la Repubblica, 19 febbraio 2016
«Non sono renziana» dice la Bignardi. «Non favorirò Magnolia» dice la Dallatana. Cronaca del primo giorno della nuova Rai
«Essere indipendenti, plurali, contemporanei». Riportare la Rai a parlare con le generazioni che non la guardano, come i millenials. Sbilanciarsi sul racconto e non sulla performance nelle reti di sport. Trovare nuovi modi di rappresentare la realtà anche su un canale con un’identità forte come Rai3. Innovare senza andare troppo veloce, perché di don Matteo e Sanremo non si può certo fare a meno, a Raiuno. Sperimentare nuovi linguaggi e riproporre anche sulla tv pubblica le serie americane a Rai 2 e Rai 4. Il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto presenta la sua squadra dopo averci pensato a lungo, ed essersi convinto di aver fatto le scelte giuste.
C’era tutta la nuova Rai, ieri pomeriggio, nella sala degli Arazzi di viale Mazzini: in piedi, poggiati a un tavolo rimesso a posto in tutta fretta, con il direttore generale e la presidente Monica Maggioni c’erano Ilaria Dallatana, nuovo direttore di Rai2, Angelo Teodoli, suo predecessore, ora a Rai4, RaiMovie e Raipremium. E poi Andrea Fabiano, il quarantenne promosso alla guida di Rai1 (unico accento meridionale, il suo, con le vocali baresi che spiccano in mezzo a tanto nord). E Daria Bignardi, la sorpresa che raccoglie il testimone di Andrea Vianello a Rai3.
Era seduto in prima fila, Vianello, insieme a Giancarlo Leone, che lascia Rai1 per andare a lavorare al fianco di Campo Dall’Orto sui palinsesti. Con Antonio Marano, pronto per la presidenza di Rai Pubblicità, la vecchia Sipra, hanno fatto i padroni di casa. Vecchi e nuovi sorridono e si abbracciano dall’inizio alla fine.
Fabiano ringrazia Leone che lo ha voluto alla vicedirezione e con cui ha lavorato fianco a fianco nell’ultimo anno. È il primo che cerca quando entra nella sala, un po’ spaesato. «Elettrizzato», confesserà poi. Ilaria Dallatana – vestito di seta verde e tacchi a spillo – viene da Mediaset, ma con la Rai ha lavorato tanto. Fino a due anni fa era a Magnolia, la società che ha fondato insieme a Giorgio Gori e che ha prodotto, proprio per Rai2, programmi come X Factor e Pechino Express. Nessuna paura, neanche delle grane della commissione di Vigilanza – dice ai cronisti – «La preoccupazione maggiore è gestire la vita tra Milano e Roma». L’accento è rimasto quello di Parma, «non l’ho mai perso», la determinazione quella che le riconoscono tutti: «Qui ci sono persone con cui lavorerò bene, tutte le mie avventure sono avventure di squadra». Quanto alla società Magnolia: «La tratterò come tutte le altre». Monica Maggioni loda le scelte di «indipendenza e libertà intellettuale» del direttore generale. «Tutte basate sulla competenza», assicura la presidente. Da New York si collega il nuovo direttore di Raisport, lo scrittore e giornalista Gabriele Romagnoli. Campo Dall’Orto annuncia in diretta: «Abbiamo gli europei, 27 partite in esclusiva. Anche per questo ci serve la capacità di racconto di Gabriele». Ha letto i suoi libri, ricorda il racconto di esordio che si intitolava proprio “Undici calciatori”. «Vengo dalla carta stampata, ma ho una cosa in comune con chi si occupa di sport in Rai – dice Romagnoli – la grande passione per quel che andiamo a raccontare». Lo ha proposto Carlo Verdelli. Il direttore editoriale è lì, silente, poggiato a un muro. Daria Bignardi dice subito quel che pensa e lo fa in accordo con Campo Dall’Orto: «Non si può fare televisione guardando solo agli ascolti. La Rai non è nata per questo». La conduttrice ricorda i tempi in cui ha cominciato proprio a Rai3: Milano-Italia con Gad Lerner tutte le sere in diretta. La Rai del Rischiatutto che guardava da bambina, ora che Fabio Fazio rilancia quella tradizione sulla rete che va a guidare. Io renziana? «Nell’ultima intervista non lo trattai proprio bene e sui social mi massacrarono». Quanto alle Invasioni barbariche: «Si è creata la leggenda che abbiano chiuso per gli ascolti, niente di più falso. Hanno fatto una media del 4 per cento sempre, da quando sono nate». Promette una Rai3 sempre forte su giornalismo e inchieste, ma meno vintage. «Abbiamo un contratto di tre anni, giudicateci per quello che faremo».