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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

In morte di Harper Lee

Massimo Gaggi per il Corriere della Sera
Testarda fino in fondo, Harper Lee, autrice de Il buio oltre la siepe, il «grande romanzo americano» del ventesimo secolo secondo la critica, se n’è andata ieri, a quasi novant’anni, portandosi dietro segreti e misteri accumulati in più di mezzo secolo di ostinato silenzio, quasi di autoreclusione.
La scrittrice è morta nel sonno a The Meadows, la candida casa di riposo in stile coloniale di Monroeville, in Alabama, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Anni segnati da un ictus, nel 2007, che l’aveva lasciata quasi cieca e costretta su una sedia a rotelle, ma ancora capace di intendere e di volere: così l’ha giudicata lo Stato dell’Alabama dopo i dubbi emersi per la sua decisione di pubblicare, 55 anni dopo l’uscita del suo capolavoro, un altro romanzo, Go Set a Watchman ( Va’, metti una sentinella nella versione italiana): un misterioso manoscritto rinvenuto da un’avvocatessa amica di famiglia dopo la morte della sorella maggiore, Alice, anche lei avvocato, che aveva sempre difeso la privacy di Harper e la sua scelta di non pubblicare altro. Passando, così, alla storia per un solo capolavoro come la Margaret Mitchell di Via col vento o il Salinger de Il giovane Holden.
Come Salinger, dopo l’incredibile successo del suo romanzo sui conflitti razziali in una piccola città del profondo Sud americano (dieci milioni di copie vendute quasi subito, trenta se consideriamo le ristampe scolastiche e le edizioni straniere), Harper Lee scelse non solo di non scrivere più, ma anche di uscire di scena. Il buio oltre la siepe ( To Kill a Mockingbird il titolo originale) uscì nel 1960. La trasposizione cinematografica di Robert Mulligan che vinse tre Oscar, con Gregory Peck nei panni di Atticus Finch, il coraggioso avvocato protagonista del romanzo, è del 1962. L’ultima intervista della Lee è del 1964.
Ma l’autrice non si nascose: quando, un paio d’anni fa, andai a Monroeville sulle tracce letterarie sue e dell’amico d’infanzia Truman Capote, che abitava a pochi passi dalla sua casa, incredibile caso di due giganti della letteratura mondiale cresciuti nello stesso villaggio, la sua amica Connie Braggett, una manager del municipio, mi raccontò che le due sorelle Lee hanno continuato a vivere la loro vita uscendo, andando nei ristoranti e nei negozi, confondendosi tra concittadini che hanno rispettato il loro desiderio di riservatezza.
Da bambina, Harper venne su come un tomboy, un maschiaccio, come mi raccontò George Thomas Jones, amico che la conobbe oltre ottant’anni fa: «Alle elementari si scazzottava di continuo con i compagni: erano anni duri, quelli della Grande depressione, non si andava tanto per il sottile. E lei difendeva l’amico del cuore, arrivato da fuori e venuto ad abitare nella casa accanto alla sua: un bambino fragile che si chiamava Truman Sanders».
Sì, il maschiaccio cresce e difende a suon di pugni il delicato Parsons (che poi cambierà il nome in Capote). La Lee studia giurisprudenza spinta dal padre, l’avvocato Amasa Coleman Lee le cui arringhe lei va a vedere, affascinata, nel tribunale di Monroeville fin da bambina: sarà lui a ispirarle il personaggio Atticus Finch.
Nel 1956 alcuni amici, affascinati dalla sua scrittura, le regalano un anno di stipendio per staccarsi dal lavoro e stendere il suo romanzo. Nasce così, dopo una serie di rifacimenti animatamente discussi con gli editor della casa editrice HarperCollins, Il buio oltre la siepe : storia di una sonnolenta cittadina del Mezzogiorno americano con il razzismo che cova sottotraccia e, quando esplode, viene combattuto coraggiosamente da Atticus Finch. Solo contro gli umori ostili dell’intera città, l’avvocato non riesce a evitare la condanna di un nero del quale aveva dimostrato l’innocenza e che, poi, morirà in carcere.
