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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

Perché ci perdiamo sempre le chiavi di casa. Una spiegazione scientifica

Sant’Antonio da Padova, aiutaci tu. È lui, infatti, il protettore che dovremmo invocare (aiuta a ritrovare gli oggetti) quando cerchiamo con affanno gli occhiali che abbiamo ben calcati in testa o le chiavi che stringiamo già inconsapevolmente in mano. Una lista illustre, quella degli sbadati, dal famoso violoncellista Yo-Yo Ma, che lasciò il suo preziosissimo Stradivari su un taxi di New York, al tedesco Gernot Nowack che, nel 2013, dimenticò la moglie all’autogrill (“distrazione” già avvenuta in altre coppie, ma qui c’è l’aggravante che i coniugi erano in viaggio di nozze). Ebbene sì, siamo gente distratta: secondo una ricerca di Norton by Symantec, il 65% degli italiani ha smarrito almeno una volta il cellulare. E non roviniamo la media mondiale: secondo un recente sondaggio di una società d’assicurazioni britannica, una persona smarrisce fino a nove oggetti al giorno, per il cui ritrovamento spreca circa un quarto d’ora. No, non è Alzheimer, siamo semplicemente con la testa tra le nuvole. E che si tratti di una tendenza naturale lo conferma anche uno studio delle Università di Milano-Bicocca e di Verona con l’Istituto italiano di neuroscienze, sempre di Verona, pubblicato sul Journal of Experimental Psychology: non riusciamo a concentrarci per più di 20 minuti, trascorsi i quali la nostra mente vaga, catturata dal volo di una mosca o da una goccia di pioggia sulla finestra.
TROPPI STIMOLI. Elementi distraenti che gli psicologi chiamano attentional capture. «Nella vita quotidiana esiste un continuo bombardamento di stimoli che coinvolgono i meccanismi dell’attenzione, soprattutto quella a breve termine. Il funzionamento di questi ingranaggi costa moltissima energia. Così, per far risparmiare alla nostra corteccia cerebrale la fatica di una continua elaborazione, compiamo azioni in modo sommario e meccanico», spiega Carlo Alfredo Clerici, docente di Psicologia generale dell’Università degli Studi di Milano. E il passaggio da un gesto automatico a uno “distratto” è breve: «I gesti quotidiani, frequenti e ripetitivi, diventano automatismi che si traducono in azioni che sfuggono a un controllo consapevole. E, se l’automatismo prevale sull’elaborazione, è facile ritrovarsi a cercare oggetti che non ricordiamo più dove abbiamo messo e che magari sono proprio lì, sotto il nostro naso», conclude Clerici.
L’ETÀ DELLE NUVOLE. Logica vuole che la sbadataggine sia potenzialmente pericolosa, perché ci porta a compiere azioni non consapevoli e a metterci in situazioni a rischio. Eppure la natura ci fa svagati fin dall’infanzia. I bambini sono caratterizzati da una mancanza cronica di attenzione perché il loro cervello è freneticamente impegnato a creare connessioni cerebrali. Intorno ai tre anni, i cuccioli umani dispongono di collegamenti neuronali, necessari per comprendere con rapidità la realtà che li circonda, molto più numerosi di quelli degli individui adulti. La velocità di crescita del cervello diminuisce verso i 9 anni per assestarsi intorno ai 20/25, età nella quale la conoscenza del mondo dovrebbe essersi definitivamente consolidata. E non è tutto. Spiega Paolo Bartolomeo, neurologo all’Istituto del cervello e del midollo spinale di Parigi. «A differenza di altri animali, l’uomo nasce con alcune parti del cervello ancora immature. In particolare, le parti anteriori dell’encefalo, i lobi frontali, raggiungono la completa maturità attorno ai 25 anni. Proprio il loro funzionamento ci permette di inibire le distrazioni». Poi però, con l’invecchiamento, torniamo a perdere colpi, perché la capacità di selezione tra stimoli importanti e irrilevanti inizia a calare. Una ricerca del neurologo inglese James Rowe ha messo a confronto le performance di giovani e anziani riguardo alla loro capacità di concentrazione. I soggetti dell’esperimento dovevano osservare immagini che erano “disturbate” da scritte estranee. Alla fine è risultato, come prevedibile, che la capacità di focalizzazione era nettamente superiore nel gruppo dei giovani. È interessante però il test successivo, che ha ribaltato la richiesta: ai due gruppi si chiedeva di ricordare gli elementi disturbanti, e qui gli anziani hanno raggiunto un punteggio migliore. Insomma, è come se, nell’infanzia e nella vecchiaia, la nostra capacità di scremare gli impulsi della realtà sia naturalmente bassa, quasi per accogliere il mondo in tutta la sua pienezza. Nei bambini, per apprenderlo in fretta, negli anziani per non perdere tutte le sue sfumature.
