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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

A Dubai c’è uno strano legame tra calo della demografia e crollo del mercato immobiliare

Non c’è niente di meglio che specchiarsi nelle differenze altrui per iniziare a capire se stessi. La settimana scorsa sono stato due giorni a Dubai e per la prima volta da tempo ho finalmente messo a fuoco qualcosa in più sull’Italia. Dubai non ha bisogno di presentazioni, ovviamente. È una delle grandi capitali del Golfo, uno dei sette Emirati arabi uniti in un Paese federale che da anni è il quarto esportatore mondiale di petrolio.
Ma Dubai è diverso da Abu Dhabi, l’altra grande capitale emiratina, o da Doha in Qatar, da Muscat in Oman, o da Kuwait City. Dubai non è l’epicentro di un petro-Stato, o per la precisione non lo è più. I suoi giacimenti di greggio sono in gran parte esauriti da circa otto anni e in previsione di questa realtà l’emirato ha intrapreso molto tempo una strategia diversa: vuole diventare una capitale globale dei servizi, dal turismo alla logistica, dal trasporto aereo o marittimo alla finanza; la sua posizione, al crocevia fra le aree di crescita esplosiva dell’India e della Cina, la riserva di manodopera a basso costo e di materie prime dell’Africa orientale e i capitali e le tecnologie dell’Europa, rendono una visione del genere sensata. Servono però un piano, e i capitali per eseguirlo nell’arco di più di una generazione. Sembra strano dirlo oggi che il profilo dei grattacieli sul mare del Golfo è più audace di quello di Manhattan, ma ancora negli anni ’60 questo era un villaggio di pescatori nel deserto.
L’ultima volta ero stato nell’estate del 2008, troppi anni fa. Metà della città era in costruzione, grazie alla manodopera di milioni di indiani, bengalesi, eritrei, filippini, vietnamiti, tutti trattati in modo schiavistico. Soprattutto, metà della città era deserta. Vuota, popolata solo da fantasmi di sabbia del deserto. Un’intera periferia da decine di migliaia di posti letto aveva alcuni isolati ispirati allo stile di Firenze, con tanto di cupola del Duomo, altri a Parigi, e così via, ma tutto era inghiottito nella polvere e nel silenzio. Guidare per le autostrade affiancate a destra e a sinistra da lunghe file di nuovi grattacieli era come avanzare in un surreale canyon di cemento senza esseri umani in vista.
Era successo che Dubai aveva guardato avanti. Troppo avanti per il momento. Aveva lanciato un programma di costruzioni residenziali proiettando nel futuro lo stesso tasso di crescita della popolazione del 6% l’anno che aveva registrato nei primi anni del secolo. Non era una crescita organica, data dalle nascite di nuovi bambini nelle famiglie esistenti. Era stata, fino ad allora, una crescita determinata dall’enorme afflusso di stranieri da tutto il mondo che arrivavano a Dubai per lavorare, o pagare meno tasse, o per vivere in un luogo dove i loro diritti di proprietà potessero essere tutelati meglio che in Paesi d’origine come la Russia.
Il problema è che la crisi finanziaria del 2008 e 2009 aveva congelato gli afflussi di migranti poveri e soprattutto benestanti e ricchi. Nell’emirato la crescita della popolazione era passata improvvisamente dal 6% a zero, e addirittura la popolazione residente era diminuita un po’. All’improvviso, Dubai si è trovata con un enorme stock di abitazioni che nessuno voleva comprare e le conseguenze sono state immediate anche per chi si è era già trasferito in città comprando casa a debito: il valore degli immobili è crollato, alcuni residenti incapaci di far fronte al mutuo hanno semplicemente lasciato l’auto nel parcheggio dell’aeroporto e sono fuggiti.
Appartamenti vuoti. Tutto questo, ovviamente, non ha niente a che fare con l’Italia. Meno su un punto, sul quale il caso di Dubai fa riflettere: c’è un legame fra la demografia di un Paese e le quotazioni dei suoi immobili. L’Italia l’anno scorso ha avuto il più basso numero di nascite da decenni, appena 486 mila, e un numero di decessi superiore di circa 200 mila.
Qualunque siano le valutazioni sociali o umane su questo squilibrio, non c’è dubbio che in Italia cresce il numero degli appartamenti vuoti e ciò pesa sul prezzo degli immobili esistenti. A Dubai, con il tempo, hanno rimediato attirando altri stranieri molto qualificati. Forse vale la pena anche per noi chiedersi come si fa.