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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

I bibliofagi, ovvero quelli che si mangiano i libri

Divorare i libri può non essere solo una metafora. I bibliofagi ci sono, o perlomeno ci sono stati. Gente che si è mangiata i libri, carta, copertina, rilegatura, tutto. Pare che i Tartari, che non sapevano leggere, mangiassero i libri per acquistarne la sapienza contenuta. Chissà se è vero. Pare invece che nel 1643 uno scrittore scandinavo, per aver pubblicato un libello politico contro le autorità del tempo, fosse stato condannato a scegliere tra l’essere decapitato o mangiarne una copia bollita. Sorte analoga per Isacco Volmar, che aveva scritto satire contro Bernardo il Grande, duca di Sassonia. Un volume glielo fecero mangiare crudo.
Questi e molti altri aneddoti sono racchiusi in un saggio brillante dall’inizio alla fine, intitolato Curiosità bibliografiche. Della bibliofilia, della bibliolitia e altre malattie (La Vita Felice, pp. 320, euro 14,50). Lo scrisse Americo Scarlatti (pseudonimo di Carlo Mascaretti), erudito nato nel 1855 e morto nel 1928. Questo volume fa parte di una lunga serie che mise insieme nel corso di parecchi anni, mentre lavorava alla Biblioteca Nazionale di Roma. Ci sono considerazioni di tutto rispetto e tali da scalfire i pregiudizi più diffusi. Vi si spiega infatti che la biblioteca perfetta non è certo la più estesa, anzi a volte quella dotata di pochi libri, ma adatta alle predilezioni del suo proprietario. Poche letture, insomma, ma buone, e soprattutto alla larga da quelle di moda, destinate perlopiù a una gloria effimera. In Italia, già nel Settecento, passarono completamente di moda i romanzi storici e galanti composti pochi anni prima dal Leti, dal Bisaccioni, dal Lupis, dal Loredano, dal Marini, dal Biondi, dal Manzini e dal Pallavicino. Tutti scrittori la cui opera è finita morta e sepolta con loro.
E che dire di Giovanni Rosini, che nella prima metà dell’Ottocento, con la sua Monaca di Monza era convinto di aver ucciso i Promessi Sposi? La capanna dello zio Tom, pubblicato nel 1851-52, di Harriet Beecher Stowe, conobbe un successo di pubblico senza precedenti, con centinaia di migliaia di copie esaurite in poche settimane negli Stati Uniti, 40 edizioni in Gran Bretagna, traduzioni in 23 lingue. Un esito colossale, per un libro che oggi si trova al massimo in qualche edizione ridotta per alunni di scuola media.
Alla fine dell’Ottocento, uno dei poeti e drammaturghi più in voga e più amati dai critici letterari e dagli accademici era Felice Cavallotti, detto «Il Bardo della Democrazia», passato ai posteri più per la sua irruenta attività di politico radicale che per la sua scrittura, oggi del tutto dimenticata.
Non parliamo poi dei libri scritti da uno e attribuiti a un altro. Scarlatti ne ricorda a decine e dei più clamorosi, distinguendo tra «libri adottivi» e «sostituzioni di paternità», a seconda che chi li firmava fosse d’accordo con chi li scriveva per lui (oggi si chiamerebbero ghostwriters) o che si trattasse di plagi belli e buoni. Alexandre Dumas padre produsse centinaia di opere, a getto continuo. Gli editori e stampatori ne erano felici, perché ci guadagnavano, lui aveva messo su un’industria che comprendeva parecchi operai della scrittura. Persino del Conte di Montecristo e dei Tre moschettieri si dubita, essendo state probabilmente composte con l’aiuto determinante di svariati collaboratori. Seguono amenità e spigolature gustosissime. Per esempio su quello che si trova scritto sul frontespizio o nei margini dei libri, attribuzioni di proprietà, minacce per i ladri, commenti al testo. Uno che si divertiva a deturpare i volumi di una biblioteca di Firenze era il giovane Giosuè Carducci, che su una pagina di un esemplare dell’Acerba di Cecco d’Ascoli scrisse: «Non dire mal del gran poeta Dante, / Ciuco, bestia, c….. et ignorante». Peraltro firmandosi Messer Guccio di Lapo, 1631.
Si definisce «bibliolitia» l’atto di distruggere i libri. Il che avviene talvolta per mano dell’autore stesso, pentitosi di averne scritto e diffuso uno. Un caso interessante: Charles Augustin de Sainte-Beuve compose un Livre d’Amour, 45 poesie dedicate alla moglie di Victor Hugo. Ma il rischio di uno scandalo era troppo evidente, e il poeta, preso da scrupoli, ne fece distruggere tutta l’edizione. O meglio, non tutta, dato che alcuni esemplari erano già stati regalati agli amici. Cercò quindi di farseli restituire o di ricomprarli, ma qualcuno gli sfuggì e arrivò in seguito, sul mercato antiquario, a valutazioni altissime.
Il capitolo dedicato ai titoli è poi tutto da leggere per la presenza di assurdità incredibili. Idem quello sulle testate dei giornali (alcune delle quali ancora sopravvivono!). Una menzione speciale va al curatore dell’opera, Matteo Noja, per il suo straordinario lavoro sulle note. Uno spettacolare percorso nel labirinto di un vero bibliomane.