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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

Che cos’è il Partenariato Transatlantico

Apprendo da brevi e rari articoli nelle pagine interne del Corriere del cosiddetto «Partenariato transatlantico di commerci e investimenti» (Ttip) attualmente in fase di preparazione. Perché questa assenza di discussione pubblica e il quasi totale disinteresse, a tutti i livelli, su questioni di notevole rilevanza contrariamente allo stucchevole dibattito sulle unioni civili? Ci potrebbe dire qual è la vera portata dell’accordo Ue/Usa in formazione? Che cosa cambierà rispetto al panorama attuale? Quali sono gli interessi in gioco?
Antonino Venero Rapisarda
venero@aliceposta.it


Caro Rapisarda,
Il progetto fu lanciato nel 2013 con un obiettivo non diverso da quello di altri accordi stipulati negli scorsi anni per la creazione di grandi unioni doganali, zone di libero scambio o addirittura aree integrate come il mercato unico europeo. Il partenariato transatlantico presenta a prima vista grandi vantaggi. Potrebbe contare su 800 milioni di consumatori, fra i più prosperi del pianeta. Concernerebbe un’area, a cavallo dell’Atlantico, dove gli scambi ammontano a un trilione di dollari e i reciproci investimenti si aggirano fra i 3 e i 4 trilioni. Potrebbe aumentare considerevolmente il volume dell’interscambio e creare un numero cospicuo, anche se difficilmente calcolabile, di nuovi posti di lavoro. L’idea piace soprattutto ai governi e agli ambienti economici liberali, convinti che il libero commercio giovi contemporaneamente allo sviluppo degli scambi e alla pace fra le nazioni. Vi sono state sinora nove sedute negoziali e ve ne saranno verosimilmente parecchie altre.
La lentezza dei progressi è un indice dei molti nodi che i negoziatori devono sciogliere. Per creare una zona economicamente integrata non basta abolire i dazi doganali. Occorre anche eliminare il dumping (vale a dire l’esportazione di prodotti sottocosto) e soprattutto aggredire quel protezionismo non tariffario che consente a uno Stato, con metodi più o meno trasparenti, di escludere dal proprio mercato un concorrente dell’industria nazionale. Uno dei capitoli più complicati sarà quello dell’agricoltura. Sono rari i casi in cui quella di un Paese o di una comunità internazionale, come l’Unione Europea, rispetta scrupolosamente le leggi della libera concorrenza. Gli agricoltori formano spesso lobby potenti, perfettamente in grado di fare pesare il proprio voto anche nei grandi negoziati internazionali.
Aggiungo infine, caro Rapisarda, che anche la politica, in molti casi, può mettersi di traverso. Un commentatore del Financial Ti mes (Gideon Rachman) ha scritto negli scorsi giorni che sono almeno due i potenziali candidati alla presidenza degli Stati Uniti che hanno evidenti tentazioni isolazioniste. Donald Trump, un ricchissimo impresario edile, sostiene che gli Stati Uniti devono riconquistare la loro perduta sovranità aumentando la spesa militare e chiudendo i propri confini alla immigrazione straniera; mentre Bernie Sanders (il candidato che si definisce socialista) attribuisce a un eccesso di libero commercio i danni subiti in questi anni dalla classe operaia americana. Probabilmente né l’uno né l’altro, se venisse eletto alla Casa Bianca, sarebbe entusiasticamente favorevole al Partenariato Transatlantico.