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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

Il caso della maestra strangolata e gettata in un vasca in un prato sperduto del Canavese. Arrestati un ex allievo, sua madre e un suo amico

Seduti in stanze separate. Madre, figlio e l’amico del cuore. Caterina Abbattista, 49 anni, Gabriele Defilippi, 22 e Roberto Obert, 54. Sono stati appena arrestati, li hanno trasferiti nella caserma dei carabinieri di Ivrea. Sono le 22,40. Gli interrogatori del procuratore capo Giuseppe Ferrando sono appena iniziati. Tutti accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere.
Il corpo di Gloria Rosboch è stato ritrovato alle 17 nella vasca di decantazione delle acque in un prato sperduto tra Rivara e Purtusio, nel Canavese. È stato Roberto, che è originario di Forno, un paese vicino, a trovare il posto adatto per nasconderlo. Ed è lui a guidare i carabinieri del reparto investigativo, dopo una drammatica confessione, in fondo alla strada infangata, sino al bosco. «Gabriele l’ha strangolata, eravamo in auto, ha perso la testa, hanno litigato ma io non c’entro, l’ho solo aiutato ma ora mi sono pentito». Erano andati a prenderla, con la scusa della restituzione dei risparmi rubati nell’ottobre 2014. Gloria era felice, sicura di riportare a casa, dai genitori, i suoi risparmi. Invece Gabriele voleva eliminare un fastidio crescente; questa professoressa di francese ingenua e sognatrice che voleva vivere una vita glamour in Costa Azzurra, ad Antibes, con un po’ di soldi da consumare in fretta.
Il tempo di iniziare un discorso qualsiasi, inutile, e poi le ha stretto una sciarpa attorno al collo, da dietro. È morta così, in pochi minuti, Gloria Rosboch. L’auto di Obert ha preso la strada per Rivara, sino al bosco.
Più o meno, è la sera del 13 gennaio. Tutto s’è concluso in pochi minuti. Gabriele torna a Ivrea, dalla madre in ospedale che forse sa tutto o in parte cos’è accaduto a Castellamonte. Infine il rientro a Gassino, nella villetta di via Gramsci 8, dove c’è il fratellino di 13 anni ad attenderli.
È passato poco più di un mese. Il mistero della vita e della morte di Gloria Rosboch finisce così, nel modo più atroce possibile. Marisa More, 84 anni, la madre di Gloria lo aveva detto subito: «Non la vedremo mai più». Nessuno credeva né al suicidio, né a una fuga volontaria.
Avevano rivolto un appello a Gabriele: «Dei soldi non ci importa, dica solo dove ha messo mia figlia». Occhi velati di lacrime, nelle mani le poche fotografie della figlia, custodite ordinatamente nelle buste di plastica, in album custoditi gelosamente.
L’inchiesta aveva preso una brusca accelerazione nei giorni scorsi, quando i carabinieri avevano iniziato a controllare il traffico telefonico degli smartphone utilizzati da Gabriele. Nel pomeriggio del 13 il suo era stato spento per ore; aveva detto di avere trascorso il pomeriggio a casa, con amici e familiari; ma gli investigatori avevano individuato un impulso, partito dall’apparecchio di un familiare, nei dintorni di Ivrea. Da qui in avanti è stato relativamente facile smontare «l’alibi di ferro», come lui stesso lo aveva definito attraverso il suo avvocato di fiducia Pierfranco Bertolino. L’incidente del 12 gennaio, per esempio. Gabriele ripete agli investigatori, parlando del giorno successivo: «Non avevo neppure la macchina quel giorno...». La sua 500 cabrio era infatti in officina. Ma aveva fatto tutto da solo, nessun testimone. Un falso incidente che apre la strada alla premeditazione. Poi le intercettazioni ambientali. In famiglia avevano intuito che aveva ucciso Gloria. Una voce non ancora identificata gli chiede: «Ma il cadavere dove lo hai messo?». E lui: «Non me lo ricordo».
Infine Roberto Obert, personaggio chiave. È perdutamente innamorato di questo ragazzo dai capelli striati di biondo, farebbe qualsiasi cosa. E lo fa. Lo accompagna a Castellamonte, lo aiuta a organizzare la trappola, lo aiuta nell’omicidio e nel nascondere il cadavere. Il sogno della Costa Azzurra finisce così nel fango di un vallone intriso d’acqua e foglie.

