la Repubblica, 18 febbraio 2016
Così l’antipolitica ha parlato per bocca del senatore Airola
Ho seguito in streaming l’intervento con il quale il senatore cinquestelle Airola ha inteso scaricare sul Pd, promotore della legge sulle unioni civili, la responsabilità di affossare la legge sulle unioni civili. Ho avuto la netta impressione che a dare anima a quelle parole, urlate come raramente capita di udire in un’aula parlamentare, fosse principalmente (se non solamente) uno smisurato odio politico. Le buone ragioni (i “canguri” sono espedienti per delegittimare un sano iter parlamentare) e gli evidenti torti (anche le migliaia di emendamenti sono espedienti per delegittimare un sano iter parlamentare) si equivalevano, come accade in politica. E dunque, a sostenere quelle urla strozzate, quella furibonda animosità, non era la necessità di sostenere una causa o di opporsi alla stessa. Non era, a produrre tutti quei decibel, il desiderio di porre fine alla discriminazione di milioni di italiani; oppure alla volontà di perpetrarla, quella discriminazione, per salvare la società dal caos. Airola non è Cirinnà e non è neppure Giovanardi. Non era dunque una battaglia politica, a dargli voce. A dargli voce (e che voce) era il desiderio di assistere alla rovina politica del nemico (il Pd). Quel desiderio era molto più percepibile e più forte di qualunque affermazione di carattere politico o ideologico o culturale. Per la prima volta, avendo spesso criticato chi usa l’epiteto di “antipolitica” per liquidare forme nuove e inconsuete di politica, ho dovuto arrendermi: l’antipolitica, ovvero il puro desiderio di distruzione della politica, ha parlato per bocca del senatore Airola, temo a nome dei suoi capi e del suo movimento.