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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

Invettiva di Aldo Busi contro lo Stato clericale

Quando ti allunghi sul letto a una piazza ancora stanco dell’ultimo sonno fatto male e appoggi la testa sul cuscino e chiudi e apri e richiudi gli occhi e tutto ciò che sconsideratamente ti riecheggia dentro è “l’otto per mille, l’otto per mille, l’otto per mille!”, un anatema al contrario di ninnananna, se non hai pensieri di vita da pensare, o pensi pensieri di rassegnazione alla morte, i più accessibili per entrare nel grembo del sonno in maniera neutrale, senza angosce né rimpianti, o pensi pensieri di vita, pensi alla vita degli altri che se la scambiano di sonno in veglia, per esempio pensi alle vite dove meno te le aspetteresti, sull’Himalaya indiano, alle donne del villaggio di Sking, a quattromila metri, che una volta al mese sciolgono e si lavano i lunghissimi capelli neri, li pettinano e li ripettinano al sole concedendosi l’unica voluttà permessa dal luogo aspro e avaro ai limiti della sopravvivenza e si rinnovano le due trecce per accogliere al meglio i loro uomini, mariti e figli ancora bambini, scesi a valle carichi come muli a barattare granaglie e poco più, sale, pelli di pecora, coperte fresche di telaio; pensi, con la fantasia che ti fai di quelle montanare, che è passato tanto tempo da quando i loro uomini e ometti gli girarono le spalle curvate dai sacchi e sempre più piccoli in lontananza scomparvero in fila indiana sul sentiero sempre più scosceso e scivoloso ma che adesso da un momento all’altro potrebbero tornare a mostrarglisi di fronte sempre più grandi, sebbene non meno schiacciati dell’andata dalle vettovaglie di prima necessità che ora portano a casa riapparendo all’orizzonte agitando una mano, confermando che ci sarà da mangiare anche per quest’altro mese e che non sono morti per una vertigine della fatica non più vincibile inghiottiti da un dirupo, anche se non riesci a cogliere dalle facce che si vanno incontro colmando la distanza nella tundra se nelle loro menti c’è un legame di causa e effetto tra i due bagliori entrambi felici, entrambi come insperati.
Che a quattromila metri dal livello del mare ci siano sorrisi ricorrenti tra chi arriva e chi stava a aspettarlo fa sorridere anche te, stai per addormentarti e è come se, invisibile nume tutelare, prendessi la mano degli uni e delle altre e le congiungessi.
Perché ci si deve pur addormentare con un pensiero di incontro, e pazienza se non è un incontro che ti spetta e che aspetta te, lo fai tuo e accompagni nella sua trepidazione intrecciata di timore chiunque la mente vagante attorno agli occhi chiusi senza immagini proprie che trasmigrino al risveglio incontri gravido del pensiero del suo incontro in arrivo.
Poi, però, vedo lo sguardo sempre più allarmato di una donna che cerca e cerca tra le figure sempre più vicine la sua e non la trova, non la trova, fino a che non incontra gli occhi bassi degli uomini e dei bambini indecisi se sorridere alle loro donne ritrovate o piangere per quella donna orbata e lei capisce, si gira e rientra nella sua casetta senza versare una lacrima, mentre tutti, sciolti gli entusiasmi del loro esserci e ritrovarsi, si avviano verso la soglia che lei ha varcato da sola.
Però il riflesso di lei crollata in ginocchio sulla terra battuta che afferra e stringe una sua inutile treccia rinnovata non ti facilita il sonno, c’è troppa vita in lei che si immagina il suo morto in fondo a un tale crepaccio che non è stato e non sarà possibile recuperare, e allora riapri gli occhi del tutto, e ti giri, poi ti rigiri, e pensi che se non vuoi pensare alla smorta vita tua devi pensare altri pensieri di vita altrui.
