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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

Franco Baresi ricorda il suo Milan, quello che ha cambiato il calcio

Trent’anni di Milan, trent’anni che piaccia o no hanno cambiato (anche) il calcio italiano. I soldi, i campioni, i trionfi. Ma anche il gioco e la «vision», come dicono i manager di oggi, rivoluzionaria. Domani Silvio Berlusconi compie tre decenni da presidente rossonero, Franco Baresi – milanista del secolo e oggi testimonial per il settore marketing del club – è stato il suo primo capitano.
Baresi, esiste un Milan pre Berlusconi e uno post Berlusconi?
«Certamente sì. Ma è un discorso che va oltre il Milan. Ha cambiato tutto, anticipato il futuro. Penso all’organizzazione della società, agli allenamenti, alla dieta, alla comunicazione».
Ricorda il 20 febbraio 1986?
«Speravamo che la cosa andasse in porto. Era un momento pericoloso, se non tragico, per il Milan, sull’orlo del fallimento con Farina».
Quando conobbe Berlusconi?
«Venne a Milanello, si mostrò subito un personaggio incredibile. Disse che voleva vedere il Milan vincere e divertire. Ripeteva di non accontentarsi mai».
Qual è la cosa più bella che le ha mai detto?
«La tengo per me. Ma per il sottoscritto ha sempre avuto un occhio di riguardo, forse perché avevo vissuto gli anni difficili».
Nello spogliatoio faceva l’allenatore come adesso?
«Ma no... (ride). Ha sempre parlato con tutti, è un gran motivatore. E ha dimostrato di essere competente, sapeva trasmettere quello che desiderava di più: emozionare la gente. Capimmo presto che ci era riuscito».
Quando?
«Il 15 maggio 1988, primo scudetto. Due ore dopo l’1-1 di Como, 80 mila tifosi ad aspettarci a San Siro. Una festa che non dimenticherò mai. Era la dimostrazione che ce l’avevamo fatta. Più della vittoria, contava il modo. Il gioco».
Le due Coppe Campioni di fila dovevano ancora arrivare: ripensa ogni tanto al fatto che siete stati l’ultima squadra capace del bis?
«Ci metto anche le due Intercontinentali: rende l’idea della grandezza di quel gruppo».
Meglio quel Milan figlio della rivoluzione di Sacchi o il Barcellona di oggi, «nipote» di quella di Guardiola?
«Sarebbe una bella sfida. Messi, Suarez e Neymar da una parte; i tre olandesi, più bravissimi italiani, dall’altra. Forse le squadre migliori degli ultimi trent’anni. Non so come finirebbe...».
Il più forte compagno che ha mai avuto?
«Van Basten. Straordinario, oggi starebbe tra Messi e Ronaldo. E Maldini: Paolo ha raccolto il mio testimone».
Perché è rimasto fuori dal Milan?
«Sa che ha la stima da parte di tutti, ma nel merito non mi esprimo perché non conosco le situazioni».
Quando Berlusconi scelse Sacchi come vi siete guardati?
«Eravamo curiosi, non era né famoso né conosciuto. Arrivava dalla B. L’intensità e l’attenzione da lui pretese ci portarono in cima al mondo».
Perché finì male?
«Non finì male. Un ciclo si era esaurito soprattutto sul piano mentale e lui ripartì dalla Nazionale».
Secondo qualcuno Capello vi faceva correre meno...
«Era solo una gestione diversa. Con un pizzico di libertà in più».
Il momento più bello?
«La prima Coppa Campioni, trofeo atteso da 20 anni. Il Camp Nou rossonero, il 4-0 alla Steaua».
Il rimpianto?
«Mi ha fatto male più la finale persa con il Marsiglia nel ’93 che quella con l’Ajax nel ’95».
Già, Marsiglia: e la notte dei riflettori con squadra ritirata?
«Forse c’era troppa pressione, sembrava si potesse ripetere la partita. Si poteva gestire meglio quella situazione, però Galliani resta un manager incredibile dal feeling unico con Berlusconi, capace di tradurre in realtà ciò che gli veniva chiesto».
Lei è stato tante volte ad Arcore?
«Qualche volta si andava a cena, era anche un modo per fare gruppo. Ricordo Pier Silvio diciottenne e Luigino bambino che girava per casa».
A un certo punto, 1994, l’ingresso in politica: vi siete mai sentiti una squadra partito?
«No, essere la squadra del premier semmai ci responsabilizzava ancora di più. Sentivamo di rappresentare l’Italia, come ad Atene, il 4-0 al Barcellona».
L’anno prossimo saranno 10 dall’ultima Champions: il digiuno più lungo di una gestione con 8 finali e cinque coppe. È ancora possibile rivedere il Milan di Berlusconi in cima all’Europa?
«Lui ci tiene molto, ha detto di voler tornare in alto. Serve pazienza, anche altri grandi club – dallo stesso Barcellona alla Juve – hanno avuto periodi meno vincenti».
Thohir da una parte, forse Mr Bee dall’altra: che effetto le fa il possibile derby asiatico?
«È il segno dei tempi, competere ai massimi livelli è sempre più complicato».
Secondo Costacurta, Balotelli non sarebbe nemmeno entrato nel vostro spogliatoio: conferma?
«È un capitale che va gestito. Può ancora dare tantissimo, a patto di tirarne fuori il meglio».