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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

Los Angeles, Parigi e Budapest sono le rivali di Roma per le Olimpiadi 2024

Il vocabolario delle candidature rivela subito la natura precaria dei progetti: sogno, visione, magia, ottimismo, spirito. Sono le parole più usate dalle quattro città che lavorano per avere i Giochi del 2024. E sono inevitabilmente instabili, come lo è ogni idea.
Los Angeles è la più pragmatica e Roma dovrà guardarsi dalla mentalità con cui si è proposta. Gli americani del caleidoscopico Superbowl, della Coca Cola formato gigante, dei baci sul mega schermo nei time out dell’Nba scelgono una cerimonia spiccia per far decollare il progetto Giochi. Sanno di non poter competere con la scenografia dell’Arco di trionfo e dei Fori Imperiali e fanno gli alternativi. Mentre Roma e Parigi spremono fascino dalla storia loro restano volutamente indefiniti: «LA è aperta, perfetta per ospitare il mondo». Evitano di puntare sull’identità e raccontano di un’ospitalità foraggiata in gran parte da sponsor privati, recuperati pure a tempo di record visto che fino a settembre c’era Boston in corsa. Dalla sorella che ha abbandonata la gara ereditano una certa attenzione del Cio verso gli Usa. Li snobbano da anni e ora cercano intese, ma quell’ipotetico vantaggio si è un po’ bruciato nel passaggio di consegne. Los Angeles è partita con il fiatone e ha recuperato parecchio. Solida, stabile, per una volta non costretta a strafare si è scoperta capace di esaltare il basso profilo. Un minimalismo inedito. Come Parigi si fanno forza di un parco impianti che ha solo bisogno di qualche ritocco anche se su questo terreno sono i francesi a fare la voce grossa.
Sotto la Torre Eiffel
Per Roma si tratta di sfidare proprio quello che l’Italia dello sport ha sempre invidiato alla Francia: l’organizzazione, la cultura a investire sui talenti e pure sui palazzetti. Partono dal 95 per cento delle sedi esistenti e piazzano le tre strutture temporanee sotto la torre Eiffel, all’Esplanade des Invalides e a Versailles. Per gradire. Non è questo che ci preoccupa, anzi, per certi versi, Roma e Parigi sono candidature a specchio.
Roma può contrastare lo charme, rispondere a Campo di Marte con il Circo Massimo, solo che loro si sono già dimostrati grandi organizzatori, noi dobbiamo ancora passare l’esame. E per Parigi collegare i puntini sulla mappa non richiede grandi sforzi mentre noi latitiamo sul capitolo infrastrutture.
I francesi sono affidabili, niente da dire, eppure le promesse degli ultimi mesi, e l’entusiasmo motivato dai sondaggi favorevoli, non sono così evidenti nel primo dossier. Parlano di ampliare gli orizzonti, di coinvolgere i quartieri più giovani, più fumo di quanto ci si potesse aspettare dentro ambizioni difficili da contenere. Il budget è tenuto al guinzaglio, garantito da finanziatori in aumento però sempre in leggera frizione con le aspettative, con la voglia di trasformare la Senna «nel flusso vitale dei Giochi». Il rischio distrazione esiste.

Orban con Putin

Budapest si nasconde o forse semplicemente evita di andare a sbattere mettendosi contro presentazioni-spettacolo. Non ha un logo, non ha un sito, ha buone idee, come definirsi «città della taglia giusta», sfruttare il trasporto fluviale per evitare il traffico agli atleti, però ha la metà degli impianti da costruire. Compensa con la filosofia del punto di partenza, con un’Olimpiade proposta come riscatto e non come celebrazione solo che gli stadi costano. Risparmiano sul fronte immagine, Roma Parigi e Los Angeles hanno sfruttato l’aiuto di 42 consulenti in 3, loro ne hanno contattati solo due.
Hanno un’altra idea delle pubbliche relazioni. Mentre Roma e Parigi lanciavano messaggi da un lussuoso palco, il primo ministro ungherese Orban stringeva la mano a Putin. E lui, tra le altre cose, qualche voto lo controlla.