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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

Walesa e gli altri potenti in odore di spionaggio

Il premio Nobel per la Pace, l’eroe di Solidarnosc e dell’indipendenza, il sindacalista che liberò la Polonia dalla dittatura comunista, sarebbe stato un collaboratore della famigerata polizia segreta sovietica.
L’accusa contro l’ex presidente Lech Walesa è pesantissima: «Dal 1970 al 1976 è stato un informatore dei servizi segreti. Il suo nome in codice era Bolek». Non solo: per i «servizi resi» sarebbe pure stato pagato.
La notizia, annunciata ieri dall’Ipn, l’Istituto per la memoria nazionale, di orientamento ultraconservatore, ha congelato il Paese nel silenzio e ha dato forma ufficiale a quella che i polacchi chiamano «la paranoia nazionale per il comunismo». Oggi, dopo decenni di sospetti e accuse, alternativamente smentite e confermate, nuovi documenti inchioderebbero Walesa.
I sei faldoni
Martedì mattina è stata perquisita la casa della vedova del generale Czeslaw Kiszczak, l’ultimo ministro degli Interni del regime comunista, il braccio destro di Jaruzelski morto nel novembre del 2015. La polizia ha trovato sei faldoni, 276 pagine di documenti, fotografie, trascrizioni di interrogatori e incontri e, soprattutto, una nota scritta a mano di impegno e lealtà nei confronti della polizia segreta. In calce la firma: «Lech Walesa – Bolek». La nota sarebbe stata controfirmata dal generale e comproverebbe che Bolek era il nome in codice usato dall’ex presidente, assoldato per informare i servizi di Mosca «dall’interno della rivoluzione».
Ieri, il direttore dell’Ipn, Lukasz Kaminski, ha confermato che «i documenti sono autentici». Ma anche la conferma di autenticità è avvolta dalle ombre e dai sospetti: le prove di un coinvolgimento di Walesa con la Sluzba Bezpieczenstwa, la polizia segreta, emergono in un momento storico particolare della Polonia, con la destra ultraconservatrice al potere e un clima da «inquisizione» che cerca di smantellare gli eroi di Solidarnosc e il partito di centro, insinuando legami e amicizie con il nemico numero uno dei polacchi, il comunismo. E non è un segreto che il leader del Pis Jaroslaw Kaczynski, da anni «combatte» Walesa e gli eroi di Solidarnosc – a cominciare da Adam Michnik -, accusandoli a più riprese di essere dei «traditori». «Kaczynski ha sempre odiato Walesa – dice Wojciech Szacki, analista di Political Insight -. Pensa che tutti gli onori di cui è stato ricoperto sarebbero dovuti andare al fratello gemello Lech (ex presidente, morto in un incidente aereo nel 2010, ndr)».
Le contraddizioni
Nel 2008 Walesa aveva già respinto le accuse di un suo coinvolgimento con i servizi segreti comunisti quando in un libro spuntò una sorta di «lettera d’incarico». La spiegazione di Walesa del ritrovamento della cosiddetta «dichiarazione di lealtà» al regime era che tutti, nel 1974, firmavano la fedeltà al comunismo per evitare il carcere o per salvarsi la vita. L’unica ammissione di Walesa era, insomma, che corrispondeva a verità l’avvenuto contatto con i servizi russi, ma che era stato un incontro necessario in cambio della libertà. Ma poi negò. «Walesa ha sempre detto cose molto contraddittorie sul suo passato – aggiunge Szacki -. È molto difficile difenderlo». Ma questa volta la coincidenza dei tempi e le modalità del ritrovamento alzano diversi sospetti sulla natura delle accuse che sembrano avere un «sapore di vendetta» a scoppio ritardato, magari ordita da quegli ex collaboratori di Walesa scaricati nel 1992.
Fra i vari no comment dell’opposizione la voce di Adam Michnik si alza decisa: «L’accusa che Lech Walesa fosse un agente del Kgb polacco è una totale assurdità».
I documenti sarebbero entrati nelle mani della polizia quando la vedova di Kiszczak, Maria Teresa, ha tentato di venderli per 20 mila euro. Questa la versione ufficiale, peccato che la vedova, raggiunta telefonicamente, neghi. E resta una domanda senza risposta: perchè adesso? Se i servizi avessero avuto prove contro Walesa sin dagli Anni 70, perchè non tirarle fuori per indebolire Solidarnosc?
Walesa, in questi giorni in Venezuela, ha negato l’accusa di spionaggio, definendola «assurda»: «Non si possono cambiare i fatti con le bugie, le accuse e le prove false. Dimostrerò davanti alla giustizia la mia più completa estraneità». E ha ricordato che già nel 2000 lo accusarono di avere un passato come informatore pagato per spiare i movimenti dissidenti, ma il tribunale gli dette ragione, definendolo «materiale falsificato».

