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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

Al via il Borsellino quater, tra falsi poliziotti, falsi pentiti e false piste

Uno di loro si chiama Giacomo Pietro Guttadauro, detto Giampiero, e nella stagione delle stragi era un poliziotto di fiducia dell’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera, al punto da fargli da autista. Il falso pentito Vincenzo Scarantino racconta che, presentandosi come “l’ispettore Valenti”, uno sbirro di nome “Giampiero”, sempre al fianco di La Barbera, gli rivelò in gran segreto la deflagrazione di una Fiat 126, “fatta saltare in aria dalla Polizia a Bellolampo”, poco prima della strage di via D’Amelio, per testare l’esplosivo. L’altro, invece, si chiama Domenico Militello, detto Mimmo, e in quegli anni faceva parte della squadra Falcone-Borsellino. Scarantino lo descrive come un “uomo magro, capelli mossi e brizzolati”. I sovrintendenti Giampiero e Mimmo vennero inviati a Pianosa, dal 4 al 13 luglio 1994, quando Scarantino era rinchiuso al 41 bis, per occuparsi della sicurezza del detenuto durante quei colloqui investigativi che, secondo le accuse del picciotto della Guadagna, lo avrebbero costretto a memorizzare le bugie da recitare ai magistrati. Il proto-pentito ricostruisce quei dieci giorni, spiegando che La Barbera gli “raccontava” l’indagine da riferire ai pm e i due sottufficiali gli facevano “coraggio”: “Io mi lamentavo perché non sapevo niente – racconta Scarantino – a Pianosa lo dissi a Giampiero e a Mimmo Militello che non c’entravo nulla con la strage, ma non mi prendevano sul serio”.
 
Il gruppo La Barbera e “l’indottrinamento”
Ora Guttadauro e Militello sono indagati nel nuovo filone dell’inchiesta aperto dalla procura nissena per il depistaggio di via D’Amelio: l’ultima speranza di accertare se quella manovra illusionistica partì dall’“indottrinamento” di Scarantino e chi ne fu il responsabile. Nella richiesta di archiviazione della prima tranche dell’indagine, che vedeva coinvolti i funzionari Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera, prosciolti il 21 dicembre dal gip Alessandra Giunta, la procura di Caltanissetta descrive l’ex questore La Barbera (morto nel 2002) come il “protagonista del depistaggio”: pur non avendo trovato i riscontri sufficienti a incriminare i tre poliziotti, gli inquirenti si dicono infatti convinti che balordi come Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Paolo Andriotta non avrebbero potuto imbastire da soli un canovaccio così complesso da trarre in inganno la magistratura inquirente e poi quella giudicante, sia nel Borsellino Uno che nel Bis. Così ora i pm Stefano Luciani e Gabriele Paci, titolari del nuovo fascicolo, puntano i riflettori sui sottufficiali di polizia che avrebbero gestito Scarantino, in quei giorni immediatamente successivi alla decisione di collaborare, nel tentativo di svelare l’identità dei suoi suggeritori.
 
La diretta di Radio Radicale
All’ipotesi che il “Giampiero” conosciuto dallo Scarantino si sia presentato sotto falso nome si arriva solo il 27 settembre 2013, quando il vero Giampiero Valenti, poliziotto esperto di informatica, viene convocato nel Borsellino quater: il sottufficiale precisa di aver svolto nel ’95 attività di protezione a San Bartolomeo al Mare (Imperia), dove il picciotto della Guadagna era detenuto ai domiciliari, ma di non essersi mai occupato di colloqui investigativi, né di sopralluoghi. Scarantino, che quel giorno è collegato su Radio Radicale, sente la sua voce e si accorge che non è quella dell’ispettore che lui ha conosciuto come l’autista di La Barbera.
L’equivoco viene poi approfondito nell’ultimo interrogatorio del 14 febbraio 2014, quando il proto-pentito racconta i dieci giorni di colloqui a Pianosa “con Giampiero e Mimmo”, continuando a indicare il primo con il nome di “Valenti”: a quel punto i pm gli fanno notare che i due poliziotti registrati in quell’occasione sono i sovrintendenti Guttadauro e Militello, e di Valenti non c’è traccia. La descrizione fisica fornita da Scarantino, infine, lascia emergere con evidenza lo scambio di persona: “Giampiero – dice il balordo – è alto, stempiato, ha i capelli neri e la carnagione scura”. Sembra proprio il ritratto dell’ex autista di La Barbera, mentre l’informatico Valenti è più chiaro di pelle e di capelli. I pm annunciano quindi l’esibizione delle foto di entrambi, ma l’esito ufficiale del riconoscimento è tuttora top secret.
Ma perché Guttadauro e Militello sono finiti nella nuova indagine che parte proprio dalle accuse contenute in quell’ultimo verbale di Enzino? Giampiero e Mimmo sono ancora insieme, quando accompagnano il falso pentito nelle strade dove la Fiat 126 viene rubata e custodita, prima di esplodere in via D’Amelio. Ecco il racconto di Scarantino: “Mi hanno prelevato all’aeroporto di Boccadifalco per fare i sopralluoghi e ho esplicitamente detto che non sapevo nulla della strage. Poi il dottor La Barbera, Militello e Giampiero mi hanno mostrato le foto dei posti, sicché sono stato in grado di descriverli negli interrogatori fatti ai magistrati”. Ed è proprio su questi sopralluoghi che i pm hanno ottenuto la citazione dei due sottufficiali che oggi per la prima volta compaiono nell’aula del Borsellino quater.
Nell’ultimo verbale, ritenuto cruciale per le nuove indagini, Scarantino è generoso di particolari. Dell’ex autista di La Barbera dice: “Giampiero mi parlò anche del dottor Falcone, dicendomi che aveva un brutto carattere, circostanza che sapeva perchè aveva fatto anche servizio scorta a Falcone”. E non è tutto. Già 17 anni fa, deponendo nel Borsellino-bis (all’udienza del 23 ottobre ’98), il proto-pentito rivelò di aver saputo proprio da “Giampiero”, che una Fiat 126 fu fatta esplodere prima della strage di via D’Amelio “dalla Polizia a Bellolampo”, la collina alle spalle di Palermo. Partendo dalle confidenze attribuite all’ex autista di La Barbera, Scarantino all’epoca fece alcune congetture: ipotizzò che a Bellolampo la polizia avesse fatto esplodere proprio la Fiat 126 il cui blocco motore fu ritrovato in via D’Amelio il 20 luglio 1992. E che a uccidere Borsellino fosse stata un’utilitaria-gemella, mai identificata, e poi demolita presso uno sfasciacarrozze. Il tutto con l’obiettivo di costruire la falsa pista del furto d’auto attribuito a Salvatore Candura.
 
“Volevano vedere quanto esplosivo serviva”
L’accusa del picciotto della Guadagna non fu creduta dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, che la bollò come assurda, ma Scarantino il 4 giugno scorso l’ha confermata nell’aula del Borsellino quater, riaprendo uno scenario ai confini della fantascienza. Alla domanda dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, che chiedeva se l’ex autista di La Barbera, quel Giampiero da lui conosciuto come “Valenti”, fosse proprio l’autore delle confidenze sull’esplosione della Fiat 126 a Bellolampo, Scarantino risponde: “Sì, è lui. Mi disse che fecero questa prova: portarono la macchina a Bellolampo e la imbottirono per vedere quanto esplosivo ci voleva per farla saltare”.