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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Se i soldi a fondo perduto finanziano migliaia di start up inutili

Sul Registro delle Imprese della Camera di Commercio, al 1° gennaio 2016, sono 5.161 quelle registrate come start up innovative, che hanno come oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Solo 19 di queste però assumono 20 o più persone, 67 ne hanno tra 10 e 20. Le altre sono imprese formate quasi esclusivamente dai propri fondatori. Secondo StartupItalia nel 2015 sono stati investiti 100 milioni di euro in 74 start up italiane da fondi privati, come i venture capital o business angel. Ma le altre 5087 come sono sopravvissute?
Fare impresa è diventato abbastanza semplice e poco costoso, grazie a servizi condivisi e software con modelli freemium, gratuiti finché non si raggiunge una certa scala. Quindi gli investimenti iniziali sono molto più contenuti di una volta, ma non possono essere zero. Come fanno queste imprese a resistere senza nessun fondo?
La risposta sono i finanziamenti a fondo perduto, contributi assegnati da enti pubblici o società finanziarie pubbliche. Che non dovranno essere restituiti. Questi fondi vengono stanziati per aiutare il sistema impresa a crescere, soprattutto in settori ad alto rischio dove la probabilità di fallimento è alta e il ritorno per investitori privati troppo incerto.
In Italia l’ente più importante per questi tipi di finanziamenti è Invitalia: dal 4 settembre 2013 ha attivato 188 milioni di euro a fondo perduto, finanziando 641 start up. Se i fondi sono stati distribuiti uniformemente, nel 2015 ne sono stati erogati più di 80 milioni. Sempre nel 2013 è nato il Fondo Garanzia per le Piccole Medie Imprese: il governo garantisce prestiti bancari fino al 80% a piccole imprese, facilitando finanziamenti a 711 start up innovative, per un importo garantito di 226 milioni (su 290 milioni erogati). Assumendo un finanziamento lineare, nel 2015 i fondi garantiti sono stati quasi 100 milioni. Quindi, in media, in Italia per 100 milioni di fondi privati in un anno, ne sono stati spesi (o garantiti) 180 milioni dal governo italiano per incentivare le start up.
Nel 2014 la Francia, tramite l’ente pubblico Bpi, ha speso a fondo perduto 340 milioni in start up e il governo ha garantito 39 milioni sempre per le start up. Nello stesso anno, i privati invece hanno finanziato oltre 700 imprese, per un valore medio di un miliardo di euro, 10 volte quello Italiano. La Spagna, sempre nel 2014, ha visto finanziamenti per start up di 347 milioni (nel 2015 questo numero è salito a €500 milioni), dove solo il 14% di questi provenivano da fondi pubblici, includendo fondi garantiti e sussidi a fondo perduto, il resto da privati.
Spagna e Francia hanno visto una crescita importante nel settore start up, lì il pubblico ha contribuito solo al 14% e al 27% rispettivamente. Perché in Italia siamo al 67%? O i fondi privati non sono sufficienti, o ci sono troppi fondi pubblici.
Propendo per la seconda tesi. Collaborando con venture capital privati, e seguendo il settore, risulta chiaro che i finanziamenti privati per le start up Italiane migliori, ci siano; si va all’estero se necessario, ma il mercato privato ha voglia e possibilità per investire. Il problema è che troppe start up sopravvivono grazie a finanziamenti statali e regionali, per un paio di anni. Questi sono assegnati senza che vengano in nessun modo valutate le vere competenze delle start up richiedenti, tranne quello di rispettare i requisiti per registrarsi come “start up innovativa”. Il risultato quindi è la sopravvivenza di tantissime start up senza le competenze e il potenziale per diventare vere e proprie aziende, quindi senza mai avere i requisiti per ricevere un Series A, il primo finanziamento oltre al milione di euro che le start up ricevono da uno o più investitori istituzionali privati.
La soluzione a questo problema è uno Stato che contribuisce con sistemi di matching, dove i fondi pubblici vengono erogati in cambio di capitale aziendale, e stanziati quando esiste anche un finanziamento da fondi privati. Mentre il governo francese utilizza questi sistemi da anni, in Italia stiamo iniziando ora. A ottobre 2015 è nata Invitalia Ventures, (di cui sono parte del Comitato d’Investimento) che ha assunto un direttore come Salvo Mizzi, con molti anni di esperienza nel venture capital. L’obiettivo è quello di co-investire con fondi privati, Italiani e stranieri, in start up innovative, in cambio di capitale, non più finanziando a fondo perduto. Creando il giusto incentivo per la selezione del portafoglio di imprese.
Il governo Renzi dovrebbe imparare dai nostri vicini e adottare una politica per le start up che non prova a fare innovazione con fondi pubblici, ma che lascia fare innovazione a venture capitalist e business angel competenti, incentivandoli con sistemi di incontro. Solo così possiamo sperare in un mercato delle start up con imprese di successo, portando un significativo sviluppo e crescita per il settore.