Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

L’attentato al pm Di Matteo sembrerebbe essere una colossale bufala

Le vite blindate di certi magistrati meritano rispetto – sempre – il che non significa accettare passivamente qualsiasi congettura sulle minacce che ricevano. E questo, a parer nostro, è assolutamente il caso di Antonino Di Matteo, “minacciato di morte dalla mafia” sulla base di allarmi che la stampa nazionale ha accettato a scatola chiusa e su cui, però, c’è molto da eccepire.
Le presunte minacce a Di Matteo – anche oggi impegnato in una trasferta milanese del vacuo processo “trattativa” – sono basate essenzialmente su tre fonti: lettere anonime, alcune conversazioni di Totò Riina intercettate in carcere due anni fa (vicende note) e poi le rivelazioni di un pentito secondo il quale «il tritolo per Di Matteo è già nascosto a Palermo». Delle prime due cose già scrivemmo: le “minacce” di un rincoglionito Riina sono state più volte sbugiardate: anche perché, a ben leggere, neppure ci sono, anzi, da un’attenta lettura si evince che l’ex boss non sapesse neppure chi sia Di Matteo. Della vicenda del pentito invece si sa poco, ed eccoci.
Il pentito in questione è Vito Galatolo, 41 anni, trasferito a Mestre nel 2013 come “sorvegliato speciale” con famiglia appresso. Un mafioso di rango: suo padre, componente della Cupola e capo mandamento dell’Acquasanta di Palermo, prese l’ergastolo per l’omicidio del generale Dalla Chiesa. Secondo i magistrati, questo Galatolo continuava a gestire a distanza gli affari della famiglia anche da Mestre, tanto che fu arrestato nel giugno 2014 dal Gico della Finanza: mascherandosi dietro un impiego pulito, cioè, pianificava assalti e rapine che dovevano servire a ripianare i debiti di gioco che aveva accumulato. Insomma, viene beccato (e lui non nega le rapine: anche se si definisce solo un consigliere) e tuttavia ecco il colpo di scena, la grande scappatoia: diventare un pentito accreditandosi con un racconto su un attentato al pm Di Matteo.
E, come dire: la cosa funziona, nel senso che Galatolo per le sue malefatte veneziane (il pm antimafia Giovanni Zorzi gli contesta l’associazione per delinquere con altri sette) alla fine, anzi all’inizio, riesce a evitare il carcere e diventa un pentito, anzi, un pentito col botto: confessa di aver ideato, a Mestre, l’attentato a Nino Di Matteo e svela dei presunti retroscena. Subito Repubblica lo definisce «affidabile» e il Fatto Quotidiano si scatena, al che Galatolo viene immediatamente definito come un signore «con diverse entrature negli ambienti dei servizi segreti». L’associazione tra “la politica” e le presunte minacce a Di Matteo è ricorrente. E Galatolo? Lui le spara, ma non si riesce a verificare nulla.
Sin qui siamo al novembre 2014: «A Palermo il tritolo per Nino Di Matteo è già nascosto in diversi punti», dice lui ai magistrati di Caltanissetta. E racconta di aver acquistato l’esplosivo (pagandolo personalmente) e che questo esplosivo è arrivato a Palermo per essere nascosto in alcuni bidoni: al punto che gli investigatori lo cercano nelle campagne tra Palermo e Monreale, ma non trovano nulla. Fa niente: il prefetto di Palermo vola a Roma dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, il quale convoca subito una riunione straordinaria del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica cui partecipano anche i vertici dei servizi segreti e il ministro della Giustizia Andrea Orlando e lo stesso Di Matteo. Alfano ritiene di dover incontrare anche personaggi del calibro di Salvatore Borsellino, questo prima di preannunciare che Di Matteo potrà avere a disposizione un carro armato modello Lince (già usato in Afghanistan) e anche un bomb-jammer, marchingegno che neutralizza i dispositivi attivabili con telecomando. È in corso una palese operazione di ri-accreditamento di Alfano verso una certa antimafia. Ed è palese anche un tentativo di ammantare di torbidità il moribondo processo sulla trattativa: soprattutto sulle consuete gazzette di procura, che saldano le rivelazioni del pentito Galatolo a precedenti lettere e scritti anonimi: una dell’autunno 2012 e un’altra del marzo 2014, quest’ultima che annunciava l’eliminazione di Di Matteo «in alternativa a quella di Massimo Ciancimino». Il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari era riuscito ad attribuire alle lettere anonime un significato superiore: «Stiamo vivendo un momento storico simile al ’92, c’è una situazione di instabilità politica, proprio come quando purtroppo gli esposti anonimi vennero sottovalutati». L’ansia sembra la stessa che poi apparterrà ad Angelino Alfano: «Non possiamo escludere che ci sia la tentazione di riprendere una strategia stragista».
Tutto per che cosa? Per un “pentito” che secondo la procura ha mentito e mente e mentirà. No, non secondo le procure siciliane, ma secondo la stessa procura di Venezia che l’aveva arrestato. A scriverlo però è soltanto il Gazzettino di Venezia: scrive che il pm Giovanni Zorzi, cioè, giudica Galatolo un mentitore. Per dire: Galatolo dice di aver anticipato la somma di 360mila euro per comprare l’esplosivo, ma non ricorda a chi. E l’esplosivo? Non se n’è trovata traccia da nessuna parte, a oggi. In compenso ci sono fiumi di intercettazioni di Galatolo: e in esse il mafioso parla di tutto ma in nessun colloquio accenna all’esplosivo per Di Matteo o ai 360 mila euro che dice d’aver pagato. Anzi, le intercettazioni raccontano altre storie di cui Galatolo non ha detto una parola agli inquirenti: ragione per cui il pm Zorzi ne chiede il rinvio a giudizio e buonanotte. Insomma, da allora a oggi Galatolo si è lanciato in sempre nuove rivelazioni sull’universo mondo: ma il pentito, che in Sicilia gode dello status di collaboratore di giustizia, a Venezia è solo un bugiardo. Riscontri alle sue affermazioni sull’attentato non se ne sono trovate. Mai. «Zorzi sostiene di avere in mano la prova provata che Galatolo è un finto pentito», scrive il Gazzettino, da solo. E preannuncia un terremoto, anche perché, a Palermo, gli avvocati che difendono gli uomini chiamati in causa da Galatolo (e arrestati) attendono l’inizio del processo veneziano: se Galatolo dovesse essere condannato, infatti, sarebbe davvero dura sostenere le sue folgorazioni sugli attentati a Di Matteo. È già molto dura adesso.