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 2016  febbraio 18 Giovedì calendario

Ricordiamoci che in Italia ci sono 35 mila bambini che vivono negli orfanotrofi

L’unico requisito per le adozioni è l’amore, scrive Claudio Magris. Amare, tutelare, educare. Ma chi misura l’amore? I politici, che approvano le leggi, e i giudici, che le applicano. E così in articoli, commi, paragrafi, l’arido e repulsivo linguaggio burocratico stabilisce quando un bambino, orfano, abbandonato o conteso, abbia diritto a una famiglia. E quando una coppia, dopo aver resistito a un processo degno dell’Inquisizione, abbia diritto ad adottarlo.  
Nel sito www.linkiesta.it, Lidia Baratta riporta i numeri forniti da Marco Griffini, presidente di un’associazione che di questi problemi si occupa: negli orfanotrofi italiani ci sono 35 mila bambini, 400 i neonati abbandonati ogni anno alla nascita, tra mille e milletrecento, sempre in un anno, le adozioni, mentre le richieste sono almeno dieci volte di più. Numeri che fanno impressione, anche se manca una banca dati centrale su tutti i bambini dichiarati adottabili dai tribunali per i minori. 
Percentuali più alte sulla scena estera, dove però bisogna avere soldi e coraggio. Nel rapporto 2013 (ricchissimo di dati, si trova su Internet) della Cai, la Commissione per le adozioni internazionali che fa capo alla presidenza del Consiglio, si contano, in quei dodici mesi, 2825 bambini provenienti da 56 Paesi, in testa Russia ed Etiopia. Intricate e talvolta umilianti trafile, alti costi, lunghissimi tempi di attesa con punte anche di cinque anni e mezzo nel caso della Lituania: come dire che se chiedi di adottare un bimbo di sei anni, quando arriva ne ha quasi il doppio. Percorsi tortuosi che solo famiglie abbienti e colte (lo dicono le statistiche) si possono permettere. Il motivo principale che spinge a entrare in questa giungla è l’infertilità. Ma pur tra tanti ostacoli e nonostante una certa flessione negli anni scorsi, l’Italia, dopo gli Stati Uniti, si conferma come la nazione dell’accoglienza, superando Spagna e Francia. Quanto si potrebbe fare con iter più semplici, più veloci e meno esosi? La stessa Cécile Kyenge, che quella commissione ha presieduto quando era ministro e che è stata una delle autrici del provvedimento che equipara figli naturali e figli legittimi, nella premessa auspicava «un ripensamento delle procedure». Da allora le cose non sono cambiate, come ha dimostrato su questo giornale Margherita De Bac.  
Eppure in Italia ci sono quasi cinque milioni e mezzo di coppie sposate senza figli. Quante, se le norme fossero chiare, condivise, non presupponessero percorsi mortificanti e l’esborso di decine di migliaia di euro, sarebbero felici di imboccare la strada, nazionale o estera che sia, per avere una bimba o un bimbo da amare, accudire, tutelare? Poi ci sono i conviventi more uxorio, i singoli e, appunto, gli omosessuali. Tante case pronte a illuminarsi per il sorriso di uno scricciolo. 
Monica Cirinnà ha inserito nelle norme sul riconoscimento delle unioni civili la possibilità che una coppia gay possa adottare il figlio naturale di uno dei partner, allargando i casi già previsti dalla legge sulle adozioni. Nascondendoci dietro l’inglese diciamo stepchild adoption, in italiano dovremmo parlare di «adozione del figliastro». Fa più impressione, vero? 
I politici stanno ergendo mura di incomunicabilità. La contestata proposta potrebbe aprire la strada a ricorsi, a guerre interpretative, forse a un referendum. Guelfi e ghibellini, di nuovo, in questo Paese. Un possibile stralcio è terreno infuocato di scontro, una pura prova di forza, ma potrebbe essere l’unica soluzione possibile. Ora i senatori hanno una settimana di tempo per riflettere. I sostenitori della legge si rendano conto che spesso il meglio è nemico del bene e gli oppositori si convincano che il tema dei diritti individuali merita una larga convergenza. Si voti la legge con una maggioranza ampia, seria, matura. E poi si affronti il tema complessivo delle adozioni, ben più affollato dei cinque-seicento bambini che potrebbero avere due genitori gay. 
Se, per dirla ancora con Magris, la misura è l’amore, la dolcezza di un omosessuale è certo preferibile alla prepotenza di un padre-padrone. Ma possibile che questo sia l’unico aspetto? Ben vengano i diritti degli adulti, ma parliamo di quelli degli Innocenti. In nome di un Paese senza orfanotrofi. E senza figli e figliastri, nemmeno se lo diciamo in inglese.