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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Dopo nove anni Tiziano Sclavi torna con una nuova storia di Dylan Dog

«A volte ritornano». Forse anche Tiziano Sclavi citerebbe Stephen King per descrivere la sua rentrée: dopo 9 anni di assenza il 62enne autore di Broni ha rimesso mano alla tastiera e ha partorito soggetto e sceneggiatura per una nuova storia di Dylan Dog, il personaggio che mandò in edicola nel settembre 1986. Roberto Recchioni, il curatore del mensile Bonelli, annuncia così l’evento: «È una storia sull’alcolismo. Il titolo definitivo è da decidere. Uscirà subito dopo l’albo del trentennale», quindi ottobre 2016, e sarà disegnata da Giampiero Casertano. La notizia fa scalpore, anche perché parlando con «la Lettura» Sclavi, che non pubblica nemmeno più romanzi (l’ultimo fu Il tornado di valle Scuropasso, del 2006), aveva detto che la scrittura gli «ha impedito di vivere. Perciò non scrivo più».
E invece Sclavi torna sul luogo del delitto. L’ultima volta c’era stato nel giugno 2007, quando scrisse Ascensore per l’Inferno, il numero 250 della serie, che riuniva due tòpoi del personaggio: l’inferno e la routine di tutti i giorni, dipinta da Magritte in Golconda come una pioggia di uomini con la bombetta.
Stavolta si parla di alcolismo. Uno spettro che ha lambito la vita di Sclavi, per sua stessa ammissione: «La maggior parte delle cose che ho scritto, fin da ragazzo, le scrivevo da ubriaco», dice il fumettista nel documentario Nessuno è perfetto, di Giancarlo Soldi. Nello stesso film Sclavi diceva ancora: «Avevo paura, ma era così bello avere paura», ricordando la prima volta che vide al cinema, da solo, Suspiria di Dario Argento. Una fascinazione, quella per il thriller, che per anni tentò di trasmettere a Sergio Bonelli, il quale era terrorizzato dal timore che il suo pubblico non avrebbe capito una serie horror. E invece Dylan Dog è stato l’ultimo vero boom del fumetto italiano, con un successo vertiginoso a partire dai primi anni Novanta e un’altra novità determinante per la Bonelli: il seguito appassionato delle giovani lettrici.
Ma che cosa ha portato di nuovo nel fumetto italiano Dylan Dog? Una miscela di splatter, esistenzialismo, mistero, filosofia ed erotismo soffuso (praticamente in ogni albo Dylan fa una conoscenza femminile, si innamora, conclude). Il tutto amalgamato da una cultura profonda, un senso del montaggio molto scattante e citazioni letterarie e cinematografiche che sanno essere suggestive, eleganti, senza pedanteria, a partire dalla spalla del protagonista, Groucho, che si rifà al più buffo dei fratelli Marx. «Posso leggere la Bibbia, Omero o Dylan Dog per giorni e giorni senza annoiarmi», è la benedizione di Umberto Eco, che nel 1998 finisce ritratto nel n. 136, Lassù qualcuno ci chiama, nei panni del glottologo Humbert Coe.
Sclavi torna al fumetto in un immaginario modificato dalle serie tv, da Netflix, dalle minacce dell’Isis, dai fatti di Parigi. E lo fa due anni dopo il restyling del personaggio, le cui vendite soffrivano un po’: un rilancio che si è giovato della vena di talenti come Paolo Bacilieri e Gigi Cavenago.
«Tiziano non ha remore a mettersi in discussione, anche se per me Dylan è una creazione tipica del Novecento», commenta Grazia Nidasio, l’autrice della Stefi: «Quando faceva il liceo parlava poco con pochissimi: fui io a stanarlo da casa e a convincerlo a scrivere per un giornale». Una lunga corte gliel’ha fatta anche Recchioni, per tornare a Dylan: si parla di due anni e mezzo. «Ma non con credete troppo alla maschera drammatica di Sclavi», ribatte Silver, il creatore di Lupo Alberto, «lui ci ha sempre giocato, Tiziano è un tipo autoironico». Insomma, a volte ritornano, ma niente paura. Quella è tutta nel fumetto.