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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

La casa cantoniera a Canossa trasformata in galleria d’arte

Giovanni Cervi e Nila Shabnam Bonetti sono una coppia di curatori d’arte di 45 e 36 anni. Reggiano lui, milanese lei, hanno trascorso decenni dietro a gallerie e mostre. Finché hanno deciso di lasciare tutto, cambiare vita e di... andare a Canossa.
Non metaforicamente, come fece Enrico IV, che si umiliò al cospetto della potente nobildonna papista: arroccata nei suoi 800 metri di altitudine sulle punte estreme dell’Appennino intorno a Reggio Emilia, isolata (la frazione più vicina, Lugo di Ramiseto, è un pugno di famiglie) nella vasta terra matildica, spicca la casa cantoniera che Giovanni e Nila hanno affittato esattamente un anno fa e che hanno trasformato nel loro personalissimo museo: l’hanno riempita di opere d’arte. Attingendo sia a quelle che hanno costellato la loro vita precedente (mostre trascorse, amici artisti, eccetera), che a quelle degli ospiti che adesso accolgono periodicamente in questa solitudine estetico-sentimentale, interrotta solo dalle coccole di Rocky, un segugio biondo, e dai miagolii di tre gatti timidi.
«Volevamo allontanarci dal mondo frenetico del mercato dell’arte – dice Giovanni – e sviluppare un progetto nostro, molto legato al territorio». Ecco la scelta della casa cantoniera (affittata per poche centinaia di euro al mese): in cima al valico appenninico, queste abitazioni raccontano vasti pezzi di storia italiana. Attive propaggini di industriosità pubblica durante il fascismo, le «case rosse» (ma qui in Emilia sono gialle) ospitarono poi i commando partigiani che si arrampicavano quassù a difendere la terra – il Museo dei Fratelli Cervi è a un tiro di schioppo. «Ogni artista che scegliamo di ospitare – prosegue Nila – abita con noi per un periodo e riflette prevalentemente sulle tematiche del territorio».
Per dire, la musicista Lili Refrain ha interpretato «la vosa» (la voce), usanza che sfruttava l’eco delle vallate per la comunicazione: si racconta che i vecchi salissero su una cima a cantare l’ultima litania prima di morire per annunciare la fine imminente. E il progetto si intitola Valico Terminus proprio per queste caratteristiche fisiche del posto. Così, lungo la scalinata (con ringhiera e tetto in legno originali) ecco i disegni di Enrico Pantani, artista che ha lavorato sul tema del Cavallo del Ventasso (la zona è detta così per via di un vento gelido che qui arriva all’improvviso), razza autoctona. La struttura classica di questa casa, quadrangolare, permette una suddivisione in più stanze ben ripartite (su due piani, ha due camere da letto) e così la cucina si apre con un ripiano in legno, frutto del lavoro del falegname del posto. Intorno, stampe con immagini di uccelli e erbe spontanee. Parte del progetto futuro della coppia, che vorrebbe valorizzare la ricchezza delle erbe del posto: pare che ce ne siano almeno 130 varietà. «Presto prenderemo le api per il miele», dice Nila, che fa strada attraverso sculture, installazioni, dipinti. Balene ovunque: il ricordo di un vecchio progetto di Giovanni, che ha lavorato a lungo con Gallerie tedesche. Tutto, in questa casa, parla di arte per l’arte, senza scopo di lucro.
Ma è pure un ininterrotto racconto di questa terra, così partigiana ma anche così ferita dalle guerriglie ingaggiate tra «rossi» e «neri» dopo l’Armistizio. Così bella, ma segnata dall’emigrazione (tema che l’artista Patrizia Bonardi ha sviluppato in un video); così f disegnata da crinali suggestivi (lunedì arriverà l’artista Manuela Toselli che, con la seta, farà un complesso ritratto del crinale vicino). Con Giovanni e Nila, la casa cantoniera torna all’origine: servire il territorio.