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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Vendola sarà un grande papà, scrive Luca Telese

Caro direttore, nel giorno in cui esplodono polemiche sulla paternità di Nichi Vendola, ti parlo dei figli delle coppie omosessuali partendo da un aneddoto minimale. Ero in Sardegna: un’estate, sulla spiaggia incantata di Isola rossa incontro sia Matteo Salvini che Nichi Vendola. Vendola era lì perché suo fratello aveva aperto un ristorante. C’era tutta la sua famiglia, e Nichi, che conoscevo da anni nella sua vita politica si rivelò sotto una luce inedita: animatore creativo di giochi nella spiaggia, idolo dei bambini. Lo interrogai stupito, e lui: «Mi sono fatto le ossa con i nipoti». Dirai: che mi importa? Tre giorni dopo ci ritrovammo tutti su una jeep, in un tour all’Asinara. Il principale ricordo di questa gita è l’incredibile festa di Vendola e il suo compagno – Ed Testa – per mio figlio. Durante la lunga traversata immaginarono giochi per Enrico, si inventarono personaggi di fiaba, crearono un’epopea su un certo asinello bianco “Severino”, indimenticabile per tutti. A fine gita i due genitori che conosci tu, stremati (come tutti se passano un mese soli con i loro pargoli!) scherzando dissero a Vendola (e a Ed) a cui il pupo era attaccato: «Ve lo lasciamo?». E loro: «Magari!». Lunga discussione sulla paternità. Tre mesi dopo Vendola espresse per la prima volta il desiderio di un figlio. Due anni dopo di nuovo lo intervistai su questo, parlando ore: il desiderio romantico era diventato volontà strutturata, matura, consapevole, (difficilmente la trovo in tante coppie “naturali”). Lo avrai il figlio? «Farlo da presidente sarebbe una condanna per lui».
A partire da quel giorno il mio punto di vista astratto, forse simile al tuo – “il diritto a una mamma e un papà”, “donne sfruttate”, “ma è contro natura!”, eccetera – era diventata una consapevolezza opposta: il bimbo che avrà come padre Nichi ed Ed sarà un fortunato. Perché, mi chiederai? Ho visto anche te, con tua moglie e le tue bellissime figlie (una felice gita in barca), conosci questa verità: essere genitori è un mestiere duro, chi si improvvisa soffre. Non è vero, come dicono i bigottoni e i neocrociati – il nostro amico Mario Adinolfi – che il desiderio di paternità è “egoismo”: è il più grande atto di generosità, un dono enorme (mai a una persona sola, ma a tutto il suo mondo).
Ho intervistato, anche sull’omosessualità di Nichi, sua madre Antonietta. Una carismatica donna del Sud, solare e cattolica, che ha lottato contro la morte fino all’ultimo per conoscere il suo nipotino: «Non ce l’ha fatta», mi ha detto Nichi distrutto. So che ha atteso, prima di partire per l’America per la sua procreazione, la fine di ogni mandato di rappresentanza. Non lo obbligava nulla: solo l’opportunità e la tutela verso il nascituro, che avrà il cognome di Ed (il più giovane) ma che è già inseguito dalla speculazione di chi, per colpire il padre, si accanisce su di lui. Voglio dirti una cosa Maurizio: perché questo bimbo non dovrebbe essere suo, affettivamente e legalmente? Stepchild è questo.
Il paradosso di questa vicenda è che le argomentazioni contro l’omo-genitorialità sono tutte contrarie a quelle della morale cristiana. Per il cattolicesimo tutti figli sono sacri, di più quelli senza padri. La vita è sempre un dono. La procreazione è sempre un atto d’amore. Viceversa, il cosiddetto utero in affitto è un problema per le ex femministe come mia madre (ottant’anni!) che dopo aver fatto della libertà una bandiera, alzano uno steccato intorno al corpo della donna. Però la madre che ha regalato un figlio a Ed e Nichi per loro non è una schiava, ma una regina. Ti conosco troppo bene, non dire: «Ma la famiglia naturale è un uomo e una donna!». La “famiglia naturale” non esiste, anzi: è la fuoriuscita dalla legge ferocissima della natura (e poligama per un miliardo di persone). La più grande panzana che ho sentito è: «Orrore! I ricchi si comprano il figlio». Ma i proletari si chiamano così perché l’unico bene che possedevano era la prole, e qualsiasi madre sa che un figlio costa ancor prima di nascere. Ogni genitore adottivo sa che un’adozione internazionale costa 40mila euro. Però non desta scandalo e tanti figli restano abbandonati alla loro “naturale” infelicità di orfani senza che freghi nulla a nessuno.
Se vai a intervistare madri “donatrici” americane (l’ho fatto) scopri che la figura tipo non è quella della laica ideologica, ma della massaia cattolica (non povera, la legge lo impedisce), che regala certezze economiche ai suoi figli naturali ma che è convinta di contribuire alla vita (come la “donatrice” di Ed e Nichi).
Non è un ritratto idilliaco, ma un fatto: solo un matto può voler togliere i (loro) figli ai gay per darli a chissà chi. Ho imparato dalle adozioni più felici che i figli sono di chi li cresce. Dalle famiglie arcobaleno che sono di chi li ama. Loro li amano come e più di noi perché li hanno voluti contro tutto e tutti.
Pensa che bello se il piccolo Meloni, e il piccolo Testa – coetanei – i figli del family day e del family gay potranno incontrarsi (e magari picchiarsi) in un nido romano. Ci sono già famiglie allargate, ricomposte, monoparentali, omoparentali, di fatto: non è la morte della famiglia, ma la sua nuova vita. Il piccolo Meloni e il piccolo Testa sono entrambi (vergognosamente) ingiuriati prima di nascere, ma sono entrambi figli dell’amore. Anche perché – facci caso, Maurizio – le paure più ossessive di chi predica sacralità e indissolubilità sono sempre quelle degli sfasciafamiglia e dei senzafamiglia.