Corriere della Sera, 19 febbraio 2016
Se vince chi la spara più grossa, Jeb Bush perde. Quando l’eleganza non premia
Più che una campagna elettorale, quella di Jeb Bush sembra una Via Crucis tra gli Stati impegnati nelle primarie: surclassato dal populista tonante Donald Trump, scavalcato anche dal suo ex delfino, Marco Rubio, oltre che da Cruz, continua a mostrarsi garbato e preparato nei comizi e nei confronti televisivi davanti a elettori che, invece, premiano chi grida più forte contro le politiche fatte fin qui dai due partiti: vince chi la spara più grossa senza starsi troppo a preoccupare di dimostrare la coerenza e la fattibilità dei suoi programmi.
Per questo figlio e fratello di presidenti che non riesce a brillare di luce propria, quella del South Carolina (Stato che vota domani per le primarie repubblicane) è quasi l’ultima spiaggia, dopo i pessimi risultati raccolti in Iowa e New Hampshire. Classica terra del Sud, zeppa di veterani che hanno rispetto a considerazione per quello che i Bush hanno rappresentato in America, Jeb si è alla fine deciso a usare l’arma termonucleare del suo arsenale: il fratello George arrivato lunedì di persona a sostenerlo. Un’iniezione di energia non priva di un fall out radioattivo, visto che l’ex presidente ha anche tanti detrattori. Ma nemmeno questo intervento sembra aver dato smalto alla candidatura di Jeb che ha dovuto incassare un altro grave smacco: la popolarissima governatrice repubblicana dello Stato, Nikki Haley, una che si è esposta coraggiosamente contro Donald Trump criticando aspramente le sue sortite contro gli immigrati, ha scelto di appoggiare non Bush, considerato fino a ieri il candidato istituzionale del partito, ma il più giovane e aggressivo Marco Rubio. Un vero disastro per Jeb che ha cercato di incassare con eleganza ma non ha potuto nascondere la frustrazione: «Sono deluso. Lei è un eccellente governatore e, se avrò la nomination, le chiederò di aiutarmi nella campagna elettorale». Signorile, ma non è quello che vogliono da lui gli elettori. Nel comizio di ieri, davanti a una platea di supporter, ha dato la parola a spettatori che, anziché rivolgergli domande, lo hanno invitato a essere meno remissivo, a mostrare maggiore durezza. E adesso c’è anche chi, come lo scrittore Matthew Yglesias su Vox.com, ipotizza che il vero erede ideologico di George Bush non sia il fratello Jeb ma Donald Trump. Che, certo, condanna la guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein scatenata dall’ex presidente 13 anni fa, ma quanto a populismo, determinazione e sfrontatezza somiglia a George Bush molto più del mite e riflessivo Jeb.