Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

Rizzi coi soldi nel congelatore e le trame del dottor Dobermann. Altri protagonisti del caso di tangenti in Lombardia

«Avvocato, parliamo delle carte». È andato subito al punto, senza altri commenti. I suoi legali lo hanno visto «sereno», nonostante le gravi accuse che gli sono piovute addosso nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti per gli appalti dei servizi di odontoiatria degli ospedali lombardi. «Concentrato sull’indagine, vuole difendersi e chiarire tutto». Fabio Rizzi, presidente della commissione Sanità di Regione Lombardia, fedelissimo del Governatore lumbard Roberto Maroni, è da martedì mattina in carcere a Monza con accuse di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta. «Pronto all’interrogatorio di garanzia», conferma l’avvocato Monica Alberti, previsto nella tarda mattinata davanti al gip anche per Mario Longo, stretto collaboratore di Rizzi. Intenzionato a rispondere, salvo cambi in corsa della strategia difensiva, in merito alle gravi contestazioni che lo hanno portato in carcere con altri 8 indagati (più altre 7 persone ai domiciliari e 5 all’obbligo di dimora). Servizi sanitari «sviliti» in nome degli interessi personali, speculazioni anche su progetti umanitari, come la costruzione di un centro pediatrico in Brasile, o sulle attività del Buzzi, l’ospedale dei bambini di Milano. Negli atti risulta anche un «pizzino» con un presunto accordo, con tanto di cifre su presunte tangenti da incassare in futuro, tra Longo e Maria Paola Canegrati, l’imprenditrice al centro del presunto sistema corruttivo. I carabinieri, che hanno eseguito le misure emesse dal gip Emanuela Corbetta su richiesta del pm Manuela Massenz, hanno perquisito gli uffici al Pirellone e l’abitazione di Rizzi, dove hanno trovato 1.600 euro chiusi nel congelatore, 5 mila franchi svizzeri in una busta, e 15 mila euro in una cassaforte lungo la scala che conduce ad una mansarda. Soldi dei quali Rizzi discute assieme alla sua compagna Lorena Pagani (ai domiciliari), e che, secondo gli inquirenti, rappresentano parte del «prezzo della corruzione» attuata dalla Canegrati per ottenere appalti nella gestione dei servizi ospedalieri di ortodonzia. Dalla conversazione emergono le difficoltà nel versare la somma in banca. «Tu come fai con i pezzettoni che hai in mansarda?». Rizzi dovrà forse anche spiegare al gip perché sarebbe «entrato a gamba tesissima» (espressione del coindagato Longo) sulla proprietà del Gruppo ospedaliero San Donato, in particolare su Paolo Rotelli, presidente del Cda, «nel tentativo di imporre la propria linea», come viene riportato agli atti, ossia imporre le società della Canegrati, che aveva trovato la porta sbarrata. Vicenda sulla quale dall’azienda interessata non fanno commenti. Pur di imporre le imprese della Canegrati, peraltro, gli indagati sarebbero stati disposti a fare muro contro un gruppo svizzero interessato a fare un’offerta per un appalto presso l’Istituto stomatologico italiano. L’intercettazione è emblematica: «Gli ho detto non vi permettete, qua è Regione Lombardia, lavorano i lombardi». In Svizzera, tra l’altro, sono state avviate le rogatorie per cercare i soldi della Canegrati, la donna che, secondo Longo, «dal punto di vista politico versa 15 milioni di euro alla Regione e da lavoro più o meno a 1.000 persone».

*****

«Io con questo come mi devo comportare, vado da sola?».
«Se ti chiede, mettiti a disposizione per la campagna elettorale, per le europee, per le regionali... E se chiede se c’è bisogno di qualcosa...».
«Io l’unica cosa che devo chiedere è “guardi, mi interessa il territorio di Pavia”».
È il 7 maggio 2014, Pietrogino Pezzano è in auto insieme alla compagna, la manager «Mandrake» Paola Canegrati, la regina degli appalti delle cure odontoiatriche in Lombardia. Stanno raggiungendo la sede della Fondazione Mantovani di Arconate (Mi) per incontrare l’allora vicepresidente della Regione Lombardia e assessore alla Salute, Mario Mantovani. L’incontro – così ricostruiscono i carabinieri – è stato voluto dallo stesso politico. Mancano pochi giorni alle elezioni europee del 25 maggio 2014 e durante il viaggio l’imprenditrice Paola Canegrati chiede «consigli» a Pezzano su come trattare con Mantovani (Forza Italia) e pensa a nuovi affari nel Pavese che potrebbero espandere il giro d’affari delle sue società.
Pietrogino Pezzano non è un tipo qualsiasi. Lo chiamano «dottor Dobermann» per la sua passione per i cani (è anche giudice nelle competizioni), ma soprattutto è l’ex direttore sanitario dell’Asl di Monza che durante l’indagine Infinito sulla ’ndrangheta in Lombardia è stato fotografato (11 luglio 2009) fuori da un bar di Desio (MB) con alcuni esponenti del clan Iamonte-Moscato. In quell’inchiesta Pezzano sarà anche indagato per due anni, poi la sua posizione sarà stralciata e archiviata.
Nel 2011, nonostante il polverone sollevato dalla pubblicazione di quelle foto, l’allora governatore Roberto Formigoni lo nomina alla guida dell’Asl Milano 1. Solo la rivolta di una ventina di sindaci dell’hinterland milanese costringe il manager al passo indietro. Dopo le dimissioni, il «dottor Dobermann» diventa dirigente delle società di Paola Canegrati. «Una manager eccellente – racconta oggi Pezzano, 68 anni —. Ho progressivamente trascurato i miei incarichi per problemi di salute, ma io non ho mai incontrato politici per suo conto. Negli ultimi cinque anni ne avrò visti un paio, ma non ho mai avuto rapporti con Fabio Pozzi e Mario Longo». L’ex presidente della commissione regionale Sanità, il leghista Rizzi e il suo braccio destro Longo, sono ora rinchiusi nel carcere di Monza.
Il sospetto degli investigatori è che proprio attraverso la relazione con Pietrogino Pezzano, l’imprenditrice Paola Canegrati abbia ottenuto i contatti necessari con il mondo politico. Dopo l’incontro «pre-elettorale» i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano documentano un secondo incontro, del solo Pezzano, con l’allora assessore Mantovani (che sarà poi arrestato nell’ottobre 2015 per turbativa d’asta in un’altra indagine). È la stessa manager Canegrati a raccontarlo al suo commercialista Giancarlo Marchetti (ora ai domiciliari) in una conversazione del novembre 2014. Anche se il legale di Mantovani, Roberto Lassini, ha smentito «ogni rapporto politico e tantomeno economico tra il senatore Mantovani e le società coinvolte nell’indagine monzese». L’intercettazione è riportata negli atti dell’inchiesta della Procura di Monza.
Canegrati: «Ieri Pietro l’ho mandato dall’assessore. Infatti era vestito della festa. L’ultima volta che ci siamo visti praticamente l’assessore ha lasciato intendere che gli piacerebbe entrare a fara parte di questa grande famiglia...».
In quell’occasione, la manager dice di aver dato a Pezzano «l’elenco degli ambulatori dove siamo e dove non siamo». Secondo gli investigatori l’obiettivo era quello di chiarire quali erano gli appalti già acquisiti dal gruppo Canegrati e quali, invece, potevano essere «avviati insieme».