Qui finisce la storia sotto la luce del sole di Harper Lee e comincia la penombra dei misteri. La vita segreta della scrittrice, certo, ma soprattutto il perché della sua scelta di dare alle stampe, quasi in punto di morte, un secondo romanzo di qualità inferiore (probabilmente una delle bozze preparatorie de Il buio oltre la siepe ) che, oltretutto, mina la nobile figura di Atticus: nel libro pubblicato l’anno scorso Scout, la figlia-narratrice, torna a casa dopo vent’anni e scopre da alcuni documenti che il padre era membro di associazioni razziste.
Sono in molti a ritenere che sia stata Tonja Carter, amica e avvocato, rimasta a gestire gli affari dei Lee dopo la morte di Alice, a convincere una Harper poco consapevole di quello che stava autorizzando.
Ma c’è un altro mistero nella biografia letteraria di questa donna: la vera storia dei rapporti tra Harper Lee e Truman Capote. Molti hanno pensato a lungo che dietro la potenza narrativa de Il buio oltre la siepe ci fosse anche il genio letterario di Capote. Ma tutto quello che è emerso negli ultimi anni spinge verso conclusioni opposte: non solo Il buio fu tutta farina del sacco di Harper, ma il capolavoro scritto subito dopo da Truman Capote, A sangue freddo, fu probabilmente anche frutto del lavoro della stessa Lee che lavorò come sua assistente durante tutte le fasi di ricerca e di stesura di questo romanzo-inchiesta.

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Gianni Riotta per La Stampa
Il Sud degli Stati Uniti è popolare per la sua mitologia, «Zio Tom» schiavo buono, Miss Rossella seducente eroina di «Via col vento», la cucina cajun, la musica dixie.
Un mondo in maschera, il romantico ribelle Confederato nella guerra civile, il crudele sceriffo Bull Connor che scatena in Alabama, 1963, i cani lupo contro i cortei del reverendo King, la ubiqua «Southern Belle» bionda, sexy, perduta delle ballate country.
Il Sud di Harper Lee, la misteriosa scrittrice americana scomparsa ieri a 89 anni, era invece un mondo senza maschere, meraviglioso per affetti, natura, famiglia, sentimenti e sogni, ma sovrastato dal mostro del razzismo, l’assurda paura dei bianchi per la rivolta dei «negri» da opprimere, la pena degli afroamericani per la miseria secolare dopo la schiavitù. Harper Lee aveva scritto da ragazza un romanzo, «To kill a mockingbird», tradotto in italiano, bizzarramente, in «Il buio oltre la siepe» («mockingbird» è un uccello, detto «mimo poliglotta» o «tordo beffeggiatore» per il canto che evoca voci infantili). «Mi aspettavo finisse in un nulla – ricordava l’autrice - qualche recensione blanda e via», invece il libro vende 40 milioni di copie e viene usato come lettura nel 74 per cento delle scuole. Secondo il «Library Journal» (esagerato) è «il miglior romanzo del XX secolo» e nel sondaggio americano, «Quale libro ha influenzato la vostra vita», finisce appena dietro la Bibbia.
L’inane titolo italiano sembra suggerire un thriller alla Hitchcock, ma la fantasia tenera della Lee genera lo scenario domestico del Sud dove è cresciuta, con i bambini a giocare spensierati fuori scuola. Scout, bambina che incarna l’autrice, è un «tomboy», un maschiaccio, pesta i rivali, corre con i monelli, condivide un’amicizia fraterna col biondino Dill.
L’amico Capote
Dill si ispira a un ragazzetto con cui la Lee passava pigri pomeriggi d’estate, la femminuccia con l’aria da dura, il compagnuccio «effeminato». Nella realtà Dill si chiamava Truman Persons, viveva la porta accanto ai Lee, e diventerà a sua volta famoso come scrittore con lo pseudonimo di Truman Capote. Come la solitaria cittadina di Monroeville, nel perduto stato dell’Alabama, nei sonnolenti Anni Trenta, abbia allevato due maestri della letteratura tra i vialetti polverosi è solo una delle tante sorprese nella vita enigmatica di Harper Lee.
Il papà di Scout, Atticus Finch, è modellato sul vero papà di Harper Lee, l’autorevole deputato e avvocato A.C. Lee. Nel libro Atticus è vedovo e tira su da solo i figli, nella vita mamma Lee era una nevrotica obesa, sempre curva su pianoforte e cruciverba. La vita paciosa del villaggio dell’Alabama, nel romanzo Maycomb, si ferma folgorata quando un giovane nero, Tom Robinson, è accusato di avere stuprato una Miss bianca, Mayella Ewell, reato che nel Sud si pagava con il linciaggio, la folla rabbiosa che fa giustizia sommaria dell’imputato, in prigione o al processo.
