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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

Il fenomeno Telegram, l’app che cancella i messaggi

Un sexting di cui – esaurita l’onda passionale – ci si pente. L’informazione di lavoro, ottenuta di straforo, che più avanti potrebbe rivelarsi un boomerang. Se qualcosa mancava, nella sconfinata prateria digitale, era quello di poter cancellare con un colpo di spugna il passato. Anche quello recentissimo. Il diritto all’oblio ha finalmente trovato la sua sublimazione in Telegram, l’app da 60 milioni di utenti mensili che ha rovesciato uno dei capisaldi della cultura classica: non c’è nulla di più volatile dello scritto. La chat raffigurata dall’aeroplanino di carta – degradabile come i contenuti scambiati – permette di impostare la scadenza per i messaggi scritti, che possono sopravvivere anche solo pochi secondi. E questa memoria corta rende Telegram un’app preferibile a tutte le altre. Mentre Twitter deve vedersela con i conti in rosso e gli utenti stagnanti (per sopravvivere promette anche di eliminare il limite snob dei 140 caratteri), Telegram, assicurando più privacy a tutti, fa la parte dell’asso pigliatutto.
Dodici miliardi di messaggi inviati ogni giorno e una crescita incessante di iscrizioni, che testimoniano la volubilità del popolo della rete: nella marcia virtuale, gli internauti sono migrati da Irc (era il 1988) a Icg, passando poi da Aol ai più recenti Yahoo e Msn Messenger. Dopo Facebook e WhatsApp, è arrivato Telegram, campione di un piccolo miracolo di sintesi: ha messo insieme l’anima pop di Facebook con quella elitaria di Twitter. «L’idea che qualcuno poteva leggere i miei messaggi mi faceva sentire insicura e poco spontanea, ora mi sento più libera di giocare e di esprimermi», dice Marina F., passata da WhatsApp a Telegram.
Fondato nel 2013 dai fratelli russi Nikolai e Pavel Durov, che ricordano i fratelli Cameron e Tyler Winklevoss – ai quali Zuckerberg avrebbe soffiato l’idea di Facebook – Telegram è il posto dove è possibile comunicare senza filtri anche contenuti delicati. Perché è una realtà a tempo. Secondo un vecchio assioma, molto celebre tra gli habitué dei social, Facebook è il posto dove si mente agli amici, mentre Twitter è quello dove si è sinceri con gli sconosciuti. Telegram si presenta più semplicemente come il luogo dove chi ha qualcosa di importante da dirsi si sente al sicuro. E per questo piace a chi occupa posizioni di potere.
Senza arrivare alle vette di Papa Francesco – il @Pontifex di Twitter – che ha esordito due settimane fa sulla app con un audiomessaggio che conteneva passi del Vangelo ci sono tanti manager che scelgono di «parlarsi» su Telegram. «Lo usiamo per lo scambio di documenti segretissimi, ad esempio nelle operazioni di M&A», spiega Stefania B., analista finanziaria.
Il segreto è tutto nella gestione dei dati personali: i messaggi scambiati sono «dead text walking» con le ore, e talvolta i minuti, contati. Una volta distrutti, di quello che si è detto non rimane più nulla. Tutto questo prolifera su un tabù: la «tracciabilità», una delle nuove ossessioni contemporanee. Nel momento in cui si posta una foto su Facebook, in qualche modo la si consegna all’eternità: e proprio su questo ha costruito la sua fortuna Snapchat, il social dove le foto sopravvivono per pochi minuti. Telegram ha fatto un passo in avanti: i dati sono blindati, non finiscono su nessun server. Non volano insomma su nessuna nuvola, che, nata per semplificarci la vita digitale, è diventata la scatola nera delle nostre esistenze.
Nel film «Creed» Rocky-Stallone fa vedere al figlio di Apollo Creed, gli esercizi da fare. Li scrive su un foglio. Lui fotografa il quaderno e, mentre se ne va, Rocky chiede: «Non lo prendi»?. Creed risponde: «No, è tutto qui (indicando il telefonino). Rocky replica: «Se si rompe?». Creed sorride: «Tanto è già tutto sulla nuvola». Questo non succede su Telegram, app riservata, generosa (consente di inviare documenti molto più grandi rispetto a WhatsApp) e meno intrigante: i messaggi scambiati tra due persone, non possono essere inoltrati ad altri. Anche le gaffe digitali si riducono.
«Le innovazioni tecnologiche possono essere cannibali o migliorative delle precedenti, Telegram è sicuramente un passo in avanti nella comunicazione», osserva Mario Morcellini, ordinario in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi alla Sapienza di Roma. La conquista vera non è tanto nella privacy ma nella distruzione del passato, che avvicina la vita virtuale a quella reale. «Gli uomini, nella vita in carne e ossa, non amano circondarsi di ricordi, perché il passato è spesso dolore e rimpianto: riusciamo a convivere solo con la nostra memoria selettiva. I social, invece, non fanno altro che riproporci il nostro vissuto».
Ne è un esempio il «Rivedi il tuo anno su Facebook», un collage che spesso più che emozionarci, ci imbarazza: dopo qualche mese, faremmo volentieri a meno di rileggere o rivedere frasi apodittiche o foto autocelebrative. «È la rinuncia definitiva alla comunicazione lapidea e un avvicinarsi al parlato di tutti i giorni: nella realtà, quando facciamo delle scelte, abbiamo bisogno di sentirci soli, mentre i social ci mettono sotto l’occhio di una potenziale platea di osservatori. La vita è bella perché possiamo ritrattare idee, credenze, anche fedi. Era un po’ folle l’idea di scolpirle sulla pietra social».