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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

L’Nba va alla rivoluzione dello sponsor

L’omaggio a Kobe Bryant ha catturato l’attenzione del Mondo, ma l’All Star Game Nba di Toronto è già entrato nella storia anche per un’altra ragione. Domenica notte, per la prima volta sulle divise della Lega è comparso il marchio di uno sponsor estraneo all’abbigliamento sportivo: l’accordo tra Nba e Kia, valido anche per la partita delle stelle del 2017 a Charlotte, potrebbe aver spianato la strada all’ingresso delle multinazionali sulle divise di uno dei grandi sport americani.
I vertici della Lega guidata da Adam Silver e i proprietari ne riparleranno in aprile, magari per dare il via libera alla svolta, a partire dal 2017. Uno sviluppo che abbatterebbe una barriera, dato che la Wnba (basket femminile) e il calcio – i primi sport di squadra ad ospitare sponsor sulle maglie – non sono considerati tra i colossi Usa, mentre il football Nfl si è limitato a vendere spazi sulle maglie da allenamento e il baseball ha introdotto gli sponsor soltanto nei rari match oltreconfine. 
L’esempio Premier
Chi dice che il calcio non abbia sfondato negli Stati Uniti si sbaglia, soprattutto pensando all’Olympic Tower di New York. Nel quartier generale Nba conoscono bene numeri e idee di Champions League e Premier, e proprio un dato legato al campionato inglese ha generato l’idea degli sponsor. «Uno sviluppo inevitabile» ha detto Silver, che nel 2011, quando era ancora il vice di David Stern, illustrò la situazione ai proprietari citando i 178 milioni incassati dai venti club di Premier attraverso i main sponsor.
Negli anni successivi, la Nba ha valutato l’argomento a fari spenti, dando la priorità al rinnovo del contratto televisivo, e la questione sponsor avrebbe potuto creare incidenti diplomatici con i partner televisivi Turner e Espn. Ma ora che il nodo tv è risolto con un contratto da 24 miliardi in 9 anni (scadenza 2025), la Lega prepara l’affondo, con idee chiare e un obiettivo minimo arrotondato per difetto: un incasso di 300 milioni in 3 anni. Una media di 2.710 dollari a giocatore per ciascuna partita, per inserire un marchio da sei cm per sei sulla spalla sinistra. 
Mutualità made in Usa
L’idea ha già raccolto consensi, non a caso Mark Cuban – proprietario di Dallas – ha espresso un parere condiviso da tanti colleghi. «Se l’offerta è congrua, più vicina ai 10 milioni che ai 200.000 dollari, ben venga lo sponsor. Ma come divideremo i ricavi?». E qui risiede la novità: ogni squadra potrà vendere il proprio spazio in autonomia e gli incassi verranno divisi in due parti. Il 50% dell’introito resterà alla singola franchigia, l’altra metà confluirà in un fondo il cui totale verrà suddiviso in 30 fette, uguali per ciascuna franchigia. Un meccanismo di mutualità necessario per una Lega che vuole garantire l’equità competitiva, dovendo però fare i conti con la disparità tra grandi e piccoli mercati, visto che Minneapolis e New Orleans totalizzano 800.000 abitanti, un decimo di New York. 
Rivoluzione e serrata?
L’arrivo degli sponsor completerebbe la rivoluzione Nba: il nuovo contratto tv comporterà un sensibile innalzamento del monte stipendi per i giocatori, dato che il tetto salariale passerà dagli attuali 67 milioni a 90, superando quota 100 nel 2017-18. Un salto tale da creare un paradosso: il numero di contratti al massimo di stipendio disponibili sarà superiore alla quantità di stelle degne di tale salario. Anche per questo, fra un anno, proprietari e sindacato giocatori potrebbero uscire dal contratto collettivo, generando il rischio di una nuova serrata.