Ti riallunghi per bene, poi ti inarchi sul fianco destro, no, meglio quello sinistro, il collo è meno rigido, la testa pare affondare un po’ di più.
Pensi alla donna ricoverata con la lingua tagliata a metà per tre centimetri buoni alla quale da due decenni dicevi che mettersi il coltello in bocca per leccarlo su entrambe le lame non solo è volgare ma anche pericoloso, a lei che svelta se lo sfilava di bocca con fare tra il permaloso e il piccato e alla prima occasione, una crema, un budino, un rimasuglio di gorgonzola o di marmellata, rieccola chiudere le labbra sulla lama piatta del coltello e ripassarsela sulla lingua, leccarla con disinvolta avidità, mentre a te di fronte a lei viene daccapo la pelle d’oca, e un giorno, una sera a una cena frugale e svelta prima di andare a teatro, uno yogurt contribuisce alla goccia che fa traboccare il vaso, ti alzi dal tavolo, le sibili, “Non tollero più che dopo vent’anni e passa una persona con cui mi faccio vedere in giro ancora si ficchi il coltello o il coperchio di stagnola in bocca per leccarlo in su e in giù, hai capito? Basta! E poi tu, che ti credi una gran signora solo perché porti al polso un braccialetto di diamanti e un orologio tempestato di diamanti anche per fare le passeggiate nel bosco e ogni volta esponi a un’imboscata anche me, sei poco meno di una stracciarola fascistoide coi soldi in Svizzera che sbaglia i congiuntivi e compra ‘Chi’ e ‘Novella’ da 2000 a 3000, anche con me a braccetto, tu mi hai proprio rotto i coglioni, non voglio trascinarmi in vecchiaia gente stupida, ignorante e supponente come te, non voglio vederti mai più”, e nel dire così, nel sibilarlo, per l’appunto, ma neanche troppo e tanto che i clienti ai tavolini della pasticceria a due passi dallo stadio hanno sentito bene, vedi il sangue uscirle a zampilli dalla bocca spalancata in un urlo che ancora non le esce forse perché bloccato dalla chiusura di stagnola del vasetto di plastica dello yogurt che le fende la lingua.
Quanta vendetta andata a segno hai visto in quel versamento di sangue e un po’ ti sei sentito non sai se più in colpa o più euforico, come se la sottilissima, inapparente e micidiale lama che nasconde la chiusura di stagnola dello yogurt gliel’avessi ficcata nella lingua tu, ma la lingua le serviva solo per storpiare i verbi che invano le hai corretto per quasi un quarto di secolo e per leccare i coltelli, e hai mantenuto la parola, in seguito non sei neanche andato a farle visita, l’hai portata al pronto soccorso, hai chiamato entrambi i figli, che ti hanno passato subito le nuore, hai detto cosa era successo alla vecchia e superba bacucca e dove si trovava ricoverata e che era già tanto che fossi arrivato all’Istituto San Siro invece di scaricarla alla Clinica Veterinaria San Siro che era ben più vicina, e che non contassero più su di te per tenergliela alle larghe oltretutto pagandole ristoranti e pasticcerie e cinema e taxi perché non farebbe fine che una donna si faccia vedere a pagare un uomo, “Paga tu”, ti diceva la tirchia miliardaria, “che dopo ti rimborso”, mai visto un centesimo tornare indietro, e insomma, anche i pensieri di vita della vita altrui, l’unica che ti è rimasta, non sono poi un granché, rischi di dare più credito ai bigotti e agli ipocriti che non a te, loro sì che fanno la bella vita divertendosi a bloccare la tua se è contraria ai loro gracidii fideistici, fanno la vita della puntina che gira sempre sullo stesso solco di un vinile vecchio di un secolo e non si sposta mai, la loro vita è rompere i timpani con le loro verità rivelate e le loro trascendenze spirituali del cacchio a quelli come te costringendoli a arrampicarsi sui loro specchi civili e giuridici e politici e economici benedetti dalla loro religione più che mai di