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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

Carolina Kostner torna in pista

«Ho appena fatto il bagno, qui sulla spiaggia di Santa Monica. Verso Malibu, in effetti. E stamattina, i miei amici di Los Angeles mi hanno portato a fare yoga in un posto che conoscono loro, downtown. Fantastico». Carolina Kostner è una sorpresa. «Sono partita per la California d’istinto… Sa, è il mio compleanno. Che torta ho scelto? Alle fragole: quando ero piccola, a Ortisei, a febbraio si trovavano solo congelate. E mia madre era costretta sempre a farmi un dolce al cioccolato». Sì, proprio non te l’aspetti, un “colpo di testa”: lei, la “Fatina d’Italia” altoatesina che, appuntandosi medaglie prestigiose sui costumi ricamati, ha fatto la magia  di farci sentire un popolo di pattinatori (più un miracolo che una magia...). Lei che ha appena dato l’annuncio – «Ritorno alle gare da settembre» – dopo la lunga squalifica che s’è presa per l’accusa d’aver mentito per il fidanzato, il marciatore Alex Schwazer, che sfuggiva (mentendole a sua volta) al fatal controllo anti-doping. «Avevo detto addio a Los Angeles nel 2010, dopo averci vissuto per preparare le Olimpiadi di Vancouver. Era legata a quel ricordo amaro. Ho scoperto che invece mi dà un senso di riposo. I miei amici, l’oceano…». Al ritorno in Italia, ci sono subito gli esami dell’università, al Dams di Roma: «Il primo è “Principi del giornalismo e della comunicazione online”». Un futuro da giornalista? «No, direi proprio di no. Comunque poi ripartirò con gli allenamenti per le competizioni ufficiali, penso che passerò anche un periodo dal mio allenatore, in Germania».
È un nuovo inizio per Carolina. A 29 anni appena compiuti, bronzo ai Giochi di Sochi, un oro (2012), due argenti e tre bronzi ai Mondiali, cinque volte campionessa europea. E quella pesante sospensione, terminata il primo gennaio scorso. Non una decisione semplice, tornare, in uno sport dove l’età media di chi arriva al successo è sempre più “teen”. Presa come? «Ho cominciato a pensare a cosa fare solo a dicembre: mi è capitato di passare un po’ di tempo nell’Istituto superiore di polizia penitenziaria a Roma (le Fiamme Azzurre sono la sua società sportiva, ndr), insieme con tanti altri atleti. Giovani che capiscono l’impegno che ci vuole nello sport. Che condividono le difficoltà e la passione che metti in ciò che fai senza avere la garanzia di un “ritorno”… – anche se io penso che un ritorno ci sia sempre, magari non quello che ti aspettavi all’inizio! –. Beh, tutto ciò mi ha fatto riprovare le stesse sensazioni di quando, da ragazza, ho vissuto e mi sono allenata in collegio fra altri giovani pieni di sogni e di aspirazioni come me…».
Da settembre, quindi, si gareggia. Con che cosa comincerà?
«Vedremo allora come sarà il calendario, c’è tempo. Noi umani, oggi, siamo abituati ad avere tutto e subito. Ma il corpo umano non è una macchina. Ad ogni modo, io, di pattinare, non ho mai smesso. Non potevo partecipare alle gare. Ma non mi sono mai fermata. Allenandomi, però, ho usato il tempo per approfondire meglio quegli aspetti che, quando gareggi, non hai mai il tempo di considerare: la parte artistica, la creatività, la scelta della musica…».
Un nuovo modo di allenarsi.
