Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Voucher, i buoni dei superprecari che riformano il lavoro (altro che Jobs Act)

Mentre tutta Italia discuteva sulle conseguenze dell’abolizione dell’articolo 18 sul licenziamento ingiusto, nasceva una nuova categoria di superprecari di cui solo ora si ha chiara l’estensione: nel 2015 sono stati emessi 114,9 milioni di voucher, secondo il dato dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps diffuso ieri. Nessuno sa bene quanti e quali abusi si nascondano dietro questo numero, perché il mercato del lavoro dei voucher è stato costruito senza regole e senza controlli. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha promesso a breve una revisione della disciplina. Ma è stato proprio il suo governo ad aver contribuito all’esplosione del fenomeno: da 40,8 milioni del 2013 a 69,1 del 2014 a 114,9 del 2015.
Quando sono nati, nel 2008, i voucher sembravano una buona idea: dovevano evitare il pagamento in nero agli studenti che si dedicavano alla vendemmia e per altri lavori occasionali: domestici, di giardinaggio, per iniziative culturali o sportive. Non più di 3mila euro in un anno. Oggi i voucher hanno un valore nominale di 10 euro, fissato in base alla media delle retribuzioni Istat di alcuni settori del 2004 (mai aggiornata): 7,5 vanno al lavoratore, 2,5 si dividono tra contributi Inps e Inail, una quota resta al concessionario che paga la somma. Non è tassato. Un’ora di lavoro non può essere pagata meno di un voucher. Le imprese li acquistano in digitale, i privati anche dal tabaccaio per somme considerevoli, fino a 2.000 euro di buoni in un giorno (addirittura 5.000 all’ufficio postale).
Il decreto legislativo 81/2015 del giugno scorso ha allargato ancora le possibilità di ricorso al voucher. Anna Zilli, ricercatrice di Diritto del lavoro all’Università di Udine, ha ricostruito le modifiche più rilevanti in un articolo per la rivista Il lavoro nella giurisprudenza: prima i voucher riguardavano “attività lavorative di natura meramente occasionale”, ora quel che conta è che sia un reddito “accessorio” per il lavoratore. Ma accessorio a cosa? Non viene specificato, quindi questo limite è irrilevante. La soglia viene alzata a 7mila euro netti l’anno, che per l’Inps equivalgono a 9.333 lordi, “si tratta di compensi che equivalgono ormai a un normale impiego a tempo parziale”, spiega la professoressa Zilli. Anche le Pubbliche amministrazioni possono usare i voucher, a parte alcuni limiti nell’agricoltura (dove il governo vuole combattere il caporalato), ormai sono caduti tutti i limiti di settore per il ricorso ai voucher. Resta solo quello per il datore di lavoro, che non può pagare più di 2mila euro in un anno alla stessa persona.
Secondo il calcolo dell’Inps, i 114,9 milioni di voucher del 2015 equivalgono a 57mila “unità di lavoro” a tempo pieno, cioè persone, ma soltanto “in presenza di un utilizzo corretto dello strumento”. Ci sono due possibili tipi di abuso. Primo: usare i buoni da 10 euro come forma estrema di precariato per mansioni che avrebbero in altri tempi richiesto contratti con maggiori tutele (ma su questo abuso non c’è praticamente giurisprudenza ed è difficile da contestare, perché la legge pare incoraggiarlo). Secondo: acquistare i voucher come una forma di assicurazione contro i controlli, qualche ora regolarmente pagata con i buoni che ne nasconde molte altre sempre in nero. La distribuzione geografica dell’aumento del ricorso a questa flessibilità estrema legittima qualche sospetto: in Sicilia c’è stato un boom (+94 per cento) ancora maggiore che nelle Regioni dove la ripresa avrebbe dovuto spingere il mercato del lavoro (+61,2 in Piemonte, +56,5 in Veneto). Lavoro che è emerso o altro? Non lo sa neanche il ministero del Lavoro.
A Milano la Filcams Cgil si confronta soprattutto con gli abusi nella ristorazione: “Ieri mattina è arrivato nel mio ufficio un ragazzo che lavora in un fast food, ci sono solo quattro dipendenti con un contratto vero, altri venti con i voucher”, spiega Isa Tonoli della Filcams. Ne vede tanti di ragazzi così – ha fatto una lunga battaglia con McDonald’s nel 2014 – che lavorano come un part time ma senza alcuna tutela, se il datore di lavoro non riesce ad aggirare i limiti sul pagamento in voucher semplicemente li congeda e assolda altri. Quasi nessuno protesta o denuncia gli abusi, sono tutti convinti di avere qualche possibilità di essere assunti. Ma non succede praticamente mai.
Per chi lavora con i voucher, scrive la giurista Anna Zilli, c’è “l’assoluta impossibilità di uscire dalla trappola dei voucher perché – eccezion fatta per il caso del superamento del limite economico annuo ovvero della mancata attivazione del voucher all’atto dell’accesso ispettivo – non vi sono regole da violare”.