano frettolosamente incasellata?
Di sicuro, uscita dal cono di luce della sinistra, lei ha continuato a ribaltare, con spirito critico travolgente – per quanto controverso agli occhi dei più – le idee ricevute e i codici rassicuranti del pensiero corrente.
Lo ha fatto, nei suoi libri e nei suoi articoli nel frattempo trasmigrati sul Giornale, con l’Europa, ma anche con l’Aids, con gli omosessuali, con l’Islam (denunciando il suo tallonamento in anticipo sui tempi) e persino con le donne: «Ho passato una vita a difenderle, ma debbo riconoscere che non sanno fare politica, non sono capaci di avere un’idea nuova».
«La migliore vecchia pazza dopo Oriana Fallaci» ha scritto sul Foglio Camillo Langone, tentando l’annessione alla destra di una mente in speculazione libera che forse ne ha sparata qualcuna un po’ grossa, ma sempre con insofferenza ideologica a 360 gradi, a cominciare dalle sue idee. E che, in spirito hegelian-situazionista, ha saputo spostare (un po’) più in là la soglia del politically correct.

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Marino Niola per la Repubblica
«Ma come, abbiamo appena cominciato ad emanciparci dai nostri veli, dalle nostre velette e ammettiamo che si torni indietro di secoli?». Lo ha detto e ripetuto ai quattro venti, soprattutto negli ultimi tempi, l’antropologa Ida Magli, morta ieri a 91 anni nella sua casa di Roma. Se n’è andata controcorrente, come aveva vissuto e pensato. Con lei scompare una delle figure più singolari dell’antropologia italiana. Un’intellettuale sempre in presa diretta sulla realtà. Che era capace di analizzare in profondità, con gli strumenti della sua disciplina. Ma anche di leggere a volo radente e in tempo reale. Qualche volta prendendo in contropiede la vulgata e i luoghi comuni. Soprattutto quelli del politically correct, che lei considerava una sorta di virus che, infiltrato nel linguaggio, stava deprimendo lentamente ma inesorabilmente i secolari anticorpi della società occidentale. Vedeva nel progetto europeo una sorta di autoannientamento, nato sbagliato perché fondato sull’idea di unificare popoli troppo diversi e soprattutto privi di una lingua comune, condizione essenziale per sentirsi uniti.
Queste sue opinioni, teorizzate in libri come Difendere l’Italia, Dopo l’Occidente, La dittatura europea e
Contro l’Europa, l’avevano resa un personaggio scomodo. Provocatorio, disallineato, sghembo. Anche per questo era diventata celebre. Sin dall’inizio della sua carriera. Quando era professore di antropologia culturale alla Sapienza e cominciò a scrivere per questo giornale, su invito di Eugenio Scalfari e di Rosellina Balbi. Erano gli anni Ottanta. E gli articoli di Ida Magli, taglienti come rasoi, rappresentarono un contributo importante a un’analisi antropologica del nostro paese che, partendo da fatti quotidiani approdava a grandi questioni come la disuguaglianza tra i generi, la crisi del patriarcato, l’evoluzione-involuzione dell’istituto famigliare, le ragioni della violenza calcistica. Ad esempio il 30 maggio 1985, all’indomani della tragedia dello stadio Heysel di Bruxelles, scrisse un bellissimo articolo in cui smontava i sociologismi sul calcio come ritualizzazione della guerra, mostrando che al contrario negli stadi si combatteva ormai una vera e propria guerra guerreggiata, coperta da interessi colossali. Ma soprattutto denunciava la spaventosa miseria culturale degli ultras, una massa che si nutre solo di calcio ed è drogata di agonismo.
Oltre all’antropologia amava anche la narrativa. Tanto che nel 1982 vinse il premio Brancati per la letteratura con il suo Gesù di Nazareth. E con lo stesso acume eterodosso con cui leggeva il presente, guardava anche al passato. Il suo primo libro Gli uomini della penitenza, infatti, è uno straordinario affresco del Medioevo. Che fa affiorare la trama sincronica dei diversi aspetti della vita in quei secoli lontani. Il potere, la devozione, il lavoro, la povertà, i pellegrinaggi, la nascita degli ordini mendicanti che fanno della rinuncia un valore rivoluzionario. Aveva un metodo completamente diverso rispetto agli storici. Più simile a quello che hanno gli etnologi quando visitano società lontane e mostrano come l’individuo diventi il produttore e al tempo stesso il prodotto della sua cultura. Che sia l’uomo medievale o che sia quello contemporaneo.
Dagli anni Novanta, un po’ come Oriana Fallaci, aveva assunto una posizione dura contro l’Islam, colpevole a suo avviso di minare alla base le nostre libertà di moderni. «Dobbiamo limitare l’ingresso in Italia ai musulmani – diceva – oppure saremo perduti. Dobbiamo difendere la nostra libertà di pensiero, le conquiste delle donne. Dobbiamo ricordare la fatica che abbiamo fatto per difendere i nostri diritti». Come avrebbe detto Umberto Eco, Ida Magli era diventata apocalittica. Eppure anche nelle sue affermazioni meno condivisibili brillava sempre il lampo di un’altra possibile verità.

