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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

Maroni non si accorge mai di nulla

In casi come questi, Roberto Maroni ha la soluzione pronta: «Onestà». Sarà «con l’aiuto degli onesti» che il comandante del Pirellone farà emergere la parte migliore della migliore sanità d’Italia, e che tale rimane, malgrado episodici fatti di corruzione. È l’incrollabile impegno di un’esistenza, ritestimoniato durante la campagna elettorale per la presidenza della Lombardia: «Ho fatto pulizia nella Lega e voglio fare pulizia anche nel palazzo della Regione». Però talvolta il destino è beffardo e, con un arresto solo, quello dell’ex senatore Fabio Rizzi, ora presidente della commissione regionale Sanità, si profila il dubbio che la pulizia non fosse stata fatta benissimo, né nel partito né nelle istituzioni. Ci sarà della sfortuna, ci sarà la fisiologica quota di mascalzonaggine umana, forse ci sarà anche qualcosa d’altro: lo si intuirà più avanti.
Ma intanto il ricordo torna a un orgoglioso urlo affidato da Maroni a Facebook nell’ottobre del 2012: «Pulizia, pulizia e pulizia, senza guardare in faccia a nessuno». Bisognava restituire alla Lega l’onore infangato dal tesoriere Francesco Belsito, dai consiglieri regionali che s’erano messi in rimborso spese mutande verdi, fuochi d’artificio, pranzi di nozze, serate tonificanti al Cherry Dance o al Pub the Party, e poi infangato dal figliolo di Umberto Bossi, Renzo Trota, che coi denari pubblici riforniva la dispensa di patatine, Red Bull, chewing gum, e si dotava di Iphone e di uno strumento geniale (per un rappresentante del popolo, per di più padano) che gli permetteva di individuare gli autovelox: infrangeva i limiti di velocità e schivava le multe.
Tutto un ambaradan tenuto in piedi dal cerchio magico, velatamente accusato dai maroniani di circonvenzione d’incapace, cioè di Umberto piegato dalla malattia, e di cui faceva parte Rosy Mauro, la badantessa – un po’ badante e un po’ badessa. Cacciata dal partito e successivamente assolta, ma allora c’era poco da distinguere visto che il tesoriere Belsito aveva reinvestito i soldi dei rimborsi elettorali in diamanti della Tanzania, fra l’altro. Posto l’evidente problema etico – e quello etnico – Bobo Maroni prese in mano la situazione per dimostrare al mondo che il partito padano era inciampato in rari mascalzoni ma aveva la forza di rialzarsi e a petto in fuori. Naturalmente senza guardare in faccia a nessuno. Ci si ricorderà delle riunioni di piazza durante le quali, dal palco, Maroni alzava scope di saggina, cioè le scope tradizionali della gente semplice, e simbolo di una ripulitura energica e rustica. Lo accompagnavano i Barbari Sognanti, fra i cui onirici progetti c’era il mitologico «ritorno alle origini». Perché nel frattempo loro e soprattutto Maroni avevano dovuto ingoiare disonestà sparse e diffuse, o comunque coglionerie finanziarie come quelle della Banca Credieuronord, che rovinò parecchi sottoscrittori, una roba tipo Banca Etruria, o del villaggetto turistico in Croazia, andato in bancarotta per il disastro dei conti di via Bellerio.
In ricordo di quei tempi, tre anni fa Maroni si è comprato una pagina delle cronache milanesi del Corriere su cui ha certificato la garanzia d’onesta della Lega: «Io». Sennonché qualche spiritoso fece notare a Bobo e ai Barbari Sognanti che il ritorno alle origini avrebbe comportato il ritorno al tesoriere e idraulico Alessandro Patelli, passato alla storia come «il pirla» perché aveva preso da Carlo Sama duecento milioni di lire, cioè la quota d’ingresso nel club della corruzione. Nel caso era la maxitangente Enimont, ribattezzata ai tempi di Mani pulite «la madre di tutte le tangenti». Pirla, Patelli, perché s’era fatto ingolosire e perché aveva lasciato i soldi in sede, dentro una busta, e qualche ora dopo la borsa era scomparsa col prezioso contenuto. Puff. Mistero. Disse di non saperne nulla Bossi, volete che ne sapesse qualcosa Maroni? Il quale, infatti, ancora pochi anni fa ricostruiva così la vicenda: «Un finanziamento illecito: per evitare la condanna sarebbe bastata la ricevuta. Che cazzo di reato è?». Lo stesso reato che nel 1994 non venne depenalizzato anche per l’opposizione della Lega, e nella persona di Maroni ministro dell’Interno. Dettagli. La prima reazione di Maroni era stata incredulità: «Trappolone!». Poi trappolone non era: era una mazzetta. Fa niente, Bobo non se n’era accorto. Lui è l’addetto a pulire il latte versato.