L’odio per i neri
Dal 1883 al 1968, 3446 afroamericani vengono giustiziati, con una corda al collo, da teppisti bianchi ubriachi e invasati. Persuaso che Tom sia innocente, Atticus Finch ne assume la difesa, gesto di coraggio che lo isola dalla comunità bianca, e fa scoprire a Scout e al fratellino Jem l’intolleranza nascosta dai sorrisi ipocriti. La generosità di Atticus (la Lee aveva scelto il nome dalla letteratura latina) non serve, Tom è condannato e ucciso. Eppure Finch ha dimostrato come Mayella non sia mai stata attaccata dallo sfortunato imputato, gettando i sospetti sul padre di lei, Bob Ewell, alcolizzato e violento. Il Sud delle buone maniere è sopraffatto dal Sud dell’odio. Bob fa il gradasso, sputa ad Atticus, vuol vandalizzare la casa del giudice, attacca Scout e Jem la notte di Halloween. Li salverà un solitario vicino di casa, il recluso Boo, di cui i bambini favoleggiano perché lascia loro regalini di nascosto ma di cui i «grandi» diffidano. Lo sceriffo, come si usa nell’Old South, persuade Atticus a non far denuncia: la morte di Bob nella colluttazione con Boo passa per un incidente.
Harper Lee vince il premio Pulitzer, e nel 1962 «Il buio oltre la siepe» arriva, in un bianco e nero tutto in interni che commuove per semplicità, a Hollywood, con il film del regista Robert Mulligan.
Vestito di chiaro, occhiali sottili tornati di moda, uno strepitoso Gregory Peck interpreta Atticus Finch ed esplode nella coscienza americana, con Kennedy alla Casa Bianca e il movimento per i diritti civili in prima pagina. Tre Oscar consacrano il dilemma di Harper Lee, il Sud è romantico o feroce?, come metafora della natura umana. Editori, critici, giornalisti, lettori si chiedono: quando uscirà il secondo libro?
Dopo il successo
Dapprima la Lee accampa scuse, la sorella, con cui vive, parlerà perfino del furto di un manoscritto, poi prende a pendolare tra Alabama e New York, quindi aiuta l’amico Truman Capote a redigere il capolavoro noir, «A sangue freddo» (molti ritengono ne sia l’autrice ombra, Capote, capriccioso, nega e rovina l’intesa con l’amica d’infanzia). Ogni anno lo scoop è pronto, «nuovo libro della Lee!», ogni anno nessuna novità. «Il successo mi fece male - lamentava Harper Lee - ingrassai, viaggiavo troppo, lavoravo male». Finché, nel 2015, la bomba, è pronto il nuovo romanzo, «Va, metti una sentinella», battage pubblicitario da Harry Potter. Non pochi son perplessi, Harper Lee è indebolita da un ictus, davvero ha dato l’ok? E la trama disorienta, Atticus Finch, inacidito, se la prende con i neri, teme «imbastardiscano» la razza bianca, cupa preda del conformismo che combatteva.
Harper Lee porta nella tomba i suoi segreti, la maestria suprema con cui – grazie all’assegno regalatole a Natale da un amico «Basta col lavoro all’agenzia di viaggi, scrivi!» - compose in pochi mesi un capolavoro, l’angoscia della pagina bianca da riempire cui non seppe più far fronte, il mistero del secondo libro, suo o no? Non curatevene, rileggete «To kill a mockoingbird», ricordo del Sud e monito su noi umani, divisi in eterno tra la nobiltà di Atticus e la viltà della forca.

