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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Il finale sbagliato fra Totti e la Roma. Lo sfogo, la rottura con Spalletti, e ora?

Il tema è un altro, il Palermo è un intralcio, al terzo posto penseranno più avanti. Siamo alla fine di un’epoca. Sembra una partita d’addio. C’è una bandiera sbrindellata di fresco che continua a sventolare sopra l’Olimpico e sventolando continua a sbriciolarsi. In campo Totti non c’è (sta in tribuna) ma parlano solo di lui. Mentre i suoi compagni cercano la quinta vittoria consecutiva senza incontrare ostacoli, non c’è un solo tifoso che non venga sfiorato dall’ombra del capitano in dismissione. Totti è sempre travolgente. Ma stavolta il talento non c’entra. Contano l’inquietudine di un campione che parla da 30enne e gioca da 40enne, vagamente scollegato dalla realtà e dalla condizione dei suoi snodi, vertebre, ginocchia, tendini. Al Tg1 rilascia dichiarazioni d’insofferenza: «Chiedo rispetto, non posso finire così, certe cose vanno dette in faccia». Spalletti lo affronta, lo caccia dal ritiro e lo esclude dalla convocazione. «Lui parla di rispetto – dirà a fine serata – ma se rispetto lui non rispetto gli altri 25. Mi hanno chiamato perché le cose qui andavano male. Devo far rispettare le regole, il lavoro, la squadra. Mi dispiace, Francesco sa che qualsiasi cosa vorrà fare nella Roma io sarò con lui». Una segnale di pace, forse, chissà.
Ma Spalletti oggi non può garantire a Totti un ruolo per domani. Lo disse appena arrivato: «Sono l’allenatore della Roma, non di Totti». E visto che secondo il ds Baldissoni «la società fa e pensa quello che fa e pensa il suo allenatore», è la Roma che di fatto esclude il suo capitano scaduto. «Non c’è niente di punitivo, Totti è inscindibile, con lui nessuno strappo», precisa Baldissoni. Allora c’è qualcosa che non torna. Declassato a peso da sopportare, un Totti liquidato metterebbe a rischio gli abbonamenti e cancellerebbe per sempre il doppio e funzionante brand (Totti & Roma). Ma bisognerà abituarsi. Le leggende restano ma smettono di giocare. Certo l’utilità del “botto” polemico in termini agonistici è meno di zero e il ritorno d’immagine impietoso. Neppure Pallotta aiuta Totti e l’ambiente, non si sbilancia, non dice hai ragione o hai torto: «Io rispetto Totti, parleremo presto». Più che la garanzia di un rinnovo sembra la velata conferma di un’attesa o programmata frattura.
Totti non si ritrova più, si sente di troppo, non vive un presente abbastanza rassicurante per ritardare il momento in cui dovrà pensare al proprio futuro, quello senza calcio, che lo terrorizza. La sua exit strategy può trovare alleati in Nord America (lì il mercato è ancora aperto e il campionato inizia a fine marzo): pare ci sia qualche club di Major League Soccer pronto a ingaggiarlo anche subito. Ma è questo il finale che merita? Stimoli finti e soldi veri? Ha quasi 40 anni, l’età è un baratro, se l’età non contasse Altafini e Pelè sarebbero ancora convocati, se l’età non contasse il cuore di un essere umano migliorebbe con l’esperienza e invece è l’esatto contrario. Invece Totti parla da adolescente, senza dirlo fa capire che «gli stanno facendo passare la voglia di giocare». Totti pensa a quello scarpino attaccato al chiodo e si sente male, ma quello scarpino si sta arrampicando da solo sulla parete della stanza di Trigoria in cui il capitano serba i propri cimeli. L’età non fa sconti e gli acciacchi non dicono bugie. Della gestione del suo declino si parla da almeno cinque anni (da Baldini a Zeman, allo stesso Garcia). Le persone che occupano i posti allo stadio non la pensano allo stesso modo. Qualcuno fischia Spalletti, altri fischiano chi fischia. Totti conosce la verità su se stesso ma non può raccontarla altrimenti la barca che culla il suo “fanciullino” affonderebbe. Resta Peter Pan, ma un Peter Pan con le gambe sempre più pesanti. Lo scorso anno, a Rotterdam ammise: «Ancora una stagione e mezza». Come da contratto. Nessuno ci fece caso. Già, e poi che faccio? Non ce lo vedi Francesco commentare una partita in televisione. E così si è arrivati al paradosso di vedere Totti entrare nel dopo-Totti da calciatore ancora in attività, con quei quattro inutili, fatali minuti col Madrid. Dopo tanta luce regalata, si sarebbe potuto permettere il lusso di prevenire il buio di questo probabile addio con un arrivederci più sereno e maturo, più pensato. I piedi restano, la fantasia pure, ma il corpo no, il fisico dice aiutami. Totti non può più esprimersi ai ritmi della giovinezza, perché è così che funziona per tutti. Quattro minuti sono brutti. La pensione andava preparata meglio. Ora il sipario è stato strappato. Proprio non doveva finire così.

