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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

In poltona, in veranda, con accanto John Le Carré

Qualche anno fa ero accovacciato su una poltrona di vimini nella veranda di una grande casa che si affaccia sul mare nei pressi di Land’s End, in Cornovaglia. Discutevo con il padrone di casa una versione di quello che sarebbe diventato il ventiduesimo romanzo di John Le Carré, Il Nostro Traditore Tipo. L’autore era seduto di fronte a me, sul bordo della sedia, mentre mio figlio, di solito inquieto, era affascinato dalle correnti marine e taceva. D’improvviso una segretaria riferì a David Cornwell, il vero nome di John Le Carré, che una prestigiosa università americana voleva invitarlo a tenere una conferenza sugli intrecci tra multinazionali, governi, mafie e servizi segreti. Sentita la proposta, David non esitò a rifiutare, per poi rivolgersi a me con queste parole: «Io non sono una spia che scrive romanzi, ma uno scrittore che, per un breve periodo della sua vita, ha fatto la spia». Molti ancora confondono il tema di un romanzo con l’uomo che li ha scritti.
David Cornwell aveva iniziato a lavorare per i servizi segreti di sua maestà quasi per gioco. Nel 1948, all’età di sedici anni, aveva abbandonato una prestigiosa scuola privata per trasferirsi a Berna. Le public school inglesi, oggi come allora, erano fortemente classiste e lui, figlio di un truffatore spesso squattrinato, trovava l’atmosfera opprimente. «Scelsi la libertà piuttosto che la repressione», disse. Appena arrivato a Berna si iscrisse all’università. Un professore gli chiese perplesso: «Ma lei che cosa ci fa qui?» «Sono inglese, e studio la cultura tedesca», rispose il giovane Cornwell. «Lei è il benvenuto», replicò soddisfatto il docente. Lasciare l’Inghilterra fu un atto di ribellione prima di tutto privata. David voleva fuggire dall’uomo che stava per diventare: un tipico esponente della classe agiata. A Berna conobbe due funzionari inglesi che gli chiesero di rendersi utile per il proprio paese, e lui accettò. Il primo incarico consistette nel trascorrere diverse ore seduto in un parco di Ginevra, con un libro di Goethe aperto sulle ginocchia. Un passante gli chiese se avesse visto il suo cane e la risposta concordata fu: «Sì, l’ho visto».
L’attività di spionaggio continuò sporadica negli anni dell’università. Dal 1958 al 1964 David fu assunto a tempo pieno prima dal servizio interno, il MI5, e poi da quello estero, il MI6. Il doppiogiochista e traditore Kim Philby, che Le Carré descriverà ne La Talpa, aveva nel frattempo passato al KGB l’identità di tutti i funzionari inglesi sotto copertura, inclusa quella di David. In ogni caso, con la pubblicazione de La spia che venne dal freddo (1963), David decise di dimettersi dal Ministero degli Esteri e di dedicarsi interamente alla scrittura. La recente biografia di Adam Sisman (2015) mostra in copertina una foto di Le Carré che indossa un colbacco, con il Cremlino sullo sfondo. È un’immagine fuorviante, che mi ricorda l’errore di quei professori americani. Non è un caso che David abbia scritto di getto un testo autobiografico, in uscita alla fine di quest’anno. «Il tunnel del piccione: storie della mia vita» (settembre 2016) è un libro straordinario, che parla del rapporto tra vita e creazione artistica e ci ricorda come l’una non debba essere appiattita sull’altra (anche se in effetti l’estate scorsa in Cornovaglia ho visto arrivare attempate spie sovietiche ben felici di rinvangare i tempi andati).
Le Carré non è tanto un signore col colbacco che racconta dei segreti, quanto un grande scrittore che mette in scena un dilemma centrale nella letteratura tedesca, da Friedrich Schiller a Thomas Mann e Herman Hesse: da una parte vi è l’esistenza integra, specchiata, morale e per certi versi ingenua. Dall’altra c’è la consapevolezza di dover venire a patti con un mondo impuro, fino a compromettersi con una fredda macchina burocratica che considera la vita o la morte di una persona solo una pratica da chiudere al più presto. I personaggi di David si forgiano in questo dilemma esistenziale, che prende spunto dal mondo delle spie ma lo travalica. Seduto in quella veranda, vedevo questa dinamica dipanarsi anche nella trama del nuovo romanzo, mentre mio figlio, che non parla dalla nascita e fatica ad interagire col mondo, osservava il mare ingenuamente felice.