CHE (GRANDE) TESTA! I distratti, così poco focalizzati sul nocciolo della questione ma così ipersensibili a ciò che li circonda, sono dotati di un cervello XL. È questa la tesi del neurologo Ryota Kanai e dei suoi colleghi dello University College London, che hanno rilevato volumi maggiori in alcune zone del cervello nelle persone sbadate. È stato consegnato un questionario a un gruppo di 15 volontari per valutarne il livello di distraibilità: punteggio più basso agli attenti, punteggio più alto agli sbadati. Gli studiosi hanno poi scansionato il cervello dei volontari con la risonanza magnetica. I più attenti presentavano volumi minori nel lobo parietale superiore sinistro, mentre gli smemorati avevano più materia grigia proprio in quest’area cerebrale. Esiste quindi una cabina di regia dell’attenzione/distrazione, con caratteristiche fisiologiche diverse, tra il cervello di chi si distrae facilmente e chi no? «I lobi frontali del cervello sono essenziali per la memoria di lavoro (di cui ci serviamo per esempio per ricordare un numero di telefono prima di scriverlo), insieme con strutture posteriori (i lobi parietali), cui sono connessi da grossi fasci di fibre nervose. Si potrebbe quindi pensare (ma non è stato ancora dimostrato) che l’efficienza di queste reti nervose fronto-parietali sia correlata con la capacità di non farsi distrarre da eventi irrilevanti», dice Paolo Bartolomeo.
I ricercatori della Northwestern University (Usa) hanno indagato il legame fra distrazione e creatività e hanno scoperto che le persone ipersensibili ai suoni (e quindi facili a distrarsi se disturbate da musica o rumori) sono più creative di quelle che sanno concentrarsi anche in ambienti rumorosi. Lo studio ha dimostrato che più le persone sono infastidite dai rumori, maggiore è la probabilità che ottengano un buon punteggio nei test di misurazione della creatività. Il che darebbe un avallo scientifico anche allo stereotipo dell’artista sempre con la testa fra le nuvole. Purtroppo però non siamo tutti artisti e non tutti viviamo di professioni creative: agli altri mestieri la distrazione può causare problemi. Secondo una ricerca, pubblicata sulla rivista Human Factors, mentre lavoriamo siamo distratti almeno sei volte l’ora. E le interruzioni avrebbero l’effetto conclamato di peggiorare il nostro rendimento.
QUANDO È GRAVE. Del resto occasioni per distrarci ne abbiamo a bizzeffe. Un esame universitario poco interessante, un lavoro che non piace, molti impegni in contemporanea, una depressione latente (che porta a estraniarsi da una realtà sgradevole), un idealismo acceso (che spinge a sognare felicità future contro un presente frustrante) e così via. Per “restare sul pezzo” gli psicologi consigliano diversi rimedi: una scaletta con le priorità, l’uso dell’agenda, dormire bene (il sonno tiene oliati i meccanismi cerebrali), concentrarsi sul lavoro più di giorno che durante il pomeriggio o la sera (l’attenzione segue ritmi circadiani e tende a diminuire sul finire della giornata).
Ci sono poi distrazioni che si possono rivelare gravissime. Su tutte la più drammatica: dimenticare il figlio piccolo nell’auto sotto il sole estivo (il tragico record è degli Stati Uniti, dove muoiono così 38 bambini ogni anno). Che cosa succede nella testa di un genitore che parcheggia la macchina con dentro un bambino? «Escluderei motivazioni inconsce», spiega Maria Antonella Brandimonte, docente di Psicologia dei processi cognitivi all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e autrice del libro La distrazione. Essere altrove (Il Mulino). «La guida, tra tutte le azioni che compiamo quotidianamente, è una delle più ripetitive. Nel tragitto consueto che si compie ogni giorno per andare al lavoro, inseriamo spesso il pilota automatico e approfittiamo di una strada che non presenta sorprese per elaborare pensieri e idee. Così, il bambino da accompagnare all’asilo, se ha la sfortuna di addormentarsi o restare in perfetto silenzio, corre il rischio di farsi dimenticare». La sbadataggine, però, è anche un meccanismo mentale che aiuta a sopravvivere. In caso di pensieri assillanti e preoccupanti, per esempio, essere distratti aiuta a passare oltre e magari, in questo vagabondaggio di idee apparentemente scollegate, riuscire a trovare soluzioni non ovvie.
QUANDO È UTILE. «Il concetto di distrazione non è sempre legato a quello di errore», spiega Brandimonte. Possiamo, infatti, bypassare stati d’animo spiacevoli distraendoci con pensieri positivi. Anche la tolleranza al dolore fisico sembra dipendere dalla nostra capacità di distogliere la mente. Una serie di studi svolti tra gli Anni ’70 e gli Anni ’80 documentava effetti positivi della distrazione sulla percezione del dolore. Per esempio, fu fatto un test su un gruppo di persone alle quali era chiesto di immaginarsi in una situazione rilassante mentre si provocava loro dolore a una mano. Stesso trattamento a un altro gruppo al quale, invece, non erano state date istruzioni. Il risultato fu che i partecipanti istruiti a immaginare cose piacevoli riportavano di avvertire meno sofferenza rispetto al gruppo di controllo.
Infine, conclude Clerici, «la sbadataggine può anche essere il segnale di un conflitto interiore e indicare la necessità di un cambiamento». Banalizzando: un uomo che perde spesso le chiavi del proprio appartamento può avere il desiderio inconscio di cambiare casa. O moglie.