Enrico Sisti

***

Come un altro, celeberrimo conflitto letale, anche questo inizia con un mezzogiorno di fuoco. Soltanto uno spara per colpire, ma alla fine feriti restano tutti: la Roma, Luciano Spalletti, i tifosi. E Francesco Totti. La cronaca di una morte annunciata, quella del rapporto tra il capitano romanista e la squadra che ha rappresentato per 24 anni, si concentra in 32 ore appena.
Sabato, ore 12.10 – È passato da poco mezzogiorno, i giornalisti iniziano a riempire la sala stampa di Trigoria in attesa della conferenza di Spalletti fissata per le 12.30. Da lontano, fuori dal bar del centro sportivo, intravedono la sagoma di Totti che si prepara per l’intervista al tg1. Si sparge la voce, “parla il capitano”, ma cosa dirà? Qualcuno teme il ritiro, altri l’esplosione del suo malumore. Avranno ragione loro.
Ore 13.00 – Spalletti risponde all’ultima domanda della sua conferenza. Oggetto del quesito, Francesco Totti. L’allenatore sorride e giura che lo farà giocare titolare in coppia con Dzeko. Una mano tesa. Intanto però sui cellulari dei dirigenti di Trigoria iniziano ad arrivare messaggi preoccupati. E scatta l’allarme: Francesco un paio di colpi li ha sparati, ma nulla di eclatante. Forse l’emergenza viene sottovalutata, anche a Spalletti nessuno lo allerta particolarmente. La squadra pranza a Trigoria, anche Totti, accanto ai compagni ignari della tempesta che sta per abbattersi sulla vigilia di Roma-Palermo.
Ore 17.00 – La squadra ha finito da poco l’allenamento, all’esterno iniziano a filtrare le prime anticipazioni delle dichiarazioni del capitano romanista. Qualche compagno le riceve sul cellulare, e le fa leggere ad altri.
Ore 20.30 – La squadra ha terminato la cena, Spalletti in ufficio ha appena ascoltato le parole di Totti. Gli erano state raccontate come dure, ma non deflagranti. E invece dopo averle sentite è furioso. Decide di parlare con i dirigenti e fa presente che da una situazione così non si scappa: o Totti resta a casa oppure me ne posso anche andare, come faccio a presentarmi nello spogliatoio?, il senso del suo pensiero. La notte la passano, lui e Totti, a Trigoria: divisi da pochi metri, ma lontanissimi, inavvicinabili.
Domenica, ore 10.00 – La squadra ha finito già da un po’ la colazione e Spalletti chiama nel suo ufficio Totti. Gli chiede se pensi davvero quello che ha detto. Gli spiega, animatamente, che quelle frasi sono diventate una fonte di distrazione per la squadra a poche ore dalla partita. Gli comunica che non sarà della partita, “se vuoi resta sennò torna a casa”. Scappa qualche frase colorita, pure un paio di “vaffa”. Poi Totti esce dall’ufficio dell’allenatore e va a cambiarsi.
Ore 11.00 – Alle radio la gente è esterrefatta dalle frasi di Totti. Il coro è quasi unanime: “Ci sentiamo traditi, per noi è come un figlio ma ora sembra che a lui non importi della Roma”. Nei sondaggi in rete anche l’80 per cento dei tifosi si schiera contro il capitano romanista e a difesa di Spalletti.
Ore 12.00 – A Trigoria Totti ha già parlato con i compagni raccontandogli che non sarà della partita, e spiegandogli di ritenere di non aver offeso nessuno. Incassa qualche “mi dispiace”, ma i compagni decidono di non prendere posizione. A quel punto il numero dieci si avvia verso la sua villa dell’Eur, solo. Proprio in quei minuti, la notizia della sua esclusione diventa di dominio pubblico. Il tam tam invade le radio. Ore 16.00 – I calciatori guardano le partite, qualcuno riposa. Intanto sui social e alle radio romane il vento inizia a cambiare: la notizia di Totti rispedito a casa altera il giudizio di molti. Lo stravolge. “Non si tratta così una leggenda”, “La Roma è lui, lo hanno cacciato da casa sua”. Il consenso per il numero 10 cresce, la città si spacca. Alcuni tifosi sotto casa di Totti gli dedicano una frase d’amore. Il club nonostante tante richieste continua a tacere: “Parleremo prima della partita”.
Ore 20.00: La squadra è nello spogliatoio, Totti in abiti borghesi la raggiunge. Quando lo speaker dello stadio scandisce il nome di Spalletti la curva sud lo copre di fischi. Tempo cinque minuti e Totti prende posto in tribuna, accompagnato dal coro “un capitano, c’è solo un capitano” che rimbomba da gran parte dello stadio. A chi gli chiede se gli abbiano fatto passare la voglia, sorride. Qualcuno prova a fischiare chi canta, ma si sente poco: nella folle guerra civile romanista, la gente ha scelto da che parte stare.
Matteo Pinci