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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Il mito Ayrton Senna in mostra a Monza

Le parole di Giorgio Terruzzi, le immagini di Ercole Colombo, la magia del pilota di Formula 1 forse più amato di sempre. Ingredienti che non c’è bisogno di mescolare, una ricetta unica che si accende da sola nel Museo della Velocità dell’Autodromo di Monza con la mostra Ayrton Senna. L’ultima notte, un viaggio della mente e del cuore nella carriera e nelle vicende private dell’asso brasiliano, scomparso a Imola nel 1994.
Cento immagini realizzate e selezionate da Colombo (fotografo monzese in Formula 1 dai primi anni Settanta, quando si lavorava con i rotolini e lo scatto doveva essere subito buono) che raccontano la nascita, l’affermazione e la tragica scomparsa di Ayrton: i succesi con i kart, il test di Donington fattogli fare per sfizio da Frank Williams nel 1983 (record della pista abbassato di 4 decimi da un pilota debuttante su una macchina vecchia di un anno...), lo sbarco nel Circus dove si fa subito notare al volante della Toleman, le vittorie mondiali infarcite di scontri epocali con l’adorato nemico Alain Prost in McLaren. Fino al fatale incidente del 1° maggio sulla Williams alla curva del Tamburello di Imola.
Da oggi fino al 24 luglio, Monza riabbraccia uno dei suoi figli prediletti (qui ha vinto nel 1990 e nel 1992) offrendo agli appassionati una mostra densa di significati e contenuto. L’indimenticabile casco verdeoro, le tute da corsa di McLaren e Williams, un kart originale del 1979: oggetti di culto che arricchiscono l’esposizione e danno un senso tattile a tutta la vicenda e alla straordinaria parabola del brasiliano, ormai patrimonio del pantheon collettivo ma qui riportato anche alla sua dimensione umana. È un classico immaginare i grandi della storia come dei giganti, a cominciare dall’aspetto fisico, e per questo è commovente ammirare le tute da gara di Senna, piccole e minute, o le immagini di un Ayrton bagnato fradicio a fare rafting, oppure pensieroso ma bellissimo, e amatissimo dalle donne (strepitosa la sua relazione clandestina con Carol Alt e quella settimana chiusi in casa di un amico a Milano, quando uscivano solo per comprare da mangiare).
Un eroe omerico, eppure lontano da ogni stereotipo di superuomo, così diverso fisiognomicamente e per guasconaggine, per esempio, da quel funambolo di James Hunt, un metro e 85 di genio e sregolatezza. Era un simbolo in vita, Ayrton, è diventato leggenda con la sua morte.
Aveva legato con pochi piloti, Senna, (Boutsen, Barrichello, Berger) e parlava con Dio, con il suo Dio, con cui «teneva conti privati e costanti, trovando l’ispirazione al proprio agire», scrive Terruzzi nel suo Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna (edito da 66thand2nd), il libro di cui questa esposizione è un’ideale prosecuzione e, nel quale, il popolare giornalista racconta, immagina, ricostruisce la vigilia della morte di Ayrton nell’amato albergo di Castel San Pietro.
Fu la sera prima della fine del cammino, quel percorso ideale culminato nell’eternità e nel quale ci proietta la mostra monzese, allestita lì nel paddock a pochi metri da quella pista dove, fra gli alberi, sembra quasi di sentire Ayrton sfrecciare in macchina. E la mente corre, corre a ricordare cosa faceva ognuno di noi quel 1° maggio 1994, quel drammatico weekend di Imola che ha rappresentato l’11 settembre del motorismo moderno: un pedaggio di sangue che lascia ancora un saporaccio amaro in bocca. Da allora, in F1, c’è stata solo un’altra vittima, quel Jules Bianchi ucciso più dalla stupidità umana che dal Fato imperscrutabile dei motori. Poco prima del tragico impatto, Senna, commentando un giro di pista dall’abitacolo, sapendo che Prost era in autodromo come spalla tecnica del telecronista, disse alla radio: «Un saluto speciale al mio, al nostro caro amico Alain. Ci manchi Alain». Ci manchi anche tu Ayrton, ma oggi, in qualche modo, sei passato da casa a salutarci.