la Repubblica, 22 febbraio 2016
Boris Johnson, il sindaco di Londra che aspira al posto di Cameron, dice no all’Europa
Il partito conservatore si spacca sull’Europa. È una parte importante quella che si ribella a David Cameron schiarandosi per l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue nel referendum annunciato dal premier per il 23 giugno prossimo. Ne fanno parte Michael Gove, ministro della Giustizia, cervello dei Tories e – fino ad ora – uno dei migliori amici di Cameron nel governo; Iain Duncan Smith, ministro del Lavoro ed ex-leader del partito; e ora, soprattutto, anche Boris Johnson, sindaco di Londra e aspirante ad essere, dei conservatori, il nuovo leader dopo Cameron.
Johnson ha annunciato ieri la sua scelta, legata all’eccessiva influenza esercitata dalle istituzioni di Bruxelles sulla sovranità britannica. «C’è troppo attivismo giudiziario – spiega il sindaco di Londra – troppe leggi che arrivano dall’Ue. La mia decisione è stata difficile – aggiunge – e l’ultima cosa che volevo era andare contro Cameron». E a chi già lo accusa di voler scippare la leadership dei Tories, risponde: «Qualunque sia il responso del referendum su Brexit, lui deve rimanere al suo posto».
Comunque, mezza dozzina di membri dell’esecutivo su ventuno, poco meno di un terzo dunque, probabilmente un terzo (un centinaio) dei deputati, rifiutano l’accordo con l’Ue presentato dal premier come un successo. «Abbandonare l’Europa – ha ripetuto ieri Cameron – ci toglierebbe influenza a livello internazionale». Ma l’ala più euroscettica dei Tories ha detto di no a qualsiasi intesa con Bruxelles. E la presenza di Gove, e ancora di più del sindaco Johnson fra i ribelli, è un campanello d’allarme preoccupante per Cameron. Oltre a Gove, nel governo altri pezzi importanti hanno scelto Brexit: il ministro della Cultura John Whittingdale, Theresa Villier, rsponsabile del dicastero per l’Ir-landa del Nord, Priti Patel (Occupazione) e il presidente della Camera Chris Grayling.
Un sondaggio sul Mail sembra però tranquillizzare Cameron: il 48 per cento degli interpellati voterebbero sì alla Ue, il 33 per il Brexit, mentre il 19 si dice indeciso. Ma i rilevamenti dei giorni precedenti fatti da altri media avevano dato indicazioni diverse. E deve ancora pesare, sull’opinione pubblica, l’effetto del no all’Europa pronunciato da Johnson, sicuramente il più pesante perché viene dal personaggio più carismatico del partito.
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Dentro al quale, tuttavia, c’era una sola poltrona, quella di primo ministro, per due giovani ambiziosi; e se l’è presa il più giovane, Cameron, lasciando stupefatto l’altro, che si è dovuto accontentare, per ora, di fare il primo cittadino della capitale. Adesso è arrivata la resa dei conti, da cui uno dei due uscirà distrutto, l’altro vincitore.
Boris Johnson è stato a lungo giornalista, continua a scrivere per il Daily Telegraph, di cui è stto, ironia della sorte, anche corrispondente da Bruxelles; e poi direttore dello Spectator, lo storico settimanale conservatore. Ma uno scoop come quello di ieri sera, ai media, non lo aveva mai dato. Di provocazioni e disavventure ne ha avute tante, incluse scappatelle con colleghe di lavoro che lo hanno fatto finire sulla prima pagina dei tabloid. Stavolta, però, è diverso. Lo hanno chiamato clown, antipatico, spaccone. Lo hanno accusato di sgambettare bambini alle partite di calcio e di rugby per impossessarsi della palla. Però sotto sotto il sindaco in bicicletta scherzava e sotto la sua cascata di capelli biondi c’era sempre un sorriso. Lo hanno preso in giro per le frasi ad effetto e gli atteggiamenti churchilliani, ma su Churchill ha scritto anche una bella biografia, diventata un bestseller, qualche mese fa.
Ora tira uno schiaffo all’inquilino di Downing street. Dove Cameron aveva invitato Johnson a un lungo colloquio, subito prima di partire per il summit europeo, sperando di convincerlo a dargli il suo sostegno in caso di intesa al vertice. Ieri mattina si è scoperto che negli stessi giorni Boris era andato “segretamente” a cena con Michael Gove, ministro della Giustizia, dirigente storico del partito conservatore e ora dichiarato capofila dei ribelli nelle file dell’esecutivo: ovvero del fronte che vuole votare no all’Europa. La foto del loro tete-à-tete, uscita in prima pagina sul Sun come quella di due amanti clandestini, è la classica immagine che vale più di mille parole.
È rischioso avere un grande comunicatore come Boris contro. «È pericoloso mettersi insieme a Farage e Galloway», lo ha avvertito Cameron. In simile compagnia, intendeva, Johnson farebbe una pessima figura, poco adatta a uno che aspira, senza nasconderlo, a prendere un giorno il suo posto a Downing street. Una poltrona a cui Boris si è sempre sentito predestinato: non si è mai capacitato, in effetti, che ci sia arrivato prima il suo più giovane ex-compagno d’università e di bisbocce.
L’altro giorno il Financial Times ironizzava che il sindaco non avrebbe avuto il coraggio di mettersi contro l’establishment politico ed economico della nazione, visto che anche il business, le banche, la City sono per rimanere nella Ue. Ma evidentemente Johnson pensa che nel referendum prevarranno i no all’Europa e preferisce mettersi dalla parte dei vincitori proprio nella prospettiva di una sua successiva ascesa a Downing street. I suoi antenati sono russi, la sua prima moglie era italiana, la sua passione è l’antica Roma e la città che governa da otto anni è piena di europei: ma Alexander Boris de Pfeffel Johnson (questo il suo nome completo) non ama l’Europa. Il risultato del referendum deciderà anche la sua futura carriera.