Corriere della Sera, 19 febbraio 2016
La spending review e quei cinque commissari che non hanno fatto risparmiare una lira
Nessuno si era fatto grandi illusioni: che la revisione della spesa non abbia dato finora risultati eclatanti è sotto gli occhi di tutti. Molte delle indicazioni contenute nel rapporto dell’ex commissario Carlo Cottarelli sono rimaste lettera morta, così da generare perfino la percezione che quel rapporto non sia neppure stato letto con la necessaria attenzione da chi avrebbe dovuto farlo. Gli esiti più clamorosi dell’operazione sono stati finora soprattutto gli avvicendamenti dei commissari: cinque negli ultimi tre anni. Mentre ben ci si è guardati dall’affondare il bisturi nelle tante aree di spreco che abbondano nei conti pubblici. Un esempio? Risuonano ancora le grida manzoniane a proposito della micidiale ed economicamente ingiustificata proliferazione delle società partecipate (almeno ottomila con più di 26 mila quote azionarie in mano a soggetti pubblici), molte delle quali nate solo per collocare qualche politico da riciclare o aggirare il divieto di assunzioni vigente per la pubblica amministrazione. Senza che nessuno vi abbia posto concretamente mano. Gran parte degli enti locali non hanno rispettato neppure l’obbligo di mettere a punto nei tempi stabiliti per legge i piani di ristrutturazione, né lo Stato centrale ha dato l’esempio atteso con la messa in liquidazione delle proprie società inutili: le quali continuano allegramente a sopravvivere. Il presidente della Corte dei conti Raffaele Squitieri ha preannunciato la presentazione di un rapporto sulla spending review entro il prossimo mese di marzo. Ma la sua relazione resa ieri in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario ha anticipato una sentenza che non potrà certo essere assolutorio. Squitieri ha parlato di «parziale insuccesso», che sarebbe «imputabile a una non ottimale costruzione di basi conoscitive sui contenuti, sui meccanismi regolatori e sui vincoli che caratterizzano le diverse categorie di spesa oggetto dei propositi di tagli». Traduzione dal burocratese: non si è fatto ciò che era necessario per tagliare quel che si doveva tagliare e per evitare di tagliare quel che non si sarebbe dovuto tagliare. Resta da capire se si è trattato di semplici errori. O non piuttosto, come invece sembra, di scelte precise: che rientrano nella discrezionalità della sfera politica, ovvio. Del resto anche un malato è libero di non prendere le medicine. Ma se poi non guarisce non è certo colpa del medico che gliele ha prescritte.