«Sì, negli ultimi 15 anni di gare ad altissimi livelli, il mio scopo era sempre uno e uno soltanto: essere in forma “quel giorno lì”. Il tempo non bastava mai, e mi sembrava di non aver fatto mai abbastanza: non avevo certo tempo per “spassarmela” con altri interessi, altre prospettive. In quest’ultimo anno, invece, sono andata molto in sala danza, con i ballerini. Ho cercato di allargare gli orizzonti, di conoscere persone che lavorano con gli stessi miei parametri ma in modo diverso. Ho cercato di vedere le differenze, ho chiesto consiglio, per capire come gestiscono loro l’ansia prima di entrare in scena. Ho scoperto che in tante cose non sono sola. Stessa cosa per la musica: la sceglievo io ma ciò che importava era l’aspetto tecnico. E che mi aiutasse a essere più calma. Ora vado in profondità su chi l’ha scritta, su quale storia c’è dietro. Per uno spettacolo per l’Arena di Verona, mi sono esibita di Summertime di George Gershwin. Conoscevo il pezzo, ma non sapevo che fosse nata per un’opera (Porgy and Bess, del 1935 ndr): mi sono presa il tempo di guardarmela, di studiare quest’aria. Per fortuna, poi, al di fuori della competizione, ci sono gli spettacoli. Ne ho fatti subito in Svizzera – in aprile ne avrò un altro con il mio grande amico Stéphane Lambiel a Ginevra –, sono andata in Cina e in Giappone. La passione mi ha aiutato. I pensieri arrivavano quando tornavo a casa, e magari dovevo prendere decisioni legali, tornavo alla realtà. Ma è stato lo sport che mi ha aiutato: ti arricchisce sempre, ti dà lezione di vita».
«Mi sono sentita persa», ha detto.
«Il passato ti segna e t’insegna. Se non avessi vissuto le esperienze del passato, non sarei la donna che sono oggi. Dagli ultimi dolori che ho vissuto, ho imparato. Sì, dagli errori».
In che modo è diversa, dopo gli eventi che hanno portato alla fine della storia con Schwazer e alla squalifica?
«Siamo sempre in un cambiamento. Io oggi non sono quella che ero due anni fa, così come allora non ero quella di 10 anni prima. È stato un periodo difficile e doloroso. Come qualsiasi donna, poi, quando finisce una storia, senti un vuoto, sei delusa, amareggiata. Dovermi anche giustificare di fronte a delle accuse di doping, io che ho combattuto tutta una vita per uno sport pulito...! Un momento di vuoto completo. Lo stop dalle gare non è stato semplice, mi è sembrato più lungo di quello che è stato veramente. E non vedevo l’ora di chiudere il capitolo e non parlane più. Ora posso dire che momenti così si superano anche grazie alle persone che ti sono intorno. La mia famiglia, innanzitutto, sempre. I miei fratelli, i miei genitori con il loro coraggio, la tenacia e il loro affetto incondizionato. Mia mamma, fin da quando ero adolescente, mi ha detto sempre: “Abbi il coraggio di essere diversa dagli altri e di prendere la tua strada”. Mi ha aiutata a diventare la persona che sono. Poi c’è il mio gruppo sportivo, e il mio comandante delle Fiamme azzurre, il commissario Marcello Tolu. E la federazione, il presidente… tutti si sono schierati. Per me è stato anche un segno di come il nostro Paese non sia così “menefreghista” come spesso ci diciamo».
È stata una vita di sacrifici, di rinunce. Fin da bambina, probabilmente. 
«In realtà, il primo giorno che ho messo i pattini ero troppo piccola per ricordarmene, ma ho chiaro in mente il momento in cui mia mamma mi ha iscritta al corso di pattinaggio sul ghiaccio: una volta alla settimana uscivo prima dall’asilo, da protagonista, mentre tutti restavano dentro. Poi quelle uscita sono diventate due, tre quattro, finchè già a sei anni pattinavo tutti i giorni. Ma non mi pesava affatto: il palaghiaccio era a un quarto d’ora a piedi, a 7-8 anni ci andavo da sola, a piedi, e d’estate in bici. Fino a 14 anni, le uniche cose che mi pesavano era quando le mie amichette facevano una festa e io arrivavo tardi o non riuscivo proprio ad andare, e magari c’era il ragazzino che ti piaceva... No, non è stato impegnativo, finché non ho preso la decisione di lasciare casa per andare ad allenarmi. Ma anche lì, la felicità era sempre superiore al sacrificio».
Si trasferì in Germania.
«Nel ’99 una frana distrusse il palaghiaccio di Ortisei, che non fu ricostruito, e coincise con la fine della scuola media. Per il liceo, sarei comunque dovuta andare a Bolzano o a Bressanone. In estate, però, raggiunsi degli atleti italiani che si allenavano a Oberstdorf. Mi colpì tantissimo: c’erano tre piste in una struttura sola, c’era la foresteria con la mensa con tanti atleti della mia età che vivevano lì, l’allenatore mi piacque tantissimo – poi infatti è diventato il mio allenatore. Dopo queste settimane, quando sono tornata a casa, i miei si sono accorti che ero triste, per pattinare dovevo fare un’oretta di macchina, così si presero la responsabilità di cercare una soluzione. L’allenatore mi accettò, ero pazza di gioia».