Massimo Numa

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Ci sono uomini così, che a forza di mentire non sanno più ritrovarsi e non sanno più distinguere la verità da tutto il resto. E ci sono donne così, che mentono perché è la vita che le ha portate a farlo. Gabriele Defilippi, nonostante i suoi ventidue anni, ha già la corazza sul cuore. Sua madre, Caterina Abbattista, che di anni non ne ha neanche cinquanta, è quel tipo di donna. E se c’è un immagine che ben racconta la loro storia è quella di lui stretto in un giaccone blu, con il bavero rialzato, che esce dalla caserma dei carabinieri dove i militare che investigavano sulla sorte di Gloria Rosboch lo avevano interrogato per due ore. Ansioso? Preoccupato? Macché. Quel giorno aveva tutti i giornalisti addosso: «Ci dica signor Defilippi, che rapporto aveva con la professoressa Gloria?». Ma lui se n’era andato via con il petto in fuori, certo di averli convinti. Come aveva convinto Gloria e un’altra insegnante timida e insicura come lei.
Tre passi più indietro c’era lei, Caterina Abbattista, l’infermiera del reparto di Pediatria dell’ospedale di Ivrea. Il viso rivolto verso il basso, i passi più lenti, più dimessi.
Trentasei ore dopo se ne stanno in due stanze distinte della caserma dei carabinieri di Ivrea, con i carabinieri del comando provinciale di Torino che vanno e vengono, il procuratore Giuseppe Ferrando che sta per interrogarli, sperando di bucare quella corazza di menzogne. Ma Gabriele è un tipo tosto. È uno che ha decine di alias, un’infilata di nomi impossibili, una serie infinita di fotografie con pettinature differenti, con e senza barba, biondo, bruno, con gli occhiali o con gli occhi semichiusi che fissano l’obiettivo. «Un trasformista», dice qualcuno. «Un mentitore», insistono altri. Un truffatore sentimentale, spietato e bugiardo. Che ha truffato una maestra elementare, portandole via un po’ di soldi e un’automobile. E ha saccheggiato i conti di Gloria Rosboch, illudendola e poi alla fine ammazzandola, secondo le accuse che ora gli rivolge la procura della Repubblica di Ivrea.
Spietato, Gabriele. Al punto da coinvolgere la madre, protettiva ma fragile. Sempre alla ricerca di un uomo che la rassicuri, la assista, le dia quella tranquillità che i vari compagni che sono andati e venuti non hanno saputo darle. Cinque negli ultimi anni. Una donna succube, ma forse consapevole di ciò che aveva fatto suo figlio a una donna fragile come un cristallo, sempre sola, non bellissima.
Il suo ruolo devono ancora capirlo fino in fondo. Lei non ha mai parlato. Il 23 gennaio s’è messa in malattia dall’ospedale. S’è chiusa nella casetta di Gassino, sulla collina di Torino, ed è stata lì con Gabriele blindato dietro i vetri, pronto a chiamare i carabinieri se qualcuno andava a bussare per parlare con lui. E intanto Gabriele chattava con Roberto Obert, 34 anni più vecchio di lui, una vita in fuga dal suo paese, Forno Canavese, per non dover raccontare a tutti della sua omosessualità. Quand’era tornato diceva ai suoi amici di quel ragazzo che aveva conosciuto a Torino. «Il mio compagno». Non ha esitato ad andare con lui a Castellamonte a prelevare Gloria. E lo ha aiutato a nascondere il corpo della donna nelle campagne del Canavese, a Rivara, gettandola via come un sacco di rifiuti, in un posto dove mai nessuno l’avrebbe trovata.
Con quei soldi immaginavano di certo viaggi da sogno. Sul suo profilo Facebook, Roberto Obert è ritratto in parecchi luoghi esotici. E Gabriele? Chissà se pensava ancora di passare da un’identità all’altra, da una donna all’altra, con l’ossessione per quelle più fragili e vulnerabili. Di certo mamma Caterina sarebbe rimasta nella sua casetta di Gassino con quell’altro bambino più piccolo che adesso, dopo la drammatica svolta di questo pomeriggio insolitamente tiepido di febbraio, sembra la seconda vittima, dopo Gloria, di una storia troppo folle per essere vera.
Lodovico Poletto

***

Il giorno in cui fu uccisa, la professoressa Gloria Rosboch s’era fatta bella per i suoi assassini. Prima di uscire, aveva dato un bacio al papà: «Torno fra 20 minuti». Aveva preso il vestito buono, quello della messa, era andata dal parrucchiere perché voleva i capelli un po’ più mossi, ed era sparita. Era il 13 gennaio. Adesso, quegli orchi che lei non aveva saputo riconoscere hanno trascorso la prima notte in una camera di sicurezza dei carabinieri di Ivrea, dopo che il corpo senza vita dell’insegnante è stato ritrovato in un fosso di Rivara, vicino a una cascina. Il suo allievo prediletto, Gabriele Defilippi, 22 anni, la mamma, Caterina Abbattista, e un terzo complice, Roberto Obert, anni 54, amico e amante di Gabriele, sono stati arrestati ieri con l’accusa di omicidio volontario premeditato e concorso in omicidio. Gloria Rosboch è morta senza capire la malvagità degli essere umani. Lei non poteva capirla: «Hanno ammazzato una colomba», dice il suo avvocato, Stefano Caniglia.
Eppure, l’allievo e la professoressa avevano una cosa in comune, questo paese seduto sotto a una collina nella piana di campi tagliati da una sola strada diritta e polverosa, con le sue villette degli Anni Sessanta e i giardini curati come puffi, questo paese da dove lui voleva scappare e lei era destinata a viverci, nell’umile e ordinato perimetro della sua semplicità, con i vecchi vestiti ripiegati nel cellophane dentro i cassetti dell’armadio, i centrini sulla tavola per mangiare, il comodino con la sveglia e la tappezzeria di fiori e dolci arabeschi della camera da letto. La morte dev’essere arrivata alla fine come una folgorazione, strangolata e buttata in una vasca dal ragazzo che lei aveva aiutato in tutti i modi, come la scoperta di una realtà così lontana dalle sue abitudini familiari, con le domeniche passate sul divano di finta pelle a guardare le partite della Juventus assieme al papà Ettore, mentre la mamma spolverava in cucina lavando le tazzine di caffè. Gloria Rosboch, l’insegnante che aveva regalato all’allievo prediletto tutti i risparmi dei suoi genitori, 187 mila euro, lasciando sul conto appena le spese, 1548,86, era questo che rivoleva indietro quando si è accorta di essere stata truffata nell’illusione di una vita troppo distante dalla sua esistenza: rivoleva la mesta tranquillità delle sue abitudini, in questa casa di porcellana dove la polvere non si posa mai, i dolci silenzi delle serate senza niente da fare davanti alla tv, questi giorni senza ambizioni alla finestra di un paese, dove, come raccontano al Bar Bistrot, «ci conosciamo tutti senza conoscerci».
Gloria sembra davvero uno di quei personaggi di Simenon che incrociano la realtà quando non possono più fermarla, perché sono troppo deboli – o troppo buoni, come lei – per capirla. Il suo avvocato, Stefano Caniglia, racconta che quando andò da lui a trovarlo per fare la denuncia di truffa «aveva questa camicetta con lo sbuffo che usavamo noi quando eravamo piccoli e mi fece l’impressione di essere una donna d’altri tempi. Io era da una vita che non vedevo più abiti come i suoi». Era una donna così mite, così indifesa di fronte agli orchi che la stavano aspettando, che disse subito che lei non voleva mandare in carcere nessuno, «mi dispiacerebbe troppo. Vorrei solo riavere indietro i soldi». Viveva in una sua bolla, sospira Caniglia, così contenta di quel che aveva, che riesce difficile capire come mai volesse seguire il suo allievo ad Antibes, lontano da questo paese, da questa casa di porcellana, dove la notte di Capodanno festeggiava sempre solo assieme ai genitori, come racconta papà Ettore, «andando subito a letto a mezzanotte». Lui, Gabriele Defilippi, il suo allievo scriveva: «maledetto il giorno in cui sono nato umano». Lei era appagata di quel poco che aveva. Gabriele apriva innumerevoli profili web dove diceva di sé che era «un essere fuori schema, fuori ruolo, fuori controllo, fuori da tutto». Se lei guardava le partite con papà, lui urla che non le ha mai viste: «Mi interesso di cosmesi, estetica, musica, fotografia». Lui ha paura di invecchiare: «Mi sento vecchio se bado al mio viso sperso in questo sfondo di tremila palazzi». Lei è già vecchia, con la testa, ma le va bene così. Non chiede altro. Suo papà ricorda che «quando aveva 20 anni una volta le ho detto, sa, vestiti che ti porto a ballare. Lei s’è messa a ridere. Ma lascia perdere, dove vuoi andare?». Gabriele legge Nicholas Sparks, mentre Gloria tiene sul comodino la biografia di Del Piero. Alla mite professoressa di francese non interessano i soldi. Ha paura di spenderli, perché servono per la vecchiaia dei suoi genitori e forse anche di lei. Gabriele continua a ripetere che deve «trovare un modo per fare un po’ di soldini e scappare da questo paese che mi sta stretto. Non c’è un cazzo di niente qua per me». Lui sogna l’America, scrive anche un libro, American dream, «perché io ho l’America dentro». Per lei, invece, questa casa «è veramente tutto il suo mondo», come dice l’avvocato. Per trovarla i suoi assassini hanno dovuto andare alla scuola. Lei si era fatta bella perché aveva già deciso di perdonare chi le aveva portato via i soldi. Muoiono così le colombe. Non capiscono la cattiveria del mondo.
Pierangelo Sapegno