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Giordano Bruno Guerri per il Giornale
Ha fatto appena in tempo a terminare il suo ultimo libro, Figli dell’uomo. Duemila anni di mito dell’infanzia, uscito a novembre nella Bur. È un saggio di una crudezza estrema, tanto da rendere difficile leggerlo fino in fondo: i bambini, è l’assunto, in ogni luogo e tempo sono stati oggetto di violenze atroci, che neanche immaginiamo per il passato e che spesso fingiamo di non conoscere nel presente. Il motivo della crudeltà verso l’infanzia è che i piccoli - deboli e di scarso valore economico - sono le vittime ideali. È solo un esempio fra i tanti possibili sull’originalità del pensiero di Ida Magli, sul suo diverso approccio alla storia e alla realtà. Mai rassegnandosi all’ovvio delle idee ricevute e pagando sempre in prima persona.
A vederla non l’avresti mai detta capace di tanta durezza, nel suo sistema logico forte e lucido come l’acciaio. Minuta, bionda, sempre perfettamente pettinata, gli occhi celeste madonna, dalla sua vocina risuonavano asprezze di giudizio che mai avresti potuto immaginare in un simile essere. Diplomata al Conservatorio, suonava il pianoforte, nella sua piccola casa lindissima su una collina romana. E coltivava rose in terrazza. Erano i suoi soli svaghi. Ida si svegliava all’alba e andava a letto tardi, per poter studiare e scrivere di più, anche a 90 anni passati. Sapeva che le restava poco tempo, e voleva dare ancora il più possibile dell’immensa ricchezza di pensiero e di cultura che aveva accumulato.
Non verrà ricordata quanto e come meriterebbe, in questo periodo di scomparsi celebri, ma non se ne sarebbe stupita, né addolorata. Ci aveva fatto l’abitudine. E a ogni colpo subìto si rafforzava. Fu lei a portare l’antropologia culturale nelle università italiane, e lasciò la cattedra per non soggiacere alle infamie delle baronie senza studio. Fu lei a divulgarla con due saggi straordinari già dal titolo: Alla scoperta di noi selvaggi e Viaggio intorno all’uomo bianco. Fu lei la prima ideologa del femminismo italiano, finché rinnegò il movimento giudicando le donne incapaci di affermare se stesse. Approdata alle testate più ambite dall’intellighentia - l’Espresso e Repubblica - le abbandonò, senza essersi assicurata altre collaborazioni, per protesta contro la mancata pubblicazione di alcuni articoli. E, arrivata al Giornale, mal sopportava che le si appiccicasse l’etichetta di destrorsa, pur sapendo di vivere in una gigantesca fabbrica di etichette. Prendete a caso uno dei suoi tanti libri e ci troverete una sorpresa che potrebbe farvi il grande dono di un nuovo pensiero. Santa Teresa di Lisieux, che rovescia come un calzino il tema della santità. Gesù di Nazareth, un saggio devotissimo dove dimostra che il cristianesimo, ripristinando il sacro nella religione, non ha mai applicato realmente il pensiero del Cristo. Sulla dignità della donna, dove - in un periodo di beatificazione in vita di Wojtyla - sostiene che per Giovanni Paolo II la donna è in realtà una figura sacrificale. Gli ultimi anni Ida Magli li ha dedicati alla lotta Contro l’Europa, titolo di uno dei suoi libri più importanti e veggenti, dove denuncia la perdita delle sovranità nazionali, di libertà e democrazia, in un sistema livellato verso il basso, secondo i criteri di un nuovo comunismo. E contro l’Europa si è battuta praticamente da sola, dall’inizio degli anni Novanta, mentre tutti la sbeffeggiavano per questo, prima di cominciare a rendersi conto delle sue molte ragioni. Andate a vedere il sito dell’associazione che ha fondato senza chiedere un centesimo a nessuno - viveva con un pugno di riso - e ci troverete pensieri che si stanno ingigantendo fra gli europei: www.italianiliberi.it.
Nel 1996 pubblicò un libro che ai più sembrò visionario, fanatico o - nel caso migliore - esagerato. Si chiamava e si chiama Per una rivoluzione italiana (Baldini & Castoldi): parla di politica, scuola, islamizzazione, Unione europea, mass media, sistema sanitario, Costituzione. Pone delle domande apparentemente banali, come sempre appaiono le grandi questioni: viviamo davvero in una democrazia? I politici ci rappresentano davvero? Lo Stato pensa davvero al bene dei cittadini? La risposta di Ida Magli è sempre «no», il cittadino non possiede, in realtà, nessun potere: per cui occorre ribaltare molti luoghi comuni che sono alla base della nostra vita sociale. Soprattutto, preannunziava uno scontro mortale con il mondo islamico. All’epoca quasi nessuno sapeva cosa fosse Al Qaida, l’attentato alle Torri gemelle era al di là di ogni immaginazione, per non parlare dell’Isis. Dunque i passaggi sull’islamismo apparvero, ai più, come una forma di arretratezza culturale, di chiusura mentale, se non addirittura di razzismo. Il volume venne del tutto ignorato, ucciso con la tecnica del silenzio, e non è più stato ristampato. Ma lei sapeva, tutt’altro che umiliata, che un giorno sarebbero state riconosciute le sue ragioni.
È morta serena e lucida, nella sua casa, accanto al figlio. Nel suo Omaggio agli italiani (bru, 2005), di pochi anni fa, un passaggio le si attanaglia perfettamente: «Questa è la grandezza degli italiani: aver continuato a pensare sempre, a creare sempre, perché soltanto l’intelligenza sa di essere libera, quali che siano le coercizioni esteriori. Sa che la grandezza dell’Uomo è nel pensiero, e sa che c’è sempre almeno un altro uomo che lo afferra e lo trasmette».