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Irene Bignardi per la Repubblica
Come molti altri grandi scrittori, come Malcolm Lowry, Arundhati Roy, D.H. Thomas, Harper Lee, che ci ha lasciato ieri all’età di ottantanove anni (ne avrebbe compiuti novanta in aprile), è stata l’autrice di un libro solo: il più classicamente americano dei romanzi, “Il buio oltre la siepe”. Almeno fino allo scorso anno, quando il mercato editoriale mondiale è stato scosso dall’uscita del sequel “Va’, metti una sentinella” (pubblicato nel nostro Paese dalla sua storica casa editrice italiana, Feltrinelli), ritrovato tra le sue carte, ma scritto in realtà prima ancora del suo capolavoro. Un evento che ha polarizzato l’attenzione dei media, provocato un’attesa frenetica e poi scatenato una quantità di polemiche.
Eppure, anche dopo aver letto quest’altra sua fatica letteraria, recuperata tardivamente, l’opinione non cambia: Lee passerà comunque alla storia come creatrice di un’unica, vera grande opera letteraria. Uno dei libri più amati e venduti del secolo scorso, nato dalla fantasia di una ex ragazzina turbolenta di Monroeville, Alabama, l’amica di infanzia e di vita di Truman Capote, la figlia di un amatissimo padre, avvocato liberal, che molto assomiglia al protagonista del Buio oltre la siepe (in originale To Kill a Mockinbird, Uccidere un usignolo), un uomo del Sud che difende in tribunale un imputato di colore accusato ingiustamente. Il tutto visto con gli occhi di due ragazzini educati alla tolleranza, ma costretti a scoprire il brutale razzismo che li circonda.
In effetti Harper Lee (nome completo Nelle Harper Lee) già al college, a Montgomery, aveva cominciato a scrivere racconti. Erano anni di battaglie politiche, di conflitti razziali, di gesti esemplari.
Il buio oltre la siepe — pubblicato l’11 luglio 1960, nel pieno di un drammatico decennio di battaglie e di morti — divenne immediatamente un bestseller, vinse, nel 1961, il Pulitzer per la fiction, nel corso degli anni successivi vendette quaranta milioni di copie, ebbe premi a non finire. Diventando, nel 1962, un film dallo stesso titolo firmato da Robert Mulligan e premiato da tre Oscar, in cui il protagonista, Atticus Finch, modellato sul padre di Harper Lee, è Gregory Peck, la ragazzina Jean-Louise, detta Scout, interpretata dalla bravissima Mary Badham, è quasi un autoritratto della piccola Nelle, la Monroeville della giovinezza di Harper diventa la cittadina di Maycomb. E dove naturalmente sotto il personaggio di Dill, l’amichetto dei due figli di Atticus, compare l’amico d’infanzia di Harper Lee, Truman Capote, il ragazzino che ogni estate veniva piazzato presso le zie di Monroeville.
Quella dell’amicizia con Truman Capote è una vicenda parallela ma importantissima nella storia di Harper Lee. Da amico d’infanzia Capote si trasformò in un inconsueto compagno di vita e di lavoro. Fu lui a incoraggiarla a trasferirsi a New York, a tentare di pubblicare il suo romanzo e a metterla come un riconoscibile personaggio in Altre voci, altre stanze. Lee, da parte sua, gli fu vicino in tutto il lavoro di preparazione e stesura di quel capolavoro di new journalism, di docufiction o di letteratura del reale che è A sangue freddo, del 1966: il loro legame è raccontato anche da due film, Capote e Infamous, dove Harper Lee ha rispettivamente il volto di Catherine Keener e di Sandra Bullock, mentre Capote è interpretato da Toby Jones e Philip Seymour Hoffman. Ma nessuno è mai riuscito a spiegare le ragioni che hanno portato alla fine dell’insolito sodalizio tra i due. Gelosia? Rivalità? Certo è che Capote continuò a scrivere, e che Harper Lee depose la penna.
Tra le possibili ragioni di una scelta così drastica, il bisogno di privacy di Harper Lee. Il suo odio per il clamore e la pubblicità. La sua poca voglia di spiegare in interviste quello che aveva fatto o avrebbe fatto. O forse la turbava la fortissima identificazione tra vita e romanzo. E infatti fino alla morte ha vissuto quasi da reclusa a Monroeville, lontana dagli sguardi dei tanti curiosi in pellegrinaggio nei suoi luoghi.