Come ha trascorso quegli anni?
«Eravamo una trentina di giovani, condividevamo gli stessi sogni, le stesse passioni, andavamo a scuola insieme, mangiavamo insieme, avevo pure il bagno in comune con la ragazza della camera vicina, ci allenavamo… Nostalgia di casa? Certe volte, come quando facemmo una battaglia con i palloncini pieni d’acqua: allagammo tutto ed erano tutti arrabbiatissimi, ci fecero mettere a posto e ripagare i danni. Chiamai mia mamma piangendo: ma lei ha sempre cercato di sostenere l’opinione dell’allenatore. Fu una lezione importante. Ho ricevuto più di quanto ho lasciato perdere. Certo, ho dovuto crescere in fretta, vivere senza genitori. Ma, per esempio, negli anni in cui si vive la ribellione, ero sempre via e grosse litigate con la mamma non le ho mai fatte. Nei momenti in cui ci vedevamo, il rapporto con i miei è sempre stato pacifico e solare».
Fu allora che ha capito di essere “super”?
«A dire il vero no, da adolescente ero abbastanza brava e seguivo le istruzioni del mio allenatore, il talento veniva fuori piano piano. Ho sentito di aver raggiunto qualcosa quando ho conquistato il mondiale (nel 2012, ndr). Ci ho combattuto per tanti anni: dieci tentativi, fino alla vittoria. Ma da giovane vuoi sempre salire, arrivare. Quella voglia un po’ ce l’ho ancora. Lo sport è come l’arte: trovi sempre un nuovo obiettivo, che si trasforma. E ti insegna a metterti sempre in gioco, a voler migliorare sempre un pochino. Ma non è mai la perfezione, quella che cerco: è vuota, è fredda, è lì, intoccabile, quello che tocca l’anima invece è la leggerezza, la libertà. E per queste cose non c’è il pulsante “play”. Sono il frutto di lunghe ricerche interiori, risultato di sofferenze e delusioni, e allora sono una conquista. E godersele è la cosa più bella».
Quali sono stati i momenti più felici, finora, della sua carriera?
«Io ne ho vissuti alcuni, anche da sola, alle 8 del mattino, in allenamento, quando una cosa ti viene talmente bene che … oppure le prime volte che riesci ad atterrare in un salto nuovo dopo che sei caduto 100mila volte. Naturalmente, anche le Olimpiadi di Sochi. Ero entrata in gara senza la necessità di dover vincere, e invece è andato tutto come sognavo da bambina. Ho festeggiato con un super hamburger al Villaggio. La prima persona che chiamo per condividere le mie emozioni? Dipende. Dopo la medaglia, mio padre: non era potuto venire in Russia, e poi lui aveva partecipato ai Giochi di Sarajevo, nell’84, avevamo questa esperienza in comune».
La Carolina 2.0, diciamo così, è ripartita durante lo stop forzato da una nuova città: Roma.
«Ho cambiato anche sede di università. Ero a Torino, ma la capitale è più facile da raggiungere da casa mia, a Ortisei: 4 treni al giorno, in 4 ore e 40 sono su. In che zona abito della capitale? Nord: c’erano gli amici ed è più comoda per raggiungere il palaghiaccio».
E com’è la sua nuova vita? 
«Ho mantenuto l’abitudine di svegliarmi presto, verso le 6 e mezza, sette. Prendo la mia Suzuki (il marchio automobilistico giapponese è ora diventato pure il suo main sponsor, ndr) – mi piace guidare, anche in città – e alle 9 sono sul ghiaccio. Mi alleno tutti i giorni, tranne uno, che non è necessariamente la domenica. All’una vado a casa a pranzo. Mi piace cucinare, vado anche a fare la spesa».
Dicendo così, ride: perché?
«Al supermercato capita che la gente si stupisca di vedermi. Ma non vivo d’aria! Mi piacce preparare il tofu e i piatti asiatici con il latte di cocco. E sperimentare anche roba vegana: non perché io lo sia, ma mi stuzzicano. Per me, poi, faccio spesso il riso con il latte, tipico dell’area austriaca della Val Gardena. Se invece ho ospiti, tendo a cucinare le ricette dell’Alto Adige: lo strüdel, o i biscotti con le nocciole, i cornetti alla vaniglia – ma quelli di mia zia sono spettacolari! Quando invece mi trovo all’estero, e cucino per qualcuno, tendo a preparare piatti italiani: spaghetti alla carbonara o pizza».
