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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

Se sono too big to fail allora facciamole a pezzi

Il nuovo presidente della Federal Reserve di Minneapolis, un repubblicano ex alto funzionario del Dipartimento del Tesoro durante la crisi finanziaria, che martedì 16 ha invitato l’esecutivo a considerare lo smembramento delle grandi banche al fine di evitare in futuro altri salvataggi a spese del contribuente.
Nella prima apparizione ufficiale in qualità di capo della Fed di Minneapolis in gennaio, Neel Kashkari ha detto che gli sforzi per tenere sotto controllo le banche mediante la legge Dodd-Frank «non sono stati incisivi». La disposizione varata nel 2010 non ha risolto il problema degli istituti di una certa entità il cui collasso metterebbe a rischio il sistema finanziario e l’economia intera, costringendo il governo a soccorrerle in caso di crisi, ha spiegato, riferendosi alle banche «troppo grandi per fallire». Kashkari, che ha fatto parte dell’Amministrazione di George W. Bush, sostiene che la politica dovrebbe «valutare una serie di opzioni», tra cui «la disgregazione delle grandi banche in entità più piccole, meno connesse e importanti», disciplinandole come aziende di pubblici servizi o «tassando la leva finanziaria in tutto il settore per ridurre i rischi sistemici, ovunque si trovino».Tali osservazioni arrivano proprio nel bel mezzo della stagione delle primarie, piuttosto calda, in cui i candidati di entrambi i partiti stanno elaborando la lezione della crisi finanziaria. Il candidato democratico Bernie Sanders scalda le platee attaccando quella che definisce l’avidità di Wall Street, mentre diversi candidati del Great Old Party hanno criticato la Dodd-Frank in quanto non avrebbe eliminato il problema delle banche troppo grandi per fallire. «Il settore finanziario si è adoperato per preservare la sua struttura e ha mosso infinite obiezioni a cambiamenti sostanziali», ha detto Kashkari parlando alla Brookings Institution di Washington. «E subito dopo la crisi, quando la Dodd-Frank è stata approvata, le prospettive economiche forse erano troppo incerte per prendere decisioni nette, ma ora l’economia è più solida, ed è tempo di superare gli interessi di pochi». Dopo il discorso, Sanders ha rilasciato una dichiarazione, dicendosi «entusiasta» delle parole di Kashkari. Invece, John Dearie, direttore esecutivo del Financial Services Forum, ha voluto ricordare che «le maggiori istituzioni finanziarie sono più piccole e meno complesse e hanno il doppio del capitale e il triplo della liquidità da quando Kashkari ha lasciato il governo per entrare in politica». Inoltre, Dearie ha spiegato che lo smembramento dei grandi istituti Usa li renderebbe meno competitivi a livello globale, argomento che Kashkari ha definito poco persuasivo perché i costi che le grandi banche possono comportare per l’economia superano i benefici delle loro dimensioni. L’ex vicepresidente della Fed Donald Kohn ha difeso la liquidazione per le imprese fallite contenuto nella Dodd-Frank, che conferiva agli enti di disciplina l’autorità per disgregare le banche in assenza di piani credibili che aiutassero a superare la bancarotta senza oneri per i contribuenti o nel caso rappresentassero una grave minaccia per il sistema finanziario. «Penso che il nuovo regime, una volta in vigore, dovrebbe funzionare», ha commentato. Peraltro, l’analisi di Kashkari contrasta con la posizione del presidente Fed, Janet Yellen, che la scorsa settimana ha detto che la normativa successiva alla crisi è stata efficace. «I passi fatti negli ultimi sette anni hanno dato notevoli frutti in termini di un sistema bancario più resistente, meglio capitalizzato e più liquido», ha detto giovedì alla Commissione Finanze del Senato. In quanto esponente dei 12 presidenti delle Fed regionali, Kashkari non ha l’autorità per stabilire regole, definite dal Consiglio dei governatori della Fed a Washington assieme ad altre agenzie. La Fed di Minneapolis sovrintende le banche del territorio, nessuna delle quali figura tra gli istituti globali che vanno sotto l’etichetta di too big to fail. Jaret Seiberg, analista di Guggenheim Securities, sottolinea che i clienti delle maggiori banche regionali trarrebbero beneficio dalle politiche contrarie alle megabanche, è il caso della Bancorp di Minneapolis. I commenti di Kashkari potrebbero influenzare il dibattito, sia in Parlamento che tra le authority. Durante la crisi, ha gestito il Tarp, promosso dal governo, che ha pompato 700 miliardi di dollari, nel capitale delle banche. A differenza di altri presidenti Fed, è un ex politico, che ha corso senza successo per la carica di governatore della California nel 2014. Nel suo discorso ha paragonato le grandi banche a reattori nucleari il cui collasso sarebbe catastrofico e ha descritto le autorità bancarie come dipendenti della Transportation Security Administration che controllano ai raggi x le scarpe per prevenire attacchi terroristici. Ha anche lanciato su Twitter l’hashtag #EndingTBTF. In passato, Kashkari si era già mostrato perplesso dalla risposta del governo alla crisi finanziaria, ma il suo discorso di martedì, che ha studiato fin da dicembre, prima di insediarsi alla Fed di Minneapolis, è andato oltre suggerendo una riforma di vasta portata.
Con alcune eccezioni, i politici nominati da Barack Obama hanno bocciato lo smembramento dei grandi istituti. Piuttosto ritengono che la Dodd-Frank nel 2010 e gli interventi successivi abbiano penalizzato i bailout e stiano costringendo i creditori delle banche e gli investitori ad assumersi il rischio del fallimento di una grande banca al posto dei contribuenti. D’altra parte, la Fed e altre Authority hanno intrapreso azioni in linea con alcune delle idee proposte da Kashkari, come requisiti patrimoniali più elevati. Per il capo della Fed di Minneapolis va considerata l’adozione di requisiti minimi del 25% degli asset totali (tre volte più stretti degli attuali). Se Kashkari contribuirà al consenso all’inasprimento di tali restrizioni, i grandi istituti saranno soggetti a una pressione ancora più forte al ridimensionamento.
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