Monica Perosino

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Molti eroi come Walesa hanno un passato oscuro. L’esempio che viene subito in mente è quello di Vladimir Il’ic Ul’janov, ideologo e artefice della rivoluzione russa. Per raggiungere il suo scopo, Lenin non aveva esitato a stringere un’alleanza segreta con il nemico, la Germania, che stava massacrando il suo popolo. Documenti segreti resi noti poco tempo fa hanno rivelato che il Kaiser Guglielmo II non aveva solo fornito a Lenin il famoso treno blindato che lo portò, come un virus infettivo, da Zurigo a San Pietrogrado. Aveva anche versato milioni di marchi sul suo conto personale in Svezia, soldi che favorirono la pace separata di Brest-Litovsk tra la Russia bolscevica e Berlino. Per lavarsi la coscienza, Lenin raccontò di avere pagato personalmente il biglietto del treno blindato, che non era blindato per niente. Era solo chiuso a chiave, e alle stazioni tutti scendevano per comprarsi una birra.
Un altro personaggio storico responsabile di intelligenza con il nemico è stato Rudolph Hess, il delfino di Hitler. Il 10 maggio del 1941 il suo aereo precipitò in Scozia dopo avere esaurito il carburante a pochi chilometri dal punto di arrivo previsto: una pista di atterraggio nella tenuta del Duca di Hamilton, l’asso dell’aviazione che aveva sorvolato l’Everest e partecipato alle Olimpiadi di Berlino nel 1936. Catturato da contadini della milizia territoriale che lo tennero a bada con i forconi, Hess fu condotto in prigione. I rottami del suo aereo sono ora all’Imperial War Museum di Londra, e nulla si sa dello scopo della sua missione. Forse voleva proporre alla Gran Bretagna una pace con la Germania. Forse anche Hitler era informato del viaggio, ma delle missioni segrete i dittatori si vantano solo se hanno successo.
Anche i britannici hanno avuto il loro traditore di alto rango. Dopo avere abdicato per poter sposare Wallis Simpson, Edoardo VIII fu ricevuto da Hitler che gli promise che lo avrebbe rimesso sul trono dopo la vittoria. E nei salotti della Parigi occupata, la moglie diceva che le spiaceva che i bombardamenti su Londra non fossero ancora più devastanti. Gli americani hanno il loro esempio negativo in Benedict Arnold, il comandante che aveva combattuto nella Guerra di indipendenza, conquistando forte Ticonderoga e vincendo la battaglia di Saratoga. Umiliato dallo scarsa riconoscenza ricevuta, indebolì le difese di Fort Clinton a West Point per poterlo consegnare agli inglesi, con i quali poi si arruolò. Ancora oggi si insegna nelle scuole che il nome di Arnold è sinonimo di tradimento.
I messicani definiscono «malinchista» una persona che fa propri usi e costumi stranieri. «La Malinche», la traditrice, è il termine con il quale era nota 500 anni fa Dona Marina, l’indigena che favorì il massacro del popolo azteco diventando interprete, consigliera e amante di Hernàn Cortés. Altre donne sono diventate per la stessa ragione famose come lei. «Tokyo Rose», come la chiamavano i soldati americani, era nata a Los Angeles con il nome di Ikuko Toguri e ogni giorno faceva sentire la sua voce alla radio per invitare gli americani che combattevano nel Sud Pacifico ad arrendersi.
Una sola di queste donne è stata alla fine perdonata: Jane Fonda. Durante la guerra del Vietnam, la famosa attrice posava vicino ai cannoni nordvietnamiti e interrogava i prigionieri americani. «Hanoi Jane» fu accusata di tradimento da molti veterani. Ma almeno quel tradimento era stato fatto alla luce del sole, davanti alle cineprese, mettendoci la propria faccia, e in nome di un’ideale che alla fine non si è rivelato poi così sbagliato.
Vittorio Sabadin