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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

Randers, la città danese dov’è obbligatorio mangiare carne di maiale. Con tanti saluti all’accoglienza

Randers (Danimarca) Gli ultimi manifesti con Santa Claus che fuma marjuana sono chiusi nelle teche del museo che racconta la storia della città. Ma appena tre anni fa erano appesi alle vetrine di negozi e bar che somigliavano parecchio ai coffee shop olandesi. Nell’aprile del 2013 la municipalità di Randers stanziò tre milioni di corone, l’equivalente di 450mila euro, per migliorare una reputazione e una immagine troppo legate alla definizione di «Christiania dello Jutland», laddove il paragone con il celebre quartiere libertario e anarchico della capitale Copenaghen comportava una notorietà dovuta a spaccio di droga e libero consumo di alcolici.
Nelle ultime settimane la sesta città danese per numero di abitanti, 96.000 contando i sobborghi, è diventata il simbolo della frikadellekrigen, la guerra delle polpette, che la sta rendendo celebre anche all’estero. «Onde limitare l’affluenza e l’influenza dei migranti, ogni residente o ospite di questa città deve mangiare carne di maiale». L’idea è venuta a Frank Norgard, brizzolato consigliere comunale del Df, il partito di estrema destra danese, che mentre cammina tra le case in legno del centro storico ribadisce la bontà delle sue intenzioni. «Vogliamo che i bambini nati in Danimarca possano nutrirsi del nostro piatto nazionale anche in futuro, preservando così l’identità del cibo danese».
Il provvedimento che introduce l’obbligo di servire carne di maiale nelle scuole e negli asili nido, sottoponendolo in linea di principio anche a chi non la può mangiare per motivi religiosi, è una novità assoluta. Non solo a queste latitudini. Neppure in Francia e in Italia, dove in passato lepenisti e leghisti hanno affrontato la questione dei menu diversificati negli istituti, si era arrivati a una scelta così radicale. Succede invece in una città della tollerante Danimarca che vanta un welfare accogliente e statistiche che certo non fanno gridare all’invasione. Sui 780mila migranti arrivati nel secondo semestre del 2015 nei 28 stati membri dell’Unione europea, solo 13.000 hanno presentato richiesta di asilo al governo di Copenaghen. Ma è proprio da qui che lo scorso 3 gennaio è cominciato l’effetto domino dell’Europa sulla crisi dei migranti. La Danimarca è il primo Paese che ha deciso la chiusura delle proprie frontiere, seguita a ruota dalla Svezia. Subito dopo ha approvato una legge che permette alla polizia di requisire denaro e oggetti di valore dei rifugiati.
Randers, Danimarca. Una parte per il tutto. La guerra delle polpette è stata vinta dai sostenitori della carne di maiale obbligatoria per un voto di scarto, 16 favorevoli e 15 contrari. Il sindaco è un deputato del Partito liberale e può contare su 13 consiglieri. Il Df, partito del popolo danese, garantisce l’appoggio esterno con tre eletti che risultano decisivi. Nel suo piccolo è la riproduzione di quel che accade su scala nazionale dal 28 giugno 2015, giorno di elezioni che hanno consegnato una non-vittoria ai Liberali e il ruolo di ago della bilancia all’estrema destra. «Questa dipendenza politica genera decisioni assurde che non riflettono il vero sentire della nostra gente – dice Mogens Niholm, esponente dei social-liberali di Randers —. Sono tanti quelli che si vergognano per aver votato l’ordinanza sulle polpette. Hanno obbedito perché costretti. Tanto sanno che i Consigli dei genitori, decisivi nelle nostre scuole, non la applicheranno mai per intero».
A Copenaghen è diverso. La posta in gioco più alta e l’esposizione mediatica obbligano il governo al decisionismo senza compromessi sui confini e gli averi dei migranti. «Non è vero che siamo cambiati. Noi, come gli svedesi, ci siamo resi conto che una politica più rigida sugli stranieri è premessa essenziale per la loro integrazione nella nostra società». La parte dell’avvocato difensore dell’Europa del Nord tocca a Inger Stoiberg, ex giornalista e attuale ministro dell’Integrazione. «Se vogliamo che il trattato di Schengen sopravviva bisogna controllare in modo severo le frontiere esterne dell’Unione europea. Facciamo funzionare gli hotspot e la libera circolazione degli uomini tornerà quella di prima. Non dipende da noi». Stoiberg nega l’influenza dell’estrema destra, ma le statistiche dicono che qualcosa è cambiato proprio in questi ultimi mesi. Ancora nel 2014, quando il governo era nelle mani di una maggioranza conservatrice ma autosufficiente, la piccola Danimarca era stata il quinto Paese del mondo nell’accoglienza di richiedenti asilo (37.280) in ordine alla quantità di abitanti, il secondo dell’Unione europea per i profughi siriani. «Quelli che accettiamo hanno diritto a una casa e ad un programma di integrazione che prevede un posto di lavoro fisso. Quindi se vogliamo mantenere il nostro generoso welfare ci deve essere un limite alla quantità di profughi che possiamo ricevere».
Il ministro fa una smorfia quando si accenna alla guerra delle polpette. «In linea di principio sono favorevole al fatto che i nuovi arrivati rispettino i valori che definiscono l’identità danese». Intanto Randers è finita sulle pagine dei principali quotidiani e sui siti di mezzo mondo. Ma a giudicare dagli insulti arrivati via Internet, non è detto che la sua reputazione sia migliorata rispetto ai tempi del Babbo Natale fumato. C’era una volta una certa idea della Danimarca.