Stato, la masnada di ecomostri umani che si erge da ogni chiesa e semina guglie di corruzione e malaffare e malafede in ogni anfratto della vita sociale, forse non ti addormenti perché l’unico modo per renderli luminosi sarebbe bruciarli vivi manu militari, perché le vere streghe sono quelle che ne vanno a caccia, o almeno farli fuori con una pallottola nella nuca, di schiena, come tutti i vili e i traditori della patria, gli intoccabili marci di Stato per statuto che occupano i banchi di chiesa quale trampolino ideale per insediarsi su ogni scranno in giro, parlamento, radio, televisioni, giornali, tribunali, banche, e le nuore al telefono ascoltavano la faccenda della lingua tranciata per il lungo e pacatamente riferivano ai mariti vicini, non c’è stato nessun soprassalto di voci, nessun segno di allarme, pensavi alla tua ex amica che non riusciva nemmeno a lanciare fuori quell’urlo nemmeno una volta in auto e ti veniva da ridere al pensiero che avresti dovuto far cambiare i rivestimenti e i tappetini almeno dietro e che era inutile mandare la fattura ai suoi cari, mai un grazie per tutte le volte che le avevi fatto da infermiere ambulante odiandoti perché lo facevi pur sempre a una rotta in culo che prima non versava i contributi ai suoi operai e poi andava a accendere un cero al suo santo preferito, sant’Antonio da Padova, mentre tu rosso di vergogna e di pietà, l’aspettavi fuori, chissà, avranno pensato tutti e quattro due per due, un figlio e una nuora per volta, chissà che non sia la volta buona e che la vecchia megera tiri finalmente le cuoia, e poi un sacco di figli e di padri e di madri e di mogli e di mariti e di amanti sono tanto più contenti nel prendere sonno se sanno che l’indomani non devono incontrarsi, si sentono più sollevati, non c’è bisogno di un cadavere perché ci sia un morto né di un dirupo himalaiano per non poter recuperare un parente, e poi pensi che tu, che vivi e muori da solo come compete a un autentico e incontaminato anticlericale in una società di psicopatici con l’ostia consacrata in tasca, non sei niente di speciale e nemmeno uno al quale è poi andata così male; certo, a parte fare le spese, non hai nessun progetto comunitario per l’indomani, ma considera anche che è un sollievo non dover star lì a guardare i cento euro quando le fai, sarà una magra consolazione ma pensa a cosa deve essere la consolazione di chi ha votato Berlusconi per vent’anni o ancora va in pellegrinaggio a Pietrelcina e non ha neanche mezzo milione di euro in banca, un’inculata totale, metafisica, quella unta dal Signore, la peggiore; parenti o amici di un tempo che siano, sono rari per tutti quelli che cadono in uno strapiombo e ti sono ancora così cari che vorresti averne le spoglie davanti per poterci piangere sopra.
Pensi poi, mentre ti rigiri nel letto, seppure con pigrizia e senza alcuna insofferenza, che non è possibile dividere i pensieri di vita da una parte e i pensieri di morte dall’altra, proprio come non si possono dividere i sogni che ti svegliano di colpo dagli incubi che arrivano all’atroce compimento senza svegliarti, e che non sei il solo a non avere niente di bello che ti aspetta l’indomani, e poi che devono essere pochissimi coloro che prima di prendere sonno hanno un pensiero d’amore per qualcuno che per questo sarà felice e contraccambierà più o meno sincronico rendendo il primo battito di palpebre del risveglio già carico della luminosa energia della voglia di vivere, si vive anche senza voglia di vivere, la preda è chiusa ma non tiri più su le reti, non ne vale più la pena, sei stanco morto dei pani e dei pesci fantasma moltiplicati degli altri e anche di quest’altro governo, la tua preda su cui affondare i denti è la solita, sei tu e buonanotte, buonanotte comunque.