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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Chi è Marco Bonometti. Ritratto di un renziano in corsa per la presidenza di Confindustria

Fa parte dell’epos nazionale il fatto che il primo italiano a nuotare i cento metri stile libero in meno di un minuto sia stato Carlo Pedersoli, in seguito celebre come Bud Spencer. Pochi invece sanno che il peculiare epos di Brescia – Leonessa d’Italia e città chiave per interpretare le traiettorie del capitalismo italiano – contempla il concetto di “primo bresciano a nuotare i cento stile libero sotto il minuto”. Egli è Marco Bonometti, 61 anni, dal 2013 presidente degli industriali locali e oggi in corsa per la presidenza della Confindustria. È l’unico sessantenne in corsa. Gli altri tre candidati (Vincenzo Boccia di Salerno, Aurelio Regina di Roma e Alberto Vacchi di Bologna) hanno dieci anni meno di lui. Eppure il più anziano della partita è il preferito del rottamatore Matteo Renzi. E, per proprietà transitiva che non si sa mai in quale direzione operi, è il più amato dal capo della Fca Sergio Marchionne.
La discesa in campo a tempo quasi scaduto di Bonometti illumina il declino della Confindustria. Ancora quattro anni fa – quando si scontrarono due big come Giorgio Squinzi e Alberto Bombassei, Vinavil contro freni Brembo a colpi di miliardi di fatturato, qualche padre nobile avrebbe consigliato la rinuncia all’ambizioso bresciano. Nel curriculum di Bonometti c’è una macchia che diversi colleghi giudicano intollerabile. Nel 1995, quando era già alla guida dell’azienda fondata dal nonno, le Officine Meccaniche Rezzatesi (Omr), fu arrestato per un giro di fatture gonfiate legate alle sponsorizzazioni della Formula 1. Il 26 giugno 2002 la Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna a 10 mesi per evasione fiscale. Un incidente che non ha rallentato le ambizioni del nuotatore bresciano. Addirittura nel 2012 è riuscito a farsi nominare Cavaliere del Lavoro dal presidente Giorgio Napolitano. Politici e burocrati responsabili del vaglio delle candidature devono essersi distratti, non tanto rispetto alla condanna di dieci anni prima, quanto rispetto al dettato dell’articolo 3 della legge 194 del 1986, secondo cui “per ottenere la decorazione” occorrono alcuni stringenti requisiti, tra i quali “aver adempiuto agli obblighi tributari”. Può darsi che Napolitano e l’allora ministro proponente Corrado Passera abbiano considerato la condanna a dieci mesi con allegata multa di 3098,74 euro come una forma particolare di adempimento degli obblighi tributari. Fatto sta che da settimane i sostenitori di Boccia, Regina e Vacchi sono in estatica adorazione di quel certificato penale, ormai elevato al rango di reliquia sacra.
Bonometti fa paura proprio perché i suoi avversari intravvedono dietro le larghe spalle da nuotatore le ombre di Renzi e Marchionne. La corsa al vertice di viale dell’Astronomia è partita sotto una cattiva stella. Non solo il sindacato degli industriali è sempre più debole e meno rappresentativo. Non solo sconta quattro anni di gestione incolore di Squinzi. Ma soprattutto è successo che mentre suonava la campana dell’ultimo giro è scomparsa nel nulla la candidatura forte pensata da Squinzi e dal suo predecessore e sponsor Emma Marcegaglia: quella di Antonella Mansi, legatissima al primo e amicissima della seconda, ex presidente della Fondazione Montepaschi e oggi vicepresidente della Confindustria. Donna e giovane, che non guasta mai, toscanissima e con i giusti quarti di nobiltà renziana, Mansi è stata cancellata dalla scena dopo aver commesso la colpa più grave agli occhi di Squinzi e Marcegaglia: un inopinato e intenso avvicinamento a un altro ex presidente, Luca Cordero di Montezemolo, che gli apparati confindustriali, fedeli ai due ultimi leader, considerano una specie di anticristo. Squinzi non l’ha potuta perdonare.
In una corsa tra deboli, Bonometti può calare carte invidiabili, secondo il metro dell’Italia renziana. La sua Omr è fornitrice della Fiat ma soprattutto della Ferrari: i suoi 3 mila dipendenti sfornano prodotti ad alto contenuto tecnologico. Due anni fa, mentre scalava la Confindustria bresciana, Bonometti ha salvato dal fallimento la Fonderia Scacchetti, azienda modenese strategica per il lusso a quattro ruote: lì vengono realizzate le fusioni in leghe leggere per marchi come Ferrari, Lamborghini o Mc Laren. Marchionne gli riconosce quindi dei meriti e ne apprezza la natura di “falco”. Anche se è uscito da Confindustria, Marchionne non disdegna l’idea di rinnovare la leggenda dell’avvocato Agnelli: nel 1984 – mentre Bettino Craxi da palazzo Chigi dava la spallata alla scala mobile con il decreto di San Valentino – trovò a Brescia il falco Luigi Lucchini, al quale letteralmente ordinò di andare a presiedere la Confindustria.
Bonometti è falchissimo: “Oggi questo sindacato è un ostacolo sulla strada del rilancio dell’Italia”, intonò il 3 novembre 2014, quando Renzi andò in visita alla sua fabbrica subito dopo aver disertato il convegno di Cernobbio bollato come salotto di una casta nullafacente. Fiero della sua ammirazione per Benito Mussolini, e reduce da giri di valzer con Ignazio La Russa quando l’Italia era in mano a Silvio Berlusconi, Bonometti sembra folgorato sulla via di Rignano: “Renzi mette finalmente al centro l’industria vera, che crea occupazione”, disse quando il premier andò in pellegrinaggio nel Bresciano.
E quando l’ambizioso “albero della vita” per l’Expo milanese sembrava fuori tempo massimo, fu Bonometti a organizzare il consorzio “Orgoglio Brescia”, poi “Orgoglio Italia”, che ha costruito il grande e inutile oggetto alla velocità della luce. Il giorno dell’inaugurazione il premier lo ringraziò: “Mi ha detto di essere contento che siamo riusciti a finire l’Albero della Vita – ha spiegato Bonometti – se non ci fosse stato non ci sarebbe stato neanche Expo”. Fatti per intendersi.