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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Che male c’è a rispettare la sensibilità dell’ospite? Ultime riflessioni sulle statue coperte durante la visita di Rouhani a Roma

La scelta di coprire le opere d’arte con nudi in occasione della visita del presidente iraniano ai Musei Capitolini è stata certamente discutibile. Era possibile risparmiarsela accogliendo Hassan Rouhani il 25 gennaio in un altro tra i mille angoli belli di Roma. Tuttavia su questo e altri aspetti delle visite di alcuni interlocutori stranieri del nostro Paese stiamo attenti a non perdere il senso della misura. Non c’è nulla di scandaloso nel non mettere vino o prosciutto a tavola quando si riceve un ospite che per dettami della sua fede non può bere alcolici o mangiare maiale. Quando si organizzano colazioni o pranzi, ufficiali o privati, è buona usanza informarsi su se gli invitati soffrono di allergie o se lo stato di salute impedisce loro di mangiare qualcosa. Nei casi nei quali l’ostacolo è un divieto religioso, non c’è ragione di fare il contrario. Sui voli dell’Alitalia per Tel Aviv nei vassoi con il mangiare per i passeggeri su un bigliettino c’è scritto in ebraico, arabo, italiano e in altre cinque lingue: «Questo pasto non contiene carne di maiale». Come dovremmo considerare la segnalazione: un codardo cedimento verso pretese egemoniche giudaico-islamiche? Oppure un segno di rispetto verso chi, per motivi di fede, segue diverse regole e abitudini alimentari?
È soltanto una delle domande che ci si potrebbe porre in materia. Pretenderemmo mai dal Dalai Lama che non si presentasse a una cerimonia in Italia senza indossare giacca e cravatta? Lo domanderemmo mai a papa Francesco? E ci sarà una ragione valida se nessuno si è sognato di porre come condizione per la loro partecipazione a eventi pubblici nel nostro Paese la non esclusione di veline scosciate o di fusti in slip, figure che pure popolano pubblicità e programmi tv visti da milioni di italiani.
Le pagliuzze ritratte con lo zoom spesso nascondono travi. La copertura di statue di nudi e quadri particolari dei Musei Capitolini viene ritenuta da alcuni un esempio di subordinazione italiana all’Iran. Chi pontifica in materia dimentica che di Teheran siamo da tanto tempo uno dei principali partner commerciali. Trascura per esempio che i nostri apparati di sicurezza hanno collaborato per anni con l’Iran, Paese che si trova al di là di una delle frontiere afghane, per ridurre i rischi di attacchi e attentati nell’Afghanistan Nord Occidentale, affidato al controllo dei nostri militari dall’International security assistance force, Isaf. Per i comuni avversari delle forze italiane e iraniane quella collaborazione difficilmente ha comportato riverenze o pacche sulle spalle. Sarebbe stato forse preferibile collaborare con gli islandesi, depositari di antiche tradizioni parlamentari? Vero, tuttavia erano un po’ fuori mano.
Purché le affermazioni non siano formulate in maniera controproducente, è sui diritti umani calpestati nei Paesi di tanti interlocutori stranieri della nostra Repubblica che meriterebbe di essere compiuta qualche azione diplomatica in più. La sorte di vittime di violenze e abusi, la difesa delle comunità cristiane e di altre minoranze mediorientali prese di mira da persecuzioni e terrorismo di fondamentalisti islamici, il contrasto delle tesi di chi nega il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele richiederebbero in varie occasioni di non voltare lo sguardo altrove. Ma sulle statue coperte, traiamo lezione del passo falso compiuto a Roma e non ne facciamo tragedie.
Tra l’altro: come la mettiamo con il quadro di Pietro da Cortona sul Ratto delle Sabine dopo tante deplorazioni delle brutali molestie e delle aggressioni subite dalle donne di Colonia da parte di immigrati? Quel quadro era una delle opere escluse dal percorso di Rouhani nei Musei Capitolini. Il ratto, un modo non tra i più delicati di conquistare le donne, lo rivendichiamo come una radiosa pagina «identitaria» del nostro Paese? Radici storiche, in fondo, ne ha. Ma sarebbe il caso di farne una bandiera?