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 2016  febbraio 20 Sabato calendario

Quelli che lasciano al momento giusto (ogni riferimento a Francesco Totti è fortemente voluto)

Abbandonare il proscenio della vita attiva. Far calare il sipario, consapevolmente. Scelta difficilissima, in tutti i campi. La malinconica frase di Francesco Totti dopo i pochi minuti giocati da capitano durante Roma-Real Madrid («Ma che ce fate co’ me ormai?») ha aperto mille scenari. Tra cui quello dell’uscita di scena auto-pilotata da «Francesco» prima che sia qualcun altro (l’allenatore? Il resto della squadra? addirittura i tifosi?) a suggerirglielo.
Decisione complessa, perché implica una svolta definitiva. Vuol dire ammettere che non sarai mai più il/la Protagonista di prima. Perché c’è un’arte che solo pochi Grandi praticano: lasciare al momento giusto. Un momento prima della stanchezza del pubblico, o della decadenza, o – peggio – della ripetitività. Meglio rimpianti che sopportati.
La testimonianza dell’addio al cinema di Greta Garbo si deve al fortuito ritrovamento nel garage di un collezionista di film di Los Angeles. Sono 18 minuti dell’ultimo provino girato nel 1949 per il progetto di un film mai girato, La duchessa di Langeais, un adattamento da Balzac, il regista sarebbe stato Max Ophuls. Si trova facilmente su YouTube, ed è struggente.
Nel 1949 Greta Garbo ha 45 anni, è di una bellezza smagliante e matura, ride, gioca con i capelli. Ma con indicibile tristezza. I produttori di Hollywood ebbero una gelida reazione di fronte a quelle immagini, bloccarono il film. Fu così che la Grande Diva decise di chiudere per sempre col cinema e di sparire, creando coscientemente la propria leggenda.
Non siamo lontani dalla strada scelta dall’ anchorman statunitense David Letterman: nel maggio 2015 ha lasciato dopo 33 anni il suo «Late Show», inimitabile classico della tv americana e tappa agognata dai protagonisti planetari della politica, del cinema, dell’arte, della moda. Una frase semplice: «Grazie di tutto e buonanotte». Lezione indimenticabile.
Il terrore del crepuscolo attanagliò anche Leopoldo Fregoli, straordinario trasformista romano, che decise di abbandonare improvvisamente il palcoscenico nel 1925 all’apice del successo, con mille proposte di scritture in mezza Europa.
Poco tempo fa, nel 2011, un addio contemporaneo ha sorpreso l’universo dell’arte del XXI secolo: quello di Maurizio Cattelan, artista-perfomer tra i più famosi del mondo. Nel novembre 2014, in un’intervista a Paola Tognon di Exibart, ha spiegato così le sue ragioni: «Avevo bisogno di tracciare una linea tra me e il mio lavoro, per guardarlo da lontano. Ho scoperto che distruggerei la maggior parte delle opere e ho pensato che forse non era il caso di aggiungerne di nuove, era ora di smettere».
Lasciare il posto «al momento giusto» è diventato anche uno stile di vita diffuso tra i regnanti europei. Hanno abdicato Alberto II del Belgio (nel luglio 2013), Juan Carlos di Spagna (nel giugno 2014), Beatrice d’Olanda (nell’aprile 2013), Jean del Lussemburgo (nel novembre 2000).
Ovviamente, il più clamoroso commiato dei nostri tempi è stato quello di papa Benedetto XVI: l’11 febbraio 2013, parlando in latino durante il Concistoro ordinario, annunciò la sua rinuncia «al ministero di vescovo di Roma successore di san Pietro». Il suo segretario personale, monsignor Georg Ganswein, ha poi raccontato di quanto avesse pesato sulla sua decisione l’impoverimento delle forze fisiche: la consapevolezza che gli sarebbe stato impossibile reggere, col necessario vigore, al mare degli impegni. Dire addio al papato non è, e non può essere, facile. Ma il carattere di Ratzinger è tutto lì, in quella decisione presa con chiarezza. Soprattutto senza rimpianti.
Ma c’è chi non lascia, e resta. Per mille motivi. Giorgio Albertazzi, 93 anni ad agosto, sta progettando una trasmissione televisiva: «Come tutti gli attori, sogni di morire in scena, o almeno lavorando. Perché per noi la scena è la vita, lì si sintetizza tutto. Come farne a meno?».
È lo stesso ragionamento di Piero Angela, giornalista e autore televisivo, 87 anni grandiosamente portati: «Sto scrivendo un libro, preparando trasmissioni televisive, un ciclo di conferenze. La macchinetta contenuta nella scatola cranica funziona ancora bene. Dico sempre che c’è un’automobile con 80.000 chilometri alle spalle ma guidata da un autista di 45 anni. Perché è quella l’età che mi sento addosso». E chi sparisce dalla scena a 45 anni?