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Giordano Tedoldi per Libero
Per capire chi era Nelle Harper Lee, scomparsa ieri a 89 anni, bisogna, certo, leggere i suoi romanzi, e non è impresa difficile: ne ha pubblicati soltanto due, di cui uno quasi in articulo mortis, vale a dire Go set a watchman, tradotto in Italia da Feltrinelli col titolo Va’, metti una sentinella. Annunciato come il seguito dell’enorme successo del suo primo romanzo To kill a mockingbird, da noi Il buio oltre la siepe, in realtà ne era una prima versione scritta nel 1957, tre anni prima del clamoroso esordio.
Ma, subito dopo, bisogna guardare la carta geografica sudorientale degli Stati Uniti, o, meglio ancora, essere andati a Monroeville, in Alabama, la immaginaria Maycomb dei romanzi. L’Alabama classifica Harper Lee come una delle regine della letteratura gotica americana, che è esalazione del sud di quel Paese, le altre sono le georgiane Carson McCullers e Flannery O’Connor. Scrittrici imbevute di versetti biblici sin dalla tenera età, spesso attinti all’arcaico inglese della Bibbia di Re Giacomo, che leggevano più volte da cima a fondo, come equivalente americano della nostra Divina Commedia, con i suoi avverbi come «darkly», oscuramente, a proposito dello specchio attraverso il quale, oscuramente appunto, in questo mondo, scorgiamo il divino.
Ma poi dobbiamo sentire l’afa opprimente di Maycomb, o Monroeville, cioè la città del giovane avvocato Atticus Finch, che poi era il padre di Harper Lee, Amasa Coleman Lee. Da bambina Miss Nelle, come la chiamavano nella sua cittadina, assisteva alle arringhe del padre in tribunale, che sta a nemmeno mille metri dalla casa di riposo nella quale la vecchia scrittrice, protetta dagli intrusi (giornalisti che s’illudevano di intervistarla) dal bastione del suo avvocato, Tonja Carter, si è spenta.
L’ufficio dell’avvocato Carter sta nella piazza principale di Monroeville, di fronte al tribunale, a due isolati dal ristorante Mel’s Dairy Dream, un tempo la casa dove crebbe Harper Lee, e dove, come vicino, viveva un biondino efebico, dalla voce contraltina, Truman Capote.
Non bisogna troppo effondersi, come fece con la consueta debolezza per l’aneddotica la compianta Fernanda Pivano, sull’amicizia con Capote, considerate le opposte psicologie. Harper Lee autrice di un solo libro - abbiamo detto che il secondo è in realtà una prima elaborazione del Buio oltre la siepe - un romanzo claustrofobico almeno quanto Monroeville, e quanto il mondo psichico della sua autrice, un racconto anti-segregazionista, ma senza illusioni verso rosei orizzonti futuri, con un finale in cui giustizia (sommaria) è fatta da un folle, tipico strumento della Provvidenza di Dio. Infine, nonostante il successo planetario, l’autrice sprofondò in un religioso riserbo. Tutto l’opposto, com’è noto, il percorso di Capote, che alternava momenti di grande prolificità a secche depressive, e che penetrò nella mondanità come una serpe in seno, e alla fine, anziché avvelenarla, come pretendeva, ne fu stritolato. Capote, è vero, avrebbe fornito l’ispirazione per il personaggio di Dill, l’amico di giochi della narratrice, Scout, del Buio. Ma la cosa conta poco, quasi niente.
Quando l’anno scorso venne annunciato che Harper Lee aveva scritto un «secondo romanzo», e addirittura un sequel del Buio oltre la siepe, il mondo letterario era come incredulo. E faceva bene. In quella prima stesura, la vicenda era spostata dagli anni della Grande Depressione ai Cinquanta, e Atticus Finch, anziché un giovane e pugnace avvocato «negrofilo», come lo appella sprezzantemente la gente della sua cittadina, perché osa difendere un uomo di colore da un’accusa di violenza sessuale su una donna bianca, è un razzista incallito (e possibilmente un po’ rincoglionito) di 72 anni, che partecipa a un raduno del Ku Klux Klan e intimidisce così la figlia Scout: «Vuoi vedere i negri a carrettate nelle nostre scuole, chiese, teatri?».
Insomma, è un opposto Atticus Finch, anche se uscito dalla stessa mano che aveva vergato quello protagonista del romanzo che, 55 anni prima, si era avviato a vendere oltre 40 milioni di copie. Quasi uno sdoppiamento stevensoniano, alla Dr. Jekyll e Mr. Hyde.