Come continua la giornata tipo?
«Dopo mangiato, come dico io, “faccio ufficio”: oggi la risposta alle email e alle telefonate deve essere in tempo reale. Poi riesco, o vado in palestra o a danza classica, altre tre ore, allo Ials: le lezioni sono aperte, ma il nucleo del mio gruppo è sempre lo stesso. Adoro quella sensazione da “principiante”: nel mio ambiente, sono più io quella a cui si guarda, lì invece sono io quella che impara. E poi adoro la musica classica: Mozart in particolare, con il secondo movimento del concerto per piano n. 23 ho vinto il mondiale, e l’andante del piano concerto di Shostakovich. Ma a parte l’hard rock, ascolto di tutto: folklore, dance, elettronica. Mi piacciono i Coldplay, li ho amati da Yellow, il primo album, e poi Jovanotti. No, non l’ho mai conosciuto di persona, ma una volta ho pattinato sul suo pezzo A te e lui mi ha chiamato: “Ciao sono Lorenzo…”, non ho mica capito subito chi era!».
E la sera?
«Rientro, ceno con le amiche, chiamo casa per sentire come stanno nonna e mamma, come va ai miei due fratelli, oppure apro un libro – ho appena riletto Il gabbiano Jonathan Livingston, ma in francese, per ripassare un po’ la lingua. Qualche volta guardo la tv: ho rivisto Il postino, con Massimo Troisi. Bellissimo. E in generale seguo tutto lo sport. Il tennis, in particolare: la classe di Roger Federer su tutti!»,
E la politica? Renzi, il Movimento 5 Stelle...?
«Leggo le notizie online. Ma mi tengo a distanza da un argomento di cui non sono esperta, anche perché passo molto tempo all’estero. Poi magari vado sui social: e lì cerco di raccontarmi, nei giornali spesso non mi sono sentita rappresentata. Mi descrivevano come una fatina, ma io non vivo nel castello! Il mio status di WhatsApp? Niente, ho cancellato anche la frase predefinita».
Durante la squalifica, qual è la cosa più bella che le è capitata?
«Con mio fratello, una sera, abbiamo scalato una cima in Val Gardena che si chiama Cir. Sembra banale, ma vedere scendere il sole lì, sulle Dolomiti, con una vista a 360°, è stato incredibile. E poi più volte, quest’estate, mi sono svegliata per guardare l’alba dal Gianicolo. Il sole sorge ogni giorno, ma sempre in un modo diverso».
Il tramonto, poi la nuova alba. Troppo simbolico per non rappresentare l’inconscio. Anche nei sentimenti ci sarà un nuovo giorno? Per amore di Alex ha fatto ciò che ha fatto, e ha pagato caro.
«“L’hai fatto per amore” è una dichiarazione molto semplificata. Lui era la persona che, in quel momento, in un futuro volevo sposare. Ma non spiega tutto. Lui mi ha dato delle spiegazioni razionali quando mi ha chiesto di dire che non era in casa, e per me non c’erano dubbi, non sapendo ciò che faceva. Ma io non voglio rinunciare a credere nell’amore».
L’ha perdonato?
«Credo che in un futuro sicuramente riuscirò a perdonarlo. Ma la cosa è ancora molto fresca. Io però non sono una persona vendicativa, a me piace pensare alle cose belle, che ti possono arricchire, non a quelle che ti tirano giù».
E con quali sogni ripartirà a settembre?
«Non so. Nel mio percorso di atleta ne ho vissute di tutti i colori, che al momento mi sento tranquilla. Se penso alle Olimpiadi, sono riuscita a digerire le conseguenze di un’esperienza andata male e a viverne un’altra in modo fantastico. Ecco, ho la consapevolezza che qualsiasi cosa succeda, riuscirò a trovare il modo di affrontarlo».
E nel futuro?
«Il mio sogno è di continuare a trasmettere ciò che ho imparato ai giovani pattinatori e pattinatrici italiani. Abbiamo tanto bisogno di motivazioni. La forma non la conosco, ma c’è il desiderio di diventare quel punto di riferimento che qui non ho avuto da adolescente».
Edoardo Vigna