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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

Bisognerebbe spiegare all’opinione pubblica italiana in cosa consiste davvero il rischio Libia

Non è ancora cominciata una nuova guerra di Libia, ma sarebbe sbagliato, anche da parte italiana, non percepire la dimensione inusuale dell’attacco che aerei americani hanno sferrato all’alba di ieri contro bersagli dell’Isis alle porte di Sabratha. I cacciabombardieri Usa hanno bombardato un campo di addestramento, e hanno raso al suolo un edificio all’interno del quale si trovava il tunisino Noureddine Chouchane, considerato uno dei responsabili dell’attacco del marzo 2014 contro il Museo del Bardo a Tunisi nel quale furono uccisi anche quattro turisti italiani. La morte di Chouchane viene data per «probabile», e l’incursione è costata la vita ad almeno quaranta persone. Tutte o quasi tutte non libiche.
Sulla carta l’iniziativa statunitense non si discosta dal «doppio binario» deciso da Obama lo scorso anno: via libera ad attacchi circoscritti contro bersagli certi, e contemporaneo appoggio Usa al processo politico che dovrebbe portare alla nascita di un governo libico unitario legittimato a chiedere aiuti esterni per stabilizzare la Libia. Rispetto alle incursioni precedenti del luglio e del novembre scorsi, tuttavia, non può sfuggire che questa volta si è trattato di una azione militare di ben più ampia portata, destinata a lanciare, senza cambiare linea, una serie di messaggi. Agli uomini del Califfato, beninteso, che negli ultimi mesi sono diventati più numerosi e più audaci. Ma anche ai libici, e in particolare al Parlamento di Tobruk, per far capire che la pazienza ha un limite e che il voto sulla nuova compagine governativa riunita dal premier incaricato al Sarraj deve aver luogo prestissimo. E infine agli alleati italiani, francesi e britannici (tutti avvertiti del raid in anticipo) per confermare che l’America fa e farà il necessario per combattere l’Isis, ma si aspetta un loro decisivo impegno perché, come ebbe a dire John Kerry, «non si può assistere passivamente alla nascita in Libia di un falso Califfato che punta a impadronirsi di miliardi di petrodollari».
Caduti a Sabratha, i missili e le bombe degli F-15 statunitensi dovrebbero aver lasciato il segno anche a Tobruk. Soprattutto si spera che siano stati correttamente valutati da quel generale Haftar, appoggiato dal Cairo, che è all’origine della prima bocciatura parlamentare del governo di unità e che potrebbe avere in animo di organizzare una nuova battuta d’arresto nel voto previsto in linea di massima per lunedì o martedì prossimi.
Un nuovo «no» del Parlamento riconosciuto dalla comunità internazionale spingerebbe evidentemente la crisi libica verso esiti non più diplomatici ma militari, perché l’Isis utilizzerebbe l’ulteriore tempo guadagnato per rafforzarsi ancora costringendo gli alleati occidentali a interventi mirati. Cercando di colpire soltanto i seguaci stranieri di al Baghdadi ed evitando di colpire cittadini libici estranei all’Isis (come pare sia riuscito a fare l’attacco Usa a Sabratha). Ma anche il sospirato «sì» dei deputati di Tobruk al nuovo governo unitario comporterebbe incognite e impegni gravosi.
Difficilmente il gabinetto potrebbe insediarsi a Tripoli, bisognerebbe trovargli un’altra sede e provvedere a proteggerla. Qualora giungesse, come previsto, la richiesta d’aiuto di al Sarraj, si dovrebbe decidere chi fa cosa. L’Italia, che ha molto contribuito al processo diplomatico, prevede addestramento militare, assistenza logistica, sorveglianza armata di nodi strategici, operazioni navali. Non prevede per ora incursioni aeree, che sarebbero lasciate a inglesi, francesi e americani. E le unità di terra, in massima parte truppe speciali, si muoverebbero al seguito delle unità libiche da loro stesse addestrate, sotto formale comando libico e con l’appoggio di milizie amiche come quella di Misurata. Si vuole evitare di fomentare il nazionalismo libico contro lo straniero, anche per scongiurare il pericolo che l’Isis possa reclutare nuovi adepti anti-occidentali e anti-infedeli.
Una operazione del genere sarebbe già complessa e pericolosa. Ma non abbiamo la certezza, e non l’avremo nemmeno dopo un eventuale voto positivo a Tobruk, che le intenzioni trovino riscontro nelle possibilità concrete. Per questo bisognerebbe spiegare all’opinione pubblica italiana in cosa consiste davvero il rischio Libia. Per questo bisognerebbe che ne prendesse atto il Parlamento italiano. Non possiamo farci cogliere in contropiede con i tagliagole dell’Isis a 400 chilometri dalle nostre coste. E l’incursione non ordinaria degli F-15 americani serve a ricordarcelo.