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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Servono camerieri, altro che Masterchef

Ora che anche Sanremo ha ospitato Tonino Cannavacciuolo, siamo all’elezione totale dello show chef, con un’Italia divisa (si fa per dire) sul tempo di cottura ideale per fare un uovo alla coque. E anche qui, come nelle trasmissioni televisive che parlano di diete, non se ne verrà mai ad una. Ma il fatto grave è che non se ne viene ad una su cose più serie: ad esempio la sinergia reale delle risorse del nostro Paese. Proprio in questi giorni si sono sprecati convegni e titoli di giornali sul binomio turismo- enogastronomia con una farcitura di cultura che non sta mai male. Ma poi non si fa nulla, mentre l’attenzione è sempre sullo spaghetto nel piatto dello chef che è andato in tivù. Ma perché l’attenzione non viene mai posta sulla radice, ossia sull’arte dell’accoglienza, che nel mestiere di un ristoratore diventa turismo, cultura, cucina. La lampadina mi s’è accesa domenica sera all’Enoteca Pinchiorri di Firenze dove il personale in cucina equivaleva a quello della sala. Anzi forse erano di più in sala, insieme a Giorgio e Feolde, che nella cucina a vista. Come a dire che il successo di una meta internazionale di cucina italiana è al 50% cucina, ma l’altro 50 è servizio, accoglienza, professionalità, amicizia, racconto, tutti quegli ingredienti che sanno fare di una sosta qualcosa di memorabile. Per capire la genesi di questo mestiere credo si debba andare a Sorrento e dintorni. Dove l’ospite è davvero qualcuno che entra dentro una cultura, che poi è quella del saper ospitare. Ma a parte alcune eccezioni, il resto della ristorazione italiana cresciuto fin troppo in fretta, latita proprio sul fronte dell’accoglienza. Lunedì sera ero al Nord, in un ristorante rinomato dove i due giovani camerieri parlavano ad alta voce nella sala dove ero l’unico cliente in attesa dell’ospite. Poi è arrivato un amuse bouche che aveva dentro del peperone, a cui il sottoscritto è allergico. Il ragazzo ha preso l’avanzo ed è andato in cucina a chiedere (a chiedere cosa?) senza tornare con una scusa, un sostituto. Si mangia, si ordina un vino da una carta con etichette simili alle carte di 20 anni fa e poi si paga, buongiorno e grazie. Un locale che pensa che il 100% sia solo ciò che mangi ha intrapreso la strada sbagliata. E l’Italia della sintesi fra enogastronomia e turismo (e cultura) non può accettare di ridursi a una grande mensa, seppur di qualità. L’appello di gusto di questa settimana è dunque su un progetto di formazione, che diventa urgente. Se il personale, avamposto di un locale, che è biglietto da visita dell’Italia che piace, non viene formato, perdiamo la grande occasione. E quando l’abbiamo persa, ci accorgeremo che eravamo davanti alla tivù a guardare come veniva un piatto, anziché pensare come accogliere il mondo che ha il mito del nostro Paese.