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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

Cosa divide Londra e Bruxelles, punto per punto

Cameron è deciso: «Combatterò e non accetterò un accordo che non risponda alle nostre necessità», dichiara entrando al vertice europeo che dovrà definire le concessioni da fare alla Gran Bretagna per convincere il suo governo a schierarsi nel prossimo referendum contro l’ipotesi di uscire dalla Ue. Il premier britannico ha interesse a drammatizzare il confronto per dare valore al compromesso che alla fine riuscirà a portare a casa. D’altra parte sta combattendo una battaglia con le spalle al muro perché di un accordo ha assolutamente bisogno. Senza una dichiarazione di buona volontà da parte degli altri ventisette governi che prenda in conto le sue richieste sarebbe infatti costretto ad allinearsi con i molti conservatori che sostengono ormai apertamente l’ipotesi Brexit. E questo non è nei suoi interessi nè nelle sue intenzioni.
Ma il negoziato che si è aperto ieri, e che si dovrebbe concludere oggi dopo una notte di febbrili incontri bilaterali tra i capi di governo, non è facile. Tre sono i punti che suscitano le maggiori controversie.
IL COMPROMESSO
Per i Paesi dell’Est europeo è la questione più spinosa.
Londra vuole che le venga riconosciuto il diritto di tagliare i fondi dell’assistenza sociale agli immigrati provenienti dagli altri paesi Ue. La richiesta nasce dall’esigenza di evitare che molti si stabiliscano in Gran Bretagna senza reali prospettive di lavoro, ma solo per beneficiare del generoso “welfare” britannico. Però le norme europee vietano esplicitamente qualsiasi differenza di trattamento dei cittadini europei basata sulla loro nazionalità. Il compromesso a cui si è arrivati prevede che i limiti alle prestazioni sociali possano essere imposti, con il beneplacito della Commissione, solo in circostanze eccezionali, in via temporanea e con modalità degressive. Ma, una volta superate le obiezioni di principio, resta da definire quali benefici tagliare, in che misura, per quanto tempo e soprattutto se la norma si applichi solo ai futuri immigrati o anche a chi già risiede nel Regno Unito.
MERCATI FINANZIARI
La dichiarazione cerca di definire i rapporti tra “in” e “out”, tra i paesi dell’eurozona e quelli che, come la Gran Bretagna, ne sono fuori. Sancisce il principio che gli “out” si impegnano a non ostacolare il processo decisionale degli “in”. Ma dà loro il diritto di impugnare eventuali norme e regolamenti dell’eurozona che essi ritengano lesivi dei propri interessi nazionali. La questione più controversa riguarda la regolamentazione dei mercati finanziari. Una prima bozza riconosceva apertamente il diritto della Gran Bretagna di applicare in modo differenziato rispetto all’eurozona le regole su banche e altre istituzioni finanziarie, come le assicurazioni. Una eccezione che si estende anche alle regole prudenziali, che definiscono per esempio i requisiti di capitalizzazione delle banche a fronte dei rischi che hanno in portafoglio. Questo però metterebbe il mercato finanziario della City in una posizione privilegiata rispetto alle piazze concorrenti della zona euro. Sarebbe una evidente violazione delle regole sul mercato unico dei capitali. Molti paesi, tra cui Francia, Italia, Lussemburgo, la stessa Germania, hanno avanziato decise obiezioni. Ieri mattina la bozza della dichiarazione era stata parzialmente modificata, ma prevedeva comunque la possibilità di una diversificazione delle regole prudenziali. La questione appare ancora lontano dall’essere risolta con soddisfazione di tutti.
DUE VELOCITÀ
La dichiarazione all’esame dei capi di governo prevede un esplicito riconoscimento che alcuni paesi (tra cui il Regno Unito) non sono tenuti a rispettare il principio sancito dai Trattati che impegna tutti gli Stati membri a lavorare per «una Unione sempre più stretta». In altre parole si riconosce che, mentre i paesi dell’eurozona possono e vogliono procedere sulla strada di una maggiore integrazione e non devono essere ostacolati, altri non hanno nessuna intenzione di cedere all’Europa ulteriore sovranità. E non possono essere forzati a farlo.
La dichiarazione riconosce anche il diritto dei Parlamenti nazionali, qualora rappresentino una maggioranza di Stati membri, di respingere una normativa Ue anche se ha ricevuto l’avallo del Parlamento europeo. In teoria la questione delle due velocità non appare troppo controversa. Ma le cose potrebbero complicarsi se la maggiore integrazione del nucleo duro dovesse riguardare, invece che la governance economica, settori più delicati, come la sicurezza e la difesa.