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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

«È stato un negoziato complesso, ma la Ue potrebbe uscirne rafforzata». Intervista a Martin Schulz

«È stato un negoziato complesso: dovevamo tenere insieme interessi diversi ed evitare che il caso britannico costituisse un precedente». Dice Martin Schulz. «Ma credo che se ora i cittadini britannici voteranno in maniera chiara per restare nell’Unione, risolvendo una relazione da sempre complessa, la Ue potrebbe uscirne rafforzata».
L’inchiostro è ancora fresco sull’accordo fra il premier di Londra David Cameron i suoi colleghi per evitare la Brexit, la secessione britannica dall’Europa. E Martin Schulz non smette per un attimo di guardare al bicchiere mezzo pieno. Sa bene che il suo mandato di presidente del Parlamento europeo scade fra un anno, come tutti a Bruxelles sanno che questo socialdemocratico tedesco, vulcanico come pochi, vuole la riconferma. Non sorprende dunque che a volte eviti di commentare le uscite più controverse dei principali leader europei. Così fa se gli si chiede degli attacchi di Matteo Renzi alle banche tedesche («sono questioni bilaterali», è il modo di Schulz per sottrarsi). Ma il presidente dell’europarlamento non rinuncia per un istante alla fermezza sulle regole del gioco. Riguardano il premier italiano come tanti altri leader. Per tutti il messaggio di Schulz è che l’Europa non si fa con i veti.
Perché ha preso l’iniziativa di fare incontrare Juncker e Renzi? I rapporti sono così cattivi che serve un mediatore?
«A volte la distanza tra Bruxelles e le capitali europee sembra maggiore di quella che è. L’Italia è un motore dell’Europa e dell’europeismo. Non possiamo permetterci che per piccole incomprensioni, per dei problemi di spogliatoio, l’Europa rischi di trovarsi senza regista. Il mio ruolo non è stato essenziale. Ho pensato che fosse un buon momento per parlarsi e ritrovare l’intesa. Sono sicuro che il prossimo incontro tra loro due avverrà senza di me».
Di cosa avete parlato, e quanto è servito?
«L’incontro è stato molto costruttivo e l’atmosfera buona, nonostante la stanchezza dovuta alla notte bianca. La discussione è stata relativamente breve perché dovevamo rientrare nel Consiglio. Abbiamo condiviso le opinioni sui negoziati della notte prima e quelli che avevamo davanti. Tutti e tre siamo d’accordo per triplicare gli sforzi, anche a livello legislativo, per salvare Schengen e arginare la crisi dei rifugiati».
Renzi è sempre più critico verso la Germania. Che impressione le fa?
«So che il dibattito in Italia è molto acceso. Sinceramente non sono troppo turbato. E non ho chiesto spiegazioni a Renzi. Le relazioni tra Merkel e Renzi non mi competono, ma non mi sembrano difficili come vengono dipinte. Renzi è un premier che parla chiaro e apre dei confronti politici. Per me l’importante è che si guardi alla sostanza e alla volontà di compromesso più che alla forma, senza veti né da una parte né dall’altra, e nell’interesse comune perché l’Unione non è e non può essere un gioco a somma zero. Non ho dubbi sulla genuinità dell’europeismo di Renzi. Direi che più di altri capi di governo, pensa all’Europa come a uno spazio politico e non come all’ambito delle relazioni internazionali. Lo condivido».
Merkel sembra isolata e più debole, in Germania e nella Ue. Concorda?
«La cancelliera, e il governo di coalizione tra socialdemocratici e cristianodemocratici, hanno dimostrato leadership e determinazione. Certo la crisi dei rifugiati pone sfide a livello municipale, regionale, federale e europeo. Ma a Merkel va riconosciuto di aver agito secondo coscienza, non in un’ottica elettoralistica. Ha spalle larghe. Più di chi nel suo partito cerca visibilità o vuole riposizionarsi pensando al futuro. Quello che mi preoccupa è la situazione dell’Unione Europea, non della Germania. La Ue ha passato gli ultimi anni lottando contro crisi molteplici, più che comunicando un’agenda proattiva. Dobbiamo tornare ad essere un progetto di futuro: che guardi alla crescita, alla solidità della zona euro, alla politica industriale e all’Europa sociale. Dobbiamo essere meno ingenui nelle relazioni commerciali e meno subalterni a Russia e Stati Uniti in politica estera».
Renzi propone di sospendere i fondi europei ai Paesi d’Europa centro-orientale che non cooperano sui rifugiati. Che ne pensa?
«Dobbiamo uscire da una spirale che ci troverebbe tutti perdenti. La tensione di questo vertice dimostra fino a che punto la fiducia in Europa sia incrinata. Ma Renzi ha ragione a sottolineare come la solidarietà non può funzionare a senso unico. Ci sono Paesi che parlano di solidarietà quando si tratta di fondi regionali o di sicurezza in Europa, ma rifiutano di accogliere qualche migliaio di rifugiati dei ricollocamenti. Difendono la libera circolazione quando tocca i loro interessi, ma non muovono un dito quando c’è bisogno di uno sforzo comune. Chi offre solidarietà, ha ragione ad aspettarsi solidarietà. Chi sfrutta l’Unione per i suoi benefici, ma addossa ad altri i sacrifici, non si sorprenda se un giorno qualcuno chieda che la musica cambi».
Che pensa dell’idea di tagliare la Grecia fuori da Schengen e fare una mini-Schengen di pochi Paesi del Centro-nord?
«Non possiamo minacciare di punire la Grecia, quando i ricollocamenti verso gli altri Paesi non accadono. Sono anche fermamente contro ogni discussione su una mini-Schengen o come si voglia chiamare la proposta di un nucleo ristretto di Paesi. Dobbiamo rafforzare la zona Schengen, non mutilarla. Abbiamo proposte in merito che vanno concluse con urgenza: dalla creazione di una Guardia costiera e di frontiera europea, la facilitazione dei rimpatri tramite nuovi accordi, il codice frontiere Schengen e la prossima revisione del sistema di Dublino e del nostro quadro giuridico sulle migrazioni legali».