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 2016  febbraio 19 Venerdì calendario

E Donald s’infuria con Francesco: «Se l’Isis attaccasse il Vaticano, vi garantisco che il Papa pregherebbe perché Trump fosse il presidente»

Donald Trump non cambia tono neanche con il Papa. Dal palchetto di Kiawah Island nel South Carolina, il miliardario newyorkese risponde a Francesco, come se stesse litigando con Ted Cruz o Marco Rubio. «Non è un cristiano chi pensa a costruire muri e non ponti» dice il Papa. Pochi minuti dopo Trump si presenta con un foglietto. Legge parole irridenti: «Se e quando il Vaticano venisse attaccato dall’Isis, che come tutti sanno è il massimo trofeo che i terroristi vorrebbero avere, vi posso garantire che il Papa si metterebbe a pregare perché Donald Trump fosse il presidente. Il governo messicano mi ha denigrato con il Papa perché vuole continuare a farsi beffe degli Stati Uniti ai confini, nei commerci. Ma sanno che io me ne sono accorto. Francesco ha ascoltato solo una parte della storia. Non ha visto il crimine, il traffico di droga. Non vede come la leadership messicana si stia muovendo con furbizia». Subito dopo, abbandonata la paginetta degli appunti, il candidato capolista dei repubblicani prosegue con il dito alzato: «Papa Francesco dice che Donald Trump non è una brava persona. Ma io sono una brava persona, davvero una brava persona. E sono un buon cristiano, orgoglioso di esserlo. Per un leader religioso mettere in dubbio la fede di una persona è vergognoso. Se diventerò presidente difenderò il cristianesimo, non come accade ora con questo presidente».
Lo scontro Francesco-Trump, inevitabilmente, ha monopolizzato l’attenzione di televisioni e siti di informazione. Si vedrà presto, già con le primarie di sabato in South Carolina, se ci sarà un impatto diretto anche sulla campagna elettorale. Nei sondaggi nazionali, per la prima volta, Trump è stato superato da Ted Cruz.
In realtà quello che è successo ieri non giunge del tutto inaspettato. Venerdì 12 febbraio il tycoon aveva già puntato Francesco, nel corso di un’intervista a Fox business : «Credo che il Papa sia una persona molto politicizzata e non penso che papa Francesco capisca quale sia il pericolo che corriamo con il confine aperto con il Messico».
Tra gli altri candidati repubblicani Jeb Bush commenta un po’ imbarazzato: «Rispetto l’opinione del Papa, ma noi dobbiamo trovare il modo di controllare i nostri confini». Più netto Marco Rubio: «Nutro enorme ammirazione per il Papa. Detto questo il Vaticano ha il diritto di controllare i suoi confini e lo stesso diritto lo hanno gli Stati Uniti».
Bastano queste parole per comprendere quali siano gli umori dominanti nel partito repubblicano. Sia Bush che Rubio, in corsa per rappresentare l’ortodossia conservatrice, non possono permettersi di regalare altro spazio politico a Trump. Ciò significa una cosa molto semplice: anche il centrodestra più moderato pensa che il vero estremista sia il Papa e non l’outsider di New York.
Solo il 24 settembre scorso Francesco si presentò così al Congresso degli Usa: «Noi, gente di questo continente, non abbiamo paura degli stranieri, perché molti di noi una volta eravamo stranieri». Applaudirono anche i deputati e i senatori repubblicani. Ma in politica, specie se c’è di mezzo una campagna elettorale, le parole che non servono